Dopo i dazi annunciati da Trump, che colpiscono l’interscambio commerciale fra Cina e Stati Uniti per un valore di almeno sessanta miliardi di dollari, da Pechino non è tardata la risposta: ben 128 prodotti, per un totale di tre miliardi di dollari, saranno posti sotto il mirino delle autorità cinesi almeno finché quelle americane non torneranno a preferire un accordo più costruttivo.
La guerra dei dazi fra le due grandi potenze, nonché le due prime economie del mondo, ha subito fatto franare le borse: dopo Wall Street, anche Tokyo e Shangai hanno chiuso con indici in caduta libera. La Borsa di Tokyo ha fatto segnare la maggiore flessione giornaliera da inizio febbraio, mentre lo yen s’è apprezzato ai massimi in 16 mesi sul dollaro. L’indice Nikkei ha ceduto il 4,51%, a quota 20.617,86, con una perdita di 974 punti. L’indice Composite di Shanghai ha chiuso a -3,39%, a 3.152,76 punti, mentre quello di Shenzhen ha perso anche di più, -4,49% a quota 1.766,61. Quanto a Wall Street chiusura in profondo rosso, col Dow Jones che ha perso il 2,93% a 23.960 punti. Male anche il Nasdaq che ha ceduto il 2,43% a 7.166,68 punti e l’indice S&P600 scivolato del 2,52% a 2.643,70 punti. Anche in Europa le preoccupazioni non sono poche e le borse risultano tutte in fibrillazione. Parigi (-1,42%) è la peggiore dietro a Francoforte (-1,3%), Madrid (-1,25%) e Milano (-1,28%).
Chen Fuli, vicecapo del dipartimento Trattati e Norme del ministero del Commercio, ha detto che Pechino si oppone a una guerra commerciale, ma che al tempo stesso non ne ha paura. “Seguiremo da vicino gli sviluppi dell’indagine ex Section 301. Non appena gli USA prenderanno le misure, la Cina replicherà senza esitazione”, ha infatti dichiarato al Quotidiano del Popolo.
Il ministero del Commercio cinese, auspicando un passo indietro di Washington per evitare di colpire “seriamente” i rapporti bilaterali e l’interscambio globale, ha spiegato in una nota che le misure all’import di prodotti statunitensi potrebbero essere adottate in due gruppi qualora mancasse un accordo, preannunciando così l’ipotesi di un ricorso ad azioni legali in linea con le norme del WTO, l’Organizzazione mondiale del commercio. Pechino infatti “sollecita gli USA a risolvere le preoccupazioni cinesi il prima possibile”, si legge nel comunicato postato sul sito del ministero che evita di stabilire delle scadenze, preferendo insistere sul ricorso al dialogo.
Tra i prodotti americani nel mirino, ad esempio, ci sono carne di maiale, frutta, tubi di acciaio, scarti in alluminio, vino ed etanolo, il cui valore è stimato in circa tre miliardi di dollari complessivi secondo i valori del 2017. I beni sarebbero divisi in due gruppi di cui uno sottoposto a dazi del 15%, alla stessa percentuale fissata dagli Stati Uniti sull’import di alluminio, e un secondo destinatario invece di un’aliquota al 25%, come nel caso delle misure statunitensi per l’acciaio. L’approccio di Pechino resta tuttavia molto morbido, ma in caso di inasprimento dei rapporti, l’attenzione si potrebbe spostare maggiormente sul settore agricolo, la prima voce dell’export statunitense verso la Cina: nel 2016 gli Stati Uniti infatti hanno spedito semi di soia verso la Cina per 14,2 miliardi di dollari.