Sul fronte del lavoro, una delle cause più sconosciute di precariato, mancanza di prospettive e di stabilità, è la stagionalità di un’attività produttiva. Per questa, intendiamo un’azienda, un ristorante, un albergo, qualsiasi attività che non lavori dodici mesi l’anno, riducendo ad otto, sei o addirittura tre mesi il suo ciclo.
Se questo fenomeno una volta era legato alle attività ricettivo – ristorative di mare e montagna (stagione estiva, della durata massima di 3 – 4 mesi al mare, stagione invernale, di 4 massimo 6 mesi in montagna, e stagione di 8 – 6 mesi nei bacini termali) ora si sta estendendo alle città, anche di un certo rango, a vocazione turistica.
Chiunque abbia potuto passeggiare nei mesi invernali di gennaio e febbraio in città come Verona, Venezia, Firenze, per fare degli esempi, avrà notato che diverse attività presentavano scritte analoghe, del tipo: “riapertura a marzo”, “chiusura stagionale”, “attività chiusa i mesi di gennaio e febbraio”, “ci rivediamo l’8 marzo”. Persino certi alberghi di città, in posizioni strategiche, hanno osservato almeno un mese di pausa lavorativa.
Apparentemente, può sembrare un fatto positivo. Il lavoratore ottiene un’agognata pausa, gode di un momento di stacco, può pensare a dedicarsi a se stesso, o magari alla famiglia, o ad un viaggio. Questa è purtroppo la pura apparenza. Quando il lavoratore viene “sospeso dal lavoro”, per stagionalità, esso è a tutti gli effetti un disoccupato, sia che sia un prestatore d’opera autonomo, che dipendente. Il disoccupato, si sa, se ha maturato all’interno di un anno un tot di mesi lavorativi, ha diritto a presentare la domanda di disoccupazione e sostegno al reddito all’INPS, l’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale.
Quest’ente, gravato da una situazione economica disastrosa, si deve anche far carico dei lavoratori stagionali, i quali mai vorrebbero troncare la loro prestazione d’opera.
In primo luogo, un lavoratore stagionale (dipendente), quando vede terminare il suo contratto e riprenderlo (negli migliore dei casi) 4 – 5 mesi dopo, ha nel suo profilo pensionistico un buco contributivo relativo al periodo non lavorato. Si pensi ad un lavoratore stagionale in montagna o termale: ogni anno 4 – 5 mesi di stop, a parità di un dipendente che lavora 12 mesi su 12, maturerà un’anzianità pensionistica molto più tardiva, ritardando il ritiro dal lavoro anche di 8 – 10 anni! Ed è pur vero che esistono i cosiddetti contributi figurativi, ossia quelli che l’INPS versa nei periodi non lavorati durante la sospensione dal lavoro.
Essi tuttavia, seppur utili, non sono certamente uguali a quelli versati dal datore di lavoro al lavoratore durante il periodo di regolare attività, e non sono sufficienti ad arrivare all’agognata pensione, ritardandone l’ingresso, come già sopraccitato, di molti anni.
Oltretutto, la situazione economica, come abbiamo visto varie volte, è drammatica. Se ai lavoratori disoccupati che han perduto la loro attività regolare di 12 mesi l’anno, l’ente previdenziale si deve far carico, ogni anno, dei lavoratori stagionali che troncano la loro opera a causa della chiusura delle strutture. Un’assurdità, sotto ogni punto di vista.
Ogni lavoratore ha diritto, ad un lavoro che possa svolgere tutti i giorni dell’anno (escluse le festività dove previsto), per una stabilità economica, morale, famigliare. In secondo luogo, siamo passati da un’epoca di tentativi di destagionalizzazione, ossia l’allargamento della stagione turistica a (quasi) tutto l’anno, ad un ritorno al passato, ossia alle chiusure forzate.
Se pensiamo che realtà come Rimini avevano inventato il turismo congressuale per tenere aperte le strutture annualmente, (e quindi offrire un lavoro stabile), il bacino Termale Euganeo (Terme di Abano e Montegrotto) ha cancellato il suo contratto territoriale, aderendo ad un ritorno alla stagionalità, ritornando ad una condizione superata almeno da 40 anni.
Inoltre, lo Stato, tramite le Regioni, incoraggia la stagionalità, riducendo le tasse alle strutture che aderiscono, arrivando ad elargire addirittura dei sussidi affinché le attività rimangano chiuse. Ci troviamo quindi in una condizione ove i datori di lavoro asseriscono di voler tenere chiuso per l’eccessiva tassazione, costo del personale troppo alto e gestione difficile, e dall’altra, lo Stato che tenta di tamponare in due modi opposti alla realtà: offrendo sussidi agli imprenditori stagionali e garantendo il sussidio di disoccupazione, tramite l’INPS ai lavoratori disoccupati. Eppure, la soluzione andrebbe nella direzione opposta, e sarebbe semplicissima: lavoro costante, 12 mesi su 12, de – stagionalizzato.
E’ chiaro che la destagionalizzazione non sia praticabile per tutte le realtà. Ad esempio, certe località di mare, sono strettamente legate alle condizioni atmosferiche e al calore estivo. Eppure, certe realtà estere si industriano anche d’inverno, trovando realtà di mare accoglienti ed in attività anche d’inverno, offrendo attrattive anche “fuori stagione”.
