Il Parco del Tempio del Cielo: il luogo di preghiera dell’imperatore
Mercoledì 31 luglio 2019, essendo questo l’ultimo giorno a Pechino prima della partenza già programmata per Dalian, decido di visitare il più attrazioni possibile della capitale cinese. Mi sveglio quindi di buon’ora (in Cina in estate il sole sorge già alle cinque di mattina quindi non è un problema), prendo l’efficientissima metropolitana e mi dirigo nella zona Sud di Dongcheng a visitare il Parco del Tempio del Cielo. Questo gigantesco parco, strutturato secondo i rigidi canoni del taoismo volti a ricercare armonia ma allo stesso tempo schematicità e linearità, ospita una serie di templi che non rappresentavano i luoghi dove gli imperatori, a partire dal XV secolo si recavano in preghiera, quindi a differenza di quello che si può pensare questo non è un luogo di preghiera aperto al pubblico essendo semplicemente un vecchio luogo dove gli imperatori, privatamente, svolgevano i propri rituali religiosi. Il Cielo (Tian) nella Cina antica era la divinità più importante e l’imperatore, il “figlio del Cielo” governava in questa veste i suoi sudditi. Particolarmente celebre in questo parco è la Sala della Pregheira per i Buoni Raccolti, dove l’imperatore era solito pregare il Cielo per i buoni e fruttuosi raccolti estivi, l’effige di questa struttura circolare è il secondo simbolo più famoso di Pechino dopo la Città Proibita. Anche in questo parco non mancano i soliti capannelli di persone, soprattutto anziani, intenti a svolgere giochi da tavolo tradizionali come il majiang o che compiono esercizi di Tai Qi o balli tradizionali. Se da noi l’anziano, nell’immaginario collettivo, di solito sta in bar a giocare a carte o a bersi un bicchiere, in Cina un’ordinanza del Partito Comunista del lontano 1951 promuove le attività di gruppo per i cittadini (soprattutto anziani che hanno tempo libero) che così sono invogliati ad andare all’aperto a fare attività ludiche in compagnia per sentirsi parte di una società e di un collettivo.
Il Tempio del Lama: un assaggio di Tibet
Abbandonato il Parco del Tempio del Cielo decido di passare da… Sud a Nord per visitare un tempio vero e proprio, il Tempio del Lama (Yonghe Gong) situato nei pressi del secondo anello di Pechino. Questo è l’unico vero luogo di culto presente nella capitale: mentre cammino tra nuvole di incenso dal caratteristico profumo scorgo tanti pellegrini prostrati a terra davanti alle onnipresenti statue del Buddha. Questo tempio fu costruito nel XVII secolo per omaggiare i seguaci del Lama (tibetani e mongoli) poco dopo l’annessione della regione del Tibet al Celeste Impero. Il Tibet, pur non essendo abitato da una popolazione non imparentata con l’etnia han, è sempre stato fin dal XIII secolo uno Stato vassallo prima dell’Impero mongolo e poi di quello cinese. Quindi non ha senso parlare di “invasione Cinese del Tibet” quando nel 1949 le truppe maoiste incorporarono la regione nella neo costituita Repubblica Popolare apportando, due anni più tardi, delle decise riforme antifeudali che fecero irritare la cerchia di monaci che gravitavano attorno al Dalai Lama (il Tibet era allora composto per il 90% da contadini illetterati e nullatenenti che erano succubi dello strapotere della casta dei monaci). Il Tibet, se si eccettua per il periodo che va dal 1903 al 1949 quando fu un protettorato britannico, è sempre stato quindi un territorio cinese. L’avvento della Cina ha significato per i tibetani un miglioramento del tenore di vita e un sensibile prolungamento della vita media.
