Sinuiju: una città cantiere
Il pranzo lo consumiamo al ristorante dell’agenzia di viaggio, situato nei pressi del lungofiume: vicino all’ingresso vedo parcheggiata una bicicletta elettrica, un oggetto che è un vero lusso per la maggior parte dei coreani del Nord. E’ la prima volta che durante il viaggio mi abbuffo nel vero senso della parola: secondo usanza coreana il pasto si consuma mangiando da quattro cinque piatti contemporaneamente, non ricordo con esattezza cosa ho mangiato so solo che mi sono saziato per la prima e unica volta. Durante il pranzo ne ho approfittato per scambiare quattro chiacchiere con le mie guide, sempre molto cortesi e disponibili, e mi hanno raccontato che le autorità nordcoreane hanno appena varato un piano quinquennale che porterà la città di Sinuiju ad essere completamente ricostruita e resa simile alla vicina Dandong con nuovi palazzi, negozi per attrarre turisti dalla vicina Cina. Nella Corea del Nord infatti, la classe dei nuovi ricchi (i donju cioè i “signori dei soldi”) non avendo possibilità di investire i soldi all’estero ha deciso di investirli nel mattone: infatti sia a Pyongyang che in altre città della Corea del Nord da qualche anno a questa parte si è registrato un vero e proprio boom di costruzioni. Ovviamente per fare ciò serviranno investimenti e una normalizzazione dei rapporti con gli Stati Uniti.
Il Museo di Storia Provinciale
Dopo pranzo è la volta di visitare il Museo di Storia Provinciale, un museo che narra tutta la storia della regione del Pyonghan Settentrionale dall’antichità, dai tempi del Regno di Koguryo (sorto prima della nascita di Cristo), fino ai giorni nostri. Già da questo fatto si può capire che i coreani, come i cinesi, hanno una storia ed un sentimento comune che fonda le sue radici in tempi antichissimi, quando in Europa non esistevano ancora gli Stati Nazione. Il posto è molto più piccolo e trascurato rispetto al più grande e maestoso Museo Rivoluzionario della Provincia di Pyonghan Settentrionale, il motivo è probabilmente dovuto al fatto che in questo posto non si trattano temi politici o inerenti all’ideologia ufficiale della RPDC che è lo Juché, termine intraducibile in italiano (grosso modo significa “l’uomo è responsabile di sé stesso”) che è stato coniato dal padre della patria Kim Il Sung negli Anni Settanta nel tentativo di formare un’ideologia che compendiasse socialismo, marxismo, nazionalismo e tratti di confucianesimo.
Merita soffermarsi un pochino sulla particolare conformazione politico/ideologica della Corea del Nord. Innanzitutto la particolarità dello Juché la si può dedurre anche dal simbolo ufficiale del Partito del Lavoro che in mezzo alle classiche falce e martello si può notare il pennello, segno che gli intellettuali sono una classe sociale con pari dignità a quella degli operai e dei contadini al contrario di quanto accadeva in Cina ove, all’epoca di Mao, gli intellettuali erano ampiamente osteggiati. Inoltre, come a Cuba, i riferimenti ideologici dell’ideologia socialista sono tutti “autarchici”: in Corea ad esempio non esiste nessuna statua o raffigurazione di Lenin, Marx, Stalin o altri corifei del comunismo. Se a Cuba i due unici capisaldi del PCC sono Fidel Castro ed Ernesto Che Guevara, nella RPDC tutto ruota attorno alla famiglia Kim e allo Juché. La cosa più sbalorditiva per chi conosce la RPDC solo attraverso luoghi comuni è che il Partito del Lavoro non è l’unico partito presente al di sopra del 38° parallelo, esistono infatti anche il Partito Socialdemocratico (che rappresenta la piccola borghesia) e il Partito Chondoista (che rappresenta una setta religiosa), queste tre organizzazioni assieme formano il Fronte Democratico per la Riunificazione della Patria, a differenza di quello che succede in Occidente in posti come la Corea del Nord, che deve misurarsi con un vicino aggressivo e intenzionato da un momento all’altro a cancellare la sua sovranità, i partiti non sono in conflitto ma sono coalizzati.
La paura delle foto, una fobia tutta coreana
All’esterno, mentre cerco di scattare qualche foto delle strade circostanti, noto che due anziani locali, vestiti con le consuete vesti che si possono vedere in Corea del Nord, mi salutano sorridendo. Appena vedono l’apparecchio fotografico però quasi s’irrigidiscono scuotendo il capo: il sorriso però non era sparito dalle loro labbra! Dalle informazioni che ho carpito da altri viaggiatori i coreani (sia del Nord che del Sud) hanno una vera e propria fobia per le foto scattate in pubblico tanto che al di sotto il trentottesimo parallelo si può finire in Stato di fermo se si scattano foto a persone che camminano per strada anche come semplici passanti disinteressati. A proposito di rapporti intercoreani, un altro luogo comune che mi sento di sfatare è il seguente: nonostante mi sforzassi di nominare la Corea del Nord “Korea DPR” e di non nominare il termine “South Korea” ho notato che le mie guide usavano tranquillamente i termini “North Korea” e “South Korea” senza alcun problema a differenza di quello che si racconta spesso in Occidente.
Al Parco del Popolo… curiosi incontri!
