Intorno a Licio Gelli è sempre circolato un alone d’onnipotenza, alimentato anche dal fatto che tutti gli attribuissero segreti, colpe e conoscenze che magari in realtà neppure possedeva, ma che lui stesso ben si guardava dallo smentire. Nato a Pistoia il 21 aprile del 1919, è stato il classico faccendiere all’italiana, salito agli onori della cronaca soprattutto per il fatto di vestire i panni di Maestro Venerabile della famigerata Loggia Massonica P2. E’ morto esattamente due anni fa, il 15 dicembre del 2015, portandosi con sé la chiave di molti e tuttora irrisolti misteri italiani.
Figlio di un mugnaio, partecipò come volontario delle Camicie Nere alla Guerra Civile Spagnola, insieme al fratello maggiore Raffaello che perse la vita nei combattimenti di Malaga. Al ritorno in patria, poiché amava dilettarsi di narrativa e di poesia, raccontò la sua esperienza spagnola nella raccolta dal titolo “Fuoco! Cronache legionarie della insurrezione antibolscevica di Spagna”.
Non approdò mai all’università, anche perché venne espulso da tutte le scuole del Regno dopo aver preso a schiaffi un suo professore. Riuscì, malgrado ciò, a diventare un impiegato del GUF.
Nel luglio 1942, in qualità d’ispettore del Partito Nazionale Fascista, si vide affidare il compito di trasportare in Italia il tesoro di Re Pietro II di Jugoslavia, requisito dal Servizio Informazioni Militare: in tutto erano sessanta tonnellate di lingotti d’oro, due di monete antiche, sei milioni di dollari e due milioni di sterline. Nel 1947, quando il tesoro venne restituito alla Jugoslavia, mancavano venti tonnellate di lingotti: è stata fatta l’ipotesi, sempre smentita da Gelli, che le avesse trasferite per tempo in Argentina e che una loro parte si trovasse tra i preziosi poi scoperti nelle fioriere di villa Wanda. Anche sul tesoro del ricchissimo Pardo Roques, presidente della Comunità Israelitica di Pisa, morto in una misteriosa rapina fatta dai fascisti e dalle SS nel 1944, sono state accampate, ugualmente con poco successo, le medesime ipotesi.
Dopo l’8 Settembre del 1943 Gelli aderì alla Repubblica Sociale Italiana e divenne un ufficiale di collegamento fra Salò e il Terzo Reich; ma quando s’accorse che le sorti del conflitto erano ormai inevitabilmente compromesse per i tedeschi e i loro alleati italiani, iniziò a fare il doppio gioco aiutando gruppi di partigiani per guadagnarsi ai loro occhi meriti con cui riciclarsi nel Dopoguerra. E così fu perché a quanto pare, ritornata la pace, Gelli riuscì abilmente a giocare il ruolo d’informatore per le agenzie di intelligence statunitensi e britanniche, oltre che per lo stesso PCI (anche se pure su questo fatto i sospetti del SIFAR non vennero mai del tutto confermati).
In quegli anni, ufficialmente, Gelli era solo il proprietario di una libreria; dal 1956 divenne poi direttore dello stabilimento Permaflex di Frosinone, finanziato dalla Cassa del Mezzogiorno. Nel frattempo, però, faceva anche da autista per il deputato democristiano Romolo Diecidue, eletto nel collegio di Firenze e Pistoia, dal 1948 al 1958.
Nel 1963 fu iniziato alla Massoneria, di cui rapidamente cominciò a scalare le gerarchie. La P2, in quegli anni, era ancora un oggetto sconosciuto e misterioso: si racconta che l’avesse fondata Eugenio Cefis, il vice di Enrico Mattei all’ENI, e che fu poi secondo le ultime indagini il mandante dell’omicidio-attentato di Mattei stesso. Cefis avrebbe poi lasciato la guida della P2 a Gelli a partire dal 1977, dopo il suo improvviso ed imprevisto ritiro dalla scena pubblica, allorché decise d’andare a vivere in Svizzera con un patrimonio stimato in cento miliardi di lire dell’epoca.
Contemporaneamente, pare che Gelli avesse un forte ruolo anche nella Gladio, struttura segreta promossa dalla NATO e dagli Stati Uniti in funzione anticomunista, ma anche questo aspetto non venne mai esaminato con grande attenzione e men che meno ci si sforzò d’individuarne i collegamenti con la P2.
Nel 1980 l’ex Re d’Italia Umberto II di Savoia investì Licio Gelli del titolo di Conte, col motto di “Virtute Progredior”. Successivamente Gelli venne inquisito per i fatti relativi alla Strage di Bologna e condannato a dieci anni per depistaggio, e condannato a dodici anni per la bancarotta del Banco Ambrosiano, un’altra torbida storia dalla quale emersero i collegamenti con la Mafia e con Michele Sindona, anch’esso membro della P2.
Il misterioso archivio segreto di Licio Gelli, sparso in mezzo mondo, fra l’Argentina e Montevideo, fra Montecarlo e Villa Wanda, resta tuttora inaccessibile con tutti i misteri che contiene.