Nell’attuale Regione Autonoma Tibetana vige il bilinguismo con prima lingua il tibetano, mentre cinesi e tibetani convivono fianco a fianco secondo modelli di integrazione già sperimentati in Jugoslavia. Il Tibet però fa tuttora parecchia gola all’Occidente dato che la sua indipendenza formerebbe un cuneo in mezzo al blocco euroasiatico formato da Cina e Russia mentre un Tibet vassallo degli Stati Uniti permetterebbe l’installazione missili puntati direttamente sulla capitale cinese: già nel 1947 l’ambasciatore americano in India George R. Merrel in una lettera al presidente americano Truman sottolineava proprio questo aspetto strategico. E il Dalai Lama? È un falso storico (qui basta leggere una fonte insospettabile come il Libro Nero del Comunismo) innanzitutto attribuire al Dalai Lama la paternità della causa dell’indipendentismo tibetano, un movimento che è stato creato in vitro dalle potenze estere (Usa e Gran Bretagna, quest’ultima proprio antica protettrice del Tibet) che avrebbero da guadagnarci da un nuovo smembramento della Repubblica Popolare Cinese. Tra l’altro Tenzin Gytaso, l’attuale XIV Dalai lama, oggi sembra più propenso a riottenere una maggiore autonomia oltre che al ripristino di alcuni privilegi che gli appartenevano fino al 1949.
La Torre del Tamburo e la Torre della Campana
Lasciato alle spalle il Tempio del Lama e le vicende tibetane mi dirigo a piedi lungo un hutong (Guozijiang Street) pieno di negozietti che sfocia sulle due torri di Pechino: la Torre della Campana (Zhonglou) e la Torre del Tamburo (Gulou) che offrono una bella vista sullo skyline della capitale. Per salire lungo queste due torri devo affrontare una serie impegnativa di gradoni che avrebbero fatto felice Zděnek Zeman! Peccato che il boemo, famoso per le massacranti sedute sui gradoni dello stadio che faceva sottoporre ai propri giocatori, non abbia mai trovato una squadra da allenare in Cina… Il panorama che si gode dalla Torre del Tamburo (alta poco meno di cinquanta metri) è mozzafiato: si possono vedere tutte le case basse che caratterizza il centro di Pechino e sullo sfondo i grattacieli che compongono la periferia della capitale, il cielo è terso ed azzurro segno che le nuvole di smog che caratterizzavano il panorama della capitale qualche lustro fa sono ormai un lontano ricordo, torneremo più avanti sui grandi passi fatti dal Paese del Dragone in campo ecologico. Sulla sommità venticinque tamburi scandivano le ore del giorno fino all’abbandono della Città Proibita da parte dell’ultimo imperatore. Sulla cima della Torre della Campana invece possiamo trovare la gigantesca campana che fino al 1924 annunciava l’arrivo delle sette di sera con un suono che si diffondeva per il raggio di venti chilometri. La cosa più difficoltosa è stata sicuramente quella di scendere dagli angusti gradoni arrivato a terra mi reco in un vicino locale a mangiare una ciotola di riso al curry come pranzo (prezzo ridicolo, tre Euro!).
La Città Proibita (vista da fuori): tra vecchi e nuovi culti della personalità
L’ultima tappa del mio soggiorno pechinese, il simbolo della capitale e cioè la Città Proibita, si rivela una mezza delusione perché i biglietti sono esauriti. Decido così di fare un breve giro all’esterno di questo mastodontico labirinto di edifici (qualcuno li ha anche contati, 980 per la precisione!) costruito all’inizio del XV Secolo sotto la dinastia Ming e noto di essere in buona compagnia perché la calca umana, anche all’esterno, è impressionante.
All’esterno della Città Proibita c’è una lunga teoria di hutong dove a farla da padrone sono i negozietti di souvenir. In questi luoghi farla da padrone sono due personaggi i cui volti sono stampati su magliette, tazzine, piatti e cianfrusaglie varie: Mao Zedong e Xi Jinping, segno che l’attuale capo di Stato sta ridando fasto ad un culto della personalità attorno alla propria figura. Non ricordo di aver visto in questi negozi oggetti con l’effige di altri capi di stato della Repubblica Popolare Cinese come Deng Xiaoping, Jiang Zemin, Hu Jintao. “Zio Xi” è l’uomo che avrà l’ingrato compito di traghettare la Cina da paese emergente allo status di potenza mondiale: anche per questo un anno fa il Congresso ha votato all’unanimità una modifica della Costituzione (nel 1982 Deng Xiaoping aveva imposto il massimo di due mandati da cinque anni) che estende a Xi Jinping la possibilità di governare il paese a vita.
