
All’incontro informale del 27 febbraio alla IV Commissione Difesa della Camera dei deputati, tra gli onorevoli e i sindacati militari (SIULM, Libera Rappresentanza e SIM Carabinieri) non è stato raggiunto un accordo definitivo sul disegno di legge da portare in Parlamento sulla rappresentanza dei lavoratori militari.
I sindacati militari non sono giunti a una posizione unitaria sul modello organizzativo dei sindacati all’interno delle forze armate. Girolamo Foti presidente di Libera Rappresentanza ha dichiarato di essere fortemente contrario all’ipotesi dei sindacato interforze: «La LRM – sostiene il presidente del sindacato – dichiara la più totale contrarietà ad ogni forma di sindacato interforze. Ogni forza armata dovrà avere il suo specifico sindacato nel rispetto della propria specificità».
Di parere totalmente opposto il SIULM, che tramite un comunicato stampa osserva che la proposta di una specificità sindacale per ogni forza armata sarebbe del tutto contraria allo spirito della sentenza enunciata dalla Corte Costituzionale a giugno del 2018. Un emendamento del genere «potrebbe creare delle Corporazioni in teoria destabilizzanti e dannose di quella che è una sana pluralità sindacale – si legge nel comunicato – e elemento di particolare divisione all’interno di sindacati di una stessa Forza Armata».
Una simile spaccatura tra i rappresentanti delle FF.AA. rischia di far abortire quellA che potrebbe essere un grande salto in avanti per i diritti dei militari nel nostro paese. Prima della sentenza della Corte Costituzionale erano i Cocer ad occuparsi dei diritti e della sicurezza dei membri delle forze armate, tuttavia l’elezione dei Cocer avveniva per criteri molto stretti ed elitarie e avevano compiti molto limitati. La sentenza della Corte Costituzionale ha invece sancito la legittimità della rappresentanza sindacale anche nel mondo militare, ma ha trovato un vuoto legislativo.
Un sindacato organizzato come nei contesti ordinari di lavoro può evitare i danni fatti in passato da una scarsa attenzione per la sicurezza e la salute. Un esempio su tutti il caso della Sindrome dei Balcani, ovvero dei danni compiuti dall’uranio impoverito usato nelle campagne della NATO nella ex Jugoslavia (ma anche in Afghanistan) fra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2000, che ha aggravato le condizioni di salute di ben 7600 membri dell’esercito.
Le negligenze dei dirigenti delle FF.AA. e dello Stato nel caso di specie sono state appurate soltanto di recente da una Commissione parlamentare di inchiesta nella scorsa legislatura. Nella relazione finale si è lamentato l’ostruzionismo che le istituzioni militari avevano compiuto nei confronti di coloro che avevano partecipato alle missioni e si erano ammalati, inoltre la Commissione di inchiesta ha effettuato diversi sopralluoghi e indagini sulle condizioni delle forze armate ed è emerso un quadro raccapricciante per quanto riguarda sicurezza e salute.
Ben più di mille membri della Marina Militare sono deceduti a causa di malattie correlate all’esposizione di amianto nelle strutture di La Spezia, Taranto, Augusta; inoltre la commissione a denunciato l’esposizione dei militari dell’Aeronautica Militare a gas radon sul presidio di Monte Venda nei pressi dei Colli Euganei (Padova), dove si può registrare il decesso di 118 militari e l’aggravarsi delle condizioni di salute di ben 48.
Un quadro raccapricciante che esige un impegno sia da parte del legislatore, che da parte dei sindacati di nuova formazione, un accordo nel più breve tempo possibile, che tuteli i diritti del lavoratore militare. Ma bisogna lasciare a casa interessi personali e particolarismi.