In Italia invece, assistiamo impassibili a dei fenomeni di città fantasma, località che durante i mesi della loro stagionalità raggiungono picchi altissimi, e durante il periodo di non attività, sono spopolate, chiuse, quasi fossero delle “ghost towns” americane in pieno deserto. Non siamo in grado di vedere la via di mezzo, che salvaguarderebbe il lavoro di diverse persone, che non si vedrebbero costrette ad elemosinare, all’improvviso, il sussidio di disoccupazione dallo Stato. Il quale, subissato di domande, non riesce a rispondere alle domande in tempi brevi, ma, a domanda presentata, impiega anche 4 mesi prima di elargire il denaro. E ciò diventa impensabile se pensiamo che questo serve per la sussistenza quotidiana: come può un lavoratore, disoccupato, a sopravvivere 4 -5 mesi senza sussidio e senza poter lavorare?
Ovviamente, i dipendenti allo sportello dell’INPS non sanno offrire risposte adeguate ai ritardi nelle erogazioni, che, ripetiamo, non dipendono solamente dall’ente, ma dall’enorme carico di disoccupati in questo momento in Italia, dovuti alla crisi e alle politiche fallimentari dei governi, ai quali si aggiungono, purtroppo, anche i lavoratori stagionali.
L’ultimo tassello, è quello delle città. Se un tempo, la stagionalità era confinata al mare, alla montagna, certi laghi e alle terme, ora sta divenendo prassi delle città. E questo sarebbe un’ulteriore colpo da infliggere all’economia fragile dei centri storici italiani. Trovare ristoranti, gelaterie, alberghi chiusi (stagionalmente), in località spesso a forte vocazione turistica, corrisponderebbe a mera stupidità. Non solo i centri storici si stanno svuotando a causa di affitti impossibili (soprattutto nel nord – est, dove non c’è alcuna volontà di abbassare i canoni, desertificando i centri storici e riducendo movimento, traffici e bellezza urbana), ma ora anche per la cosiddetta “chiusura stagionale”. Sembrava assurdo, passeggiare per Verona in gennaio o febbraio, e vedere chiuse determinate attività, quando, contemporaneamente, si portano avanti operazioni di marketing come “San Valentino” o “Romeo e Giulietta”.
Ad ogni modo, chi ancora una volta ci rimette è il lavoratore. Quest’ultimo, stagionale, il più delle volte svolge lavori usuranti. Lavora precariamente alcuni mesi dell’anno. Non matura stabilità pensionistica, e il suo ritiro sarà ritardato rispetto alla norma. Come se non bastasse, i mesi di mancato lavoro, è disoccupato, e se ha famiglia e figli, dovrà chiedere un aiuto per sopravvivere.
Se nessuno ha mai pensato a questa categoria, e qualcuno, che sieda in uno scranno più alto del mio, può leggere, mediti sul fatto che esistano categorie molto disagiate, ma invisibili. O rese tali.
A me hanno garantito che il sussidio viene elargito per la metá de periodo lavorativo ma la copertura contributiva rimane comunque per tutto il priodo es. Lavori 6 mesi ti pagano 3 mesi di disoccupazione ma i contributi figurativi coprono comunque i sei mesi. Il problema se mai ora è un’altro e riguarda l’etá pensionabile. Da quello che stó legendo in giro su internet circa l’abolizione della legge Fornero che tanto attendevamo da parte del nuovo governo, sembrerebbe che siamo caduti dalla padella nella brace . Sembrerebbe infatti che vogliano si abolire la Fornero ma con alcuni paletti tra i quali quelli di potersi avvalere di soli due o massimo tre anni di contribuzione figurativa. Nel mio caso essendo uno stagionale del mare che ha sempre lavorato sei mesi e disoccupato per gli altri sei i miei 30 anni di contributi totali si ridurrebbero a poco piú di 15 quindi se con la Fornero sarei andato in pensione a 67 anni ora ci dovrei andare a 82 per arrivare a quota 100 (considerando che mi posso avvalere di altri anni di contribuzione precedenti a questi 30) oppure mi dovrei accontentare della pensione sociale . Spero che si tratti di voci infondate altrimenti sarebbe una ulteriore delusione che da questo governo non mi sarei proprio aspettato, altro che tagliare le pensioni d’oro e i vitalizi dei parlamentari ,si andrebbe apescare sempre nelle tasche dei poveri diavoli e se consideriamo che in Italia gli stagionali tra mare montagna terme agricoltura e molti altri settori sono sono tantissimi non so cosa succederebbe. Spero proprioche si tratti solo di ipotesi.
Complimenti per l’articolo, aggiungo solo che con la NASpI, il nuovo ammortizzatore sociale introdotto a partire dal Maggio 2015, il sussidio di disoccupazione per un lavoratore stagionale impiegato 6 mesi l’anno si è ridotto del 50 %: per 3 lunghi mesi questi lavoratori non avranno alcuna entrata economica nè contribuzione figurativa. È questo l’aspetto più drammatico e preoccupante di tutta la vicenda. Grazie