
La richiesta di “pieni poteri” e ricostruzione del “patto che ha consentito all’esecutivo di andare avanti in questo anno e mezzo” è costata cara a Mario Draghi. La giornata dell’unto di Bruxelles si è conclusa con il mesto abbandono di Palazzo Chigi e il ritorno nella sua abitazione ai Parioli. Il passaggio alla Camera, previsto per le 9 di domattina, appare una pura formalità. Il presidente del Consiglio confermerà le sue dimissioni per salire subito al Quirinale.
L’arrogante e sprezzante chiamata alle armi dell’ex presidente della BCE, ringalluzzito dalle manifestazioni elitarie dei maggiorenti dei ceti abbienti, spaventati dalla prospettiva di perdere peso e potere, ha avuto come risultato quello di fargli perdere anche i numeri e l’appoggio di Forza Italia e Lega. Il blocco sociale dominante che Draghi ha cercato di far passare per l’Italia tutta che lo acclamava, è sprofondato in un incubo chiamato realtà.
“Non sono un premier eletto”, ha precisato Mario Draghi, rivendicando il suo essere stato calato dall’alto con la benedizione di Washington, senza alcun mandato popolare. “Sono qui solo perché gli italiani me lo hanno chiesto”, ha aggiunto il premier, auto-attribuendosi il ruolo di unico vero interprete del volere del Paese.
Il suo discorso è stato la rappresentazione plastica della protervia del potere tecnocratico, della sua intolleranza al pluralismo e ad ogni forma anche minima di contraddittorio. Un elenco di compiti da fare per compiacere l’Europa, di misure di guerra per accontentare Washington e di subalternità ai mercati per far felici i poteri sovranazionali.
Un rovesciamento del rapporto fisiologico fra governo e Parlamento che si è arrestato quando tutto sembrava sul punto di compiersi.
Il governo Draghi è franato ingloriosamente dopo un lungo tira e molla interno all’assembramento partitico che lo sosteneva. “Chiedo che sia posto il voto di fiducia sulla risoluzione presentata dal senatore Casini”. Queste le ultime parole famose dell’ex Super Mario. Una riga sola: “Udite le comunicazioni del premier si approva”.
Dopodiché è iniziato il fuoco di fila di Forza Italia, Lega e M5S. A reggere la poltrona al capo del governo dei sedicenti “migliori” sono rimasti Autonomie, Insieme per il futuro, Italia viva, Leu e Pd. Coerentemente contro, ancora una volta, Alternativa e FdI.
Ultimi scampoli prima dei titoli di coda. Iniziò sul Britannia, è finita come il Titanic.