Va evidenziato come decisioni del genere, che nell’Occidente abituato al concetto di limitazione del potere avrebbe causato costernazione e sommosse popolari, invece in Cina non abbia provocato nessuna reazione da parte di una popolazione abituata da un lato alla disciplina del partito e che dall’altro scorge nel leader tratti familiari ed un riferimento di cui ci si può fidare ad occhi chiusi.
Ultima tappa prima della partenza per Dalian: alla scoperta dei fast food cinesi alla Stazione Centrale
Alle 17 prendo i bagagli in albergo (il Tianan Rega, passabile ma ho dormito in alberghi migliori) e mi reco in metropolitana alla stazione dei treni di Pechino. La partenza del treno alla volta di Dalian è prevista per le ore 20 ma appena arrivato mi rendo conto che ho fatto bene a giungere alla stazione con due ore di anticipo. Non solo la folla ed il gran baccano rendono difficile qualsiasi spostamento ma anche i cartelli e le insegne, contrariamente alla metropolitana, non riportano nessuna dicitura in inglese e sono scritti solo in caratteri cinesi a me assolutamente incomprensibili; a gesti riesco a farmi indicare lo sportello giusto dove ritirare il biglietto: missione compiuta!
Prima di prendere il treno faccio un salto ad un Kentucky Fried Chicken per mangiare un boccone, faccio così per la prima volta conoscenza con la realtà dei fast food cinesi che sono diversi da quelli occidentali. La Cina è probabilmente il paese più statalista al mondo: compagnie come Coca Cola, McDonald e Kfc sono sì presentissime nel paese del Dragone, però il loro brand è stato completamente statalizzato tanto che anche i loro simboli sono scritti con caratteri cinesi. In questi fast food inoltre si possono trovare ad esempio panini con il pollo o rollate di riso più consone alla dieta cinese o il latte di soia come succedaneo della Coca o della Sprite. Lo Stato Cinese paga a queste multinazionali un affitto per il brand e nazionalizza tutti gli utili dei guadagni mentre nel resto del mondo Coca Cola, McDonald o KFC privatizzano tutte le entrate e pagano solo qualche tassa agli stati dove sono piazzati. Prima di imbarcarmi in treno una scena nella sala d’attesa una scena colpisce la mia fantasia: un nutrito gruppi di cinesi mentre sgranocchiano delle pannocchie come dei roditori! Infatti le pannocchie bollite sono vendute nei chioschi un po’ come da noi le castagne in autunno.
Alle ore 20:08 mi imbarco sul treno che mi porterà sulla costa del Mar Giallo. I treni in Cina sono identificati con delle lettere in base alla velocità (G, D, C cioè ad alta velocità, Z, T, K cioè i treni ordinari). I treni notturni, che appartengono tutti alla categoria dei treni ordinari, offrono la possibilità di dormire su cuccette morbide o dure, io ho scelto quest’ultime perché ideali in rapporto comodità/prezzo (33 Euro circa), del resto dormire in treno non è la stessa cosa che dormire in albergo. Non mi pento affatto della scelta perché, pur stretto come una sardina, riesco a passare una buona nottata, l’unico inconveniente è che per caricare smartphone, tablet, telecamere ci sono davvero pochissime prese della corrente. Un mio vicino, un ragazzo proveniente da una regione centrale della Cina di cui non ricordo il nome, vedendomi assetato mi offre due bottiglie d’acqua prima di coricarmi. In dieci ore giungo così sulla costa del Mar Giallo ed un altra parte della Cina da scoprire mi aspetta, non mi deluderà.
(Fine 3a puntata)
Le puntate precedenti
Le altre puntate
- Dalian: la città dei record
- Dalian: un circondario che pullula di storia
- Dandong: una finestra sulla Corea del Nord
- Si sconfina nella Corea del Nord
- Si sconfina nella Corea del Nord (II parte)
- Shenyang: nel cuore della Manciuria
- Shenyang: ultimi scampoli di glorie imperiali
- Ji’an: sulle montagne lungo il confine sino-coreano
- Changbai Shan: un giorno in Paradiso
- Yanji: alla scoperta della minoranza coreana in Cina
- Yanji-Pechino: un ritorno turbolento
- Epilogo