Dalla Cina con furore, Dalian, un circondario che pullula di storia

Un po’ di ripasso di storia

Venerdì 2 agosto è una giornata abbastanza interlocutoria nel mio viaggio cinese: devo infatti finire di perlustrare i dintorni di Dalian. Siccome la giornata è particolarmente uggiosa (in Cina nuvole e pioggia sono molto frequenti in estate) decido di andarmene in metropolitana a Lüshun, la vecchia Port Arthur, sede di un importante battaglia nel 1904 ai tempi della guerra russo-giapponese, un evento che cambiò la storia dell’Estremo Oriente. Al termine di questo conflitto infatti il Giappone imperiale, in piena ascesa sia economica che militare, di fatto soppiantò la declinante Russia zarista come potenza locale (con il beneplacito dei paesi occidentali) e grazie al Trattato di Portsmouth riuscì ad annettersi sia la Manciuria che la Corea.

La Penisola Coreana fu annessa al Giappone secondo il motto “nae-son-il-chae(Corea e Giappone un corpo solo) dove le autorità nipponiche imposero il genocidio culturale del popolo coreano, che si vide privato della possibilità di parlare e di scrivere la propria lingua. Durante la Seconda Guerra Mondiale oltre due milioni di coreani furono trasportati a forza in Giappone per sostituire i lavoratori autoctoni arruolati al fronte, molte donne coreane furono reclutate come donne di conforto da stuprare nei bordelli militari al fronte. In Manciuria invece l’occupazione fu meno cruenta dato che ai giapponesi interessava solamente controllare dal punto di vista economico la zona attraverso l’Armata del Kwangtung che fu installata proprio nel territorio di Dalian, uno stato fantoccio (il Manciukuò) fu istituito appena nel 1933 con la collaborazione dei deposti ufficiali della Dinastia Qing.

La prigione di Lüshun

Tutto questo excursus storico è essenziale per capire la mia prima destinazione, la Prigione di Lüshun. Arrivarci non è facile, a chi vorrebbe visitarla dalla stazione della metropolitana consiglio infatti di prendere un taxi. Questo edificio, costruito dai russi nel 1902 durante la guerra, dopo il 1905 venne preso dai giapponesi che lo ampliarono fino a poter ospitare circa duemila prigionieri, soprattutto coreani. Il posto è una vivida testimonianza di fino a che punto si sia spinta la follia criminale del Giappone imperiale paragonabile in tutto e per tutto a quella dei nazisti: ai prigionieri, che venivano chiamati con un numero esattamente come nei lager nazisti, veniva infatti imposto di vestirsi di colori diversi in base alla loro lealtà e dovevano lavorare oltre dieci ore al giorno in condizioni disumane. Interrogatori, torture con metodi sadici erano all’ordine del giorno. La forma di tortura più brutale era il cosiddetto “supplizio della ruota”: il condannato era legato per i polsi e le caviglie ad una grande ruota e con una mazza gli venivano rotte le ossa di braccia e gambe. Come cornice, immaginatevi di visitare un posto del genere in una giornata dal cielo plumbeo con nuvoloni neri che minacciano acquazzoni!

Il Cimitero dei Martiti Sovietici

Abbandonati i tristi ricordi della Prigione di Lüshun prendo un altro taxi per visitare un’altra struttura” da record” così tanto comune in questi posti: il Cimitero dei Martiri Sovietici, ovvero il camposanto per stranieri più grande di tutta la Cina. Questo gigantesco cimitero è stato progettato dai sovietici per onorare i sacrifici dei soldati dell’Armata Rossa che hanno combattuto nel Liaoning contro gli occupanti nipponici durante la Seconda Guerra Mondiale. Dopo Piazza Tienanmen questo è il secondo posto in Cina dove respiro aria di socialismo reale: all’ingresso vengo “accolto” da una gigantesca statua di un soldato sovietico che imbraccia un fucile, mentre all’interno tra le varie tombe non si contano le falci ed il martello e le stellette rosse che campeggiano su ogni tomba.

I rapporti tra cinesi e russi sono comunque sempre stati abbastanza difficili e tesi, sia per divergenze ideologiche ai tempi di Mao (la Cina maoista considerava l’Urss un paese revisionista perché aveva rinnegato lo stalinismo) ma anche per questioni più pratiche legate al tracciamento dei confini tra i due stati che, secondo i cinesi, ha penalizzato la Repubblica Popolare a discapito della Russia. Nell’ultimo decennio però si è registrato un nettissimo miglioramento delle relazioni tra le due potenze euroasiatiche per merito soprattutto di due grandi strateghi come Vladimir Putin e Xi Jinping che hanno intuito una cosa semplice: Russia e Cina hanno un grande nemico in comune e cioè gli Stati Uniti; se attraverso la Nuova Via della Seta (Belt and Road Initiative) i due paesi avranno la supremazia assoluta a livello continentale degli scambi commerciali tra Europa ed Asia gli Stati Uniti, pur controllando le rotte marittime oceaniche non potranno più farci nulla. Inoltre il mix “esplosivo” tra la potenza militare russa e quella economica cinese sarebbe incolmabile per gli USA. Per questo motivo sia la Russia di Putin che la Cina di Xi Jinping sono demonizzate dai media, capito?