Durante il ritorno in pullman siccome tra coreani e cinesi il clima è estremamente cordiale, qualcuno accende il televisore dove con mia grande sorpresa, invece della solenne televisione di stato nordcoreana, c’è la Tv cinese che sta trasmettendo una sorta di MTV in salsa cinese. Le mie guide sono molto entusiaste di ciò e si mettono a canticchiare qualche hit del momento che avevo già sentito echeggiare in Cina, quindi anche in questo caso mi sento di dire che la storia che i coreani del Nord non abbiano accesso a programmi, canzoni straniere sia una vera e propria bufala! L’ultimo appuntamento della gita è fissato al Parco del Popolo, un piccolo giardinetto che si trova nei pressi della stazione dei treni (imparagonabile per dimensioni ai giganteschi parchi delle città cinesi), è la prima volta dove posso incontrare cittadini locali intenti a guidare gli autoscontri oppure a sparare con il fucile del tiro a segno, ricordo di aver visto anche due coreani ciccioni, fatto insolito in un paese dove fino a venti anni fa circa si moriva letteralmente di fame e milioni di persone sono morte per carestia e denutrizione. Mentre cammino per i vialetti mi imbatto in una comitiva di ragazzini, questi appena mi hanno visto sono rimasti di stucco con la paura negli occhi perché probabilmente sarà stata la prima volta in vita loro che hanno visto un occidentale dal vivo! Io li ho salutati con un sorriso, la paura di colpo è sparita dai volti dei piccoli coreani che mi hanno ricambiato con un bel saluto con la mano e una fragorosa risata, ho raccontato l’episodio alle mie guide e si sono messe anche loro a ridere tutte felici.
Ultima tappa a Sinuiju: a caccia di souvenir
Alle 16 circa ci rechiamo al negozio di souvenir, ultima tappa prima del rientro in Cina. Ricordo di aver espressivamente richiesto una cartolina alle mie guide che però, con dispiacere mi hanno comunicato che in città non esistono negozi che rilasciano oggetti del genere dopo aver provato a telefonare a destra e a manca. Al momento dei saluti io sono il più festeggiato: manca davvero solo che il sindaco mi riceva con la banda che suona! Dato che l’operazione cartolina non è andata in porto, le due guide si sdebitano regalandomi un pacchetto di sigarette coreane (anche se non sono fumatore!) in segno di amicizia, inoltre le due foto che mi sono state sulla piazza principale, davanti alle statue dei Kim, sono già sviluppate e pronte. Ah, ultimo mito da sfatare: le autorità nordcoreane in uscita non si sono messe a controllare il mio apparecchio fotografico e mi hanno lasciato rientrare in Cina senza nessun problema.
Ritornato a Cina devo ancora realizzare di essere stato in uno dei posti più impenetrabili e misteriosi del pianeta: partito con enormi incertezze e dubbi ero tornato con un punto di vista completamente diverso da quello che in Occidente si sente spesso dire sulla Corea del Nord e sulla sua meravigliosa gente. Credo di essere stato testimone di una fase storica della RPDC: il paese si trova infatti su una china molto simile a quella della Cina nei primi Anni Ottanta sotto Deng Xiaoping quando il paese del Dragone iniziò a piccoli passi a riformare il proprio vetusto sistema economico di derivazione stalinista per emendarlo con una forma di socialismo più pragmatico e con caratteristiche inedite. Pur con le differenze del caso (Cina e Corea del Nord hanno delle strutture sociali ed economiche completamente diverse) a Pyongyang accadrà lo stesso anche se più che il modello cinese il paese sembra intenzionato a seguire le orme di quello vietnamita o del capitalismo di Stato della Jugoslavia post Tito, l’ottimo libro di Piergiorgio Pescali La Nuova Corea del Nord, Come Kim Jong Un sta Cambiando il Paese che consiglio a tutti, suggerisce queste cose che ho potuto constatare con la mia esperienza diretta.
Ultimi scampoli a Dandong: la Pagoda Jinjang
Ritornato a Dandong devo ancora vedere l’ultima attrazione cittadina, il Parco Jinjang che si trova sull’omonimo monte che sovrasta la città. Per arrivare in cima a questo monte (più che un monte è una modesta collina), dove si trova una bellissima pagoda dalla quale si ammira la vista su tutto il territorio circostante, devo camminare per circa un’oretta. Il parco è collocato quasi tutto in salita ma nonostante ciò molti sono i cinesi che camminano su e giù per i vialetti, chi a passeggio e chi di corsa. Giunto dinanzi alla pagoda non mi sembra nemmeno di essere a nemmeno un chilometro dal centro cittadino perché il verde che circonda l’edificio è a dir poco lussureggiante. Ritorno a Dandong per l’ora di cena giusto in tempo per gustarmi un piatto di manzo piccante in un ristorantino attaccato all’albergo.
Ritorno quindi sul lungofiume per un’ultima passeggiata in notturna, questa volta nella zona a Nord del Ponte Rotto. Sulla buia sponda nordcoreana vedo solo un gigantesco fascio di luce che si dipana proprio da un posto vicino al ponte che in mattinata mi ha condotto nel Regno Eremita. Capisco quindi che dovrebbe trattarsi della luce dei fari che illuminano le statue di Kim Il Sung e Kim Jong Il situate nella piazza principale di Sinuiju dove al mattino mi ero inchinato dopo aver deposto sul basamento un mazzo di fiori. E’ l’ultima immagine che ho nella mie memoria di questa fantastica avventura sul confine sino coreano, il giorno seguente infatti dovrò lasciare la zona sul confine per ritornare verso l’interno, per la precisione a Shenyang, la vecchia capitale della Manciuria.
(Fine 8a puntata)
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