L'ingresso del Cimitero dei Martiri Sovietici
L’ingresso del Cimitero dei Martiri Sovietici

Un acquazzone improvviso

All’una circa, siccome il cielo minaccia pioggia a catinelle, decido di riprendere la metropolitana che in circa un’ora mi riporta a Dalian. Pranzo in una sorta di fast food locale dove mangio una strana pasta con la cipolla ed un insolito succo di mele mentre nuvole sempre più minacciose iniziano a contornare i grattacieli del centro cittadino. Dopo essere tornato in appartamento a prendere i bagagli, alle 16 circa un improvviso acquazzone complica il mio tragitto verso la stazione dei treni (un chilometro e mezzo a piedi) dove alle 18 mi aspetta il treno per Dandong, la mia prossima meta. Credo di non aver mai visto un acquazzone del genere in tutta la mia vita! Le ampie strade di Dalian si trasformano in autentici fiumi in piena con l’acqua che mi arriva quasi alle caviglie. La pioggia è talmente fitta che a stento riesco a vedere dall’altra parte della strada, niente da fare devo aspettare la fine del nubifragio per potermi muovere. Invece vedo che mi si accosta un’automobile nera, il guidatore vede che sono straniero e che sono in difficoltà: mi fa quindi salire a bordo e mi porta a destinazione, della serie più fortuna che giudizio!

La stazione ferroviaria di Dalian è molto meno affollata e caotica di quella di Pechino, così dopo aver ritirato il biglietto, convalidato il passaporto e passato zaino e bagagli al metal detector, posso dirigermi nella sala d’attesa a prendere il mio treno rapido (di tipo D) che in circa due ore mi porterà a Dandong. Anche in questo caso alla stazione dei treni non pensate di trovare indicazioni sulle tabelle in inglese: le scritte sono solo in caratteri cinesi e gli impiegati locali che parlano la lingua di Shakespeare sono davvero pochi! Il treno è molto spazioso e confortevole, l’unico inconveniente è che le prese elettriche sono davvero poche per poter ricaricare cellulare, tablet o accessori simili; il mio consiglio è sempre quello di portarsi dei caricatori portatili.

Da Dalian a Dandong, la porta sulla Corea del Nord

Giunto a destinazione devo ancora mettere qualcosa sotto i denti, la mia fortuna è che Dandong, la porta di accesso della Cina sulla Penisola coreana, è una città molto compatta che si riesce a girare molto agevolmente. All’uscita dalla stazione dei treni non piove più e ad accogliermi c’è una gigantesca statua di Mao Zedong, una delle poche rimaste in Cina. L’albergo, l’Hilton Garden Hill di Dandong, è a pochissimi isolati dalla stazione. Sono riuscito a prenotare una stanza al penultimo piano dell’albergo con vista diretta sul fiume Yalu (in coreano Amnok) che separa per poche centinaia di metri Dandong dalla Repubblica Democratica Popolare di Corea, meglio conosciuta come Corea del Nord. La vista dalla mia nuova stanza d’albergo è un qualcosa che mi lascia a bocca aperta: vedo infatti le luci dei grattacieli di Dandong, un ponte illuminato con luci potentissime al led e dopo il fiume un muro d’oscurità punteggiato da qualche lucetta fioca, quella è la Corea del Nord!

La statua di Mao Zedong vicino alla stazione di dandong
La statua di Mao Zedong vicino alla stazione di dandong

Primo assaggio di cucina coreana: il barbecue

Per cena non devo spostarmi molto: la Strada Coreana (Erjing Jie), posto in cui si trovano molti ristorantini gestiti dalla cospicua minoranza coreana locale (a Dandong molte insegne sono bilingui)  dista qualche centinaio di metri dall’albergo. Giunto in un locale su un angolo decido di assaggiare il famoso barbecue coreano: il cameriere ti porta una striscia di carne marinata cruda (bulgogi), apre uno sportello posto al centro del tavolo dove ci sono dei carboni, li accende e poi quando la griglia è calda puoi cucinare la carne a scelta e ingurgitarla dopo averla intinta nella solita filiera di salse e spezie. Per tagliare la carne non si usa il coltello, oggetto quasi sconosciuto nella cucina di un cinese o di un coreano bensì una sorta di cesoia che da noi viene usata di più per potare i rami!

Un breve incontro inaspettato

Ritorno in albergo giusto in tempo per incontrare all’imbocco dell’ascensore due strani omini con due grosse spillette rosse appuntate sulla camicia: sono sicuramente due cittadini della Repubblica Democratica Popolare di Corea perché sono obbligati a portare sui loro vestiti una spilletta rossa con raffigurata il volto del padre della patria, il Grande Leader Kim Il Sung. Il fatto che i tizi portassero sulla spilla anche l’effige del figlio, il Caro Leader Kim Jong Il (papà dell’attuale reggente Kim Jong Un) mi fa pensare che i due tipi che ho incontrato possano essere dei personaggi di rango elevato del regime nordcoreano dato che la spilla con entrambi i volti dei due leader sono indossate solo dai nordcoreani di status più elevato. Il quinto giorno di Cina si chiude così: con io che stanchissimo sul letto mi chiedo tra me e me chi diavolo fossero quei due nordcoreani, chissà se saranno stati mandati nel mio albergo proprio dal “brillante compagno” Kim Jong Un?

(Fine 5a puntata)

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