
Chiude i battenti, per cause di forza maggiore, un’altra sede della “Accoglioni”, azienda leader nel settore della trasformazione dei disperati in assegni circolari. Non si fa in tempo a scrivere dei guai di uno dei suoi manager che subito un altro varca la porta di ingresso di una caserma o di una cella. Pasquale Infante, capogruppo Pd al Comune di Eboli, dove si fermò il Cristo di Levi, è stato arrestato per associazione a delinquere finalizzata alla riduzione in schiavitù e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nell’ambito di un’inchiesta sul caporalato. Il gip ha concesso gli arresti domiciliari al “dem”.
Infante, commercialista, avrebbe avuto, secondo gli inquirenti, un ruolo importante all’interno del “sistema” scardinato dagli uomini del reparto operativo dei carabinieri del Comando Provinciale di Salerno con un blitz che ha interessato i centri salernitani di Battipaglia, Eboli, Montecorvino Pugliano, Olevano sul Tusciano, San Marzano sul Sarno, Pontecagnano Faiano, Nocera Inferiore, Pagani, Altavilla Silentina ed Angri ma anche Policoro, in provincia di Matera e Monsummanno, in provincia di Pistoia. L’inchiesta, partita nell’agosto 2015, ha fatto emergere l’esteso fenomeno del caporalato nella Piana del Sele.
La Direzione distrettuale antimafia di Salerno ha disposto 27 misure di arresti domiciliari e otto obblighi di dimora e presentazione alla polizia giudiziaria, eseguiti dai carabinieri del comando provinciale di Salerno, con il supporto del nucleo elicotteri di Pontecagnano, del nucleo carabinieri Ispettorato del lavoro di Salerno e del personale dei comandi provinciali di Matera e Pistoia. Delle 35 misure cautelari otto non sono state eseguite, in quanto i destinatari non sono stati rintracciati.
Pesantissimi i capi d’imputazione: associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento e sfruttamento dell’immigrazione clandestina, intermediazione illecita e sfruttamento di lavoratori con e senza permesso di soggiorno, riduzione in schiavitù e tratta di persone.
I migranti, spesso privati anche del passaporto o costretti a subire violenze o minacce, pagavano dai 5mila ai 12mila euro per la falsa documentazione, finendo a lavorare nei campi a nero, in condizioni di vera e propria schiavitù.
Oltre ai permessi di soggiorno falsi, che secondo le stime dei carabinieri hanno generato proventi per oltre 6 milioni di euro a partire dal 2012, c’erano anche i guadagni provenienti dal caporalato.
Agli imprenditori agricoli locali, che facevano parte del sodalizio criminale, non solo veniva assicurata manodopera sottopagata ma veniva corrisposto anche un compenso tra i 500 e i 1.000 euro, per ogni contratto di lavoro fittizio stipulato.
A capo dell’organizzazione, con base nel salernitano ed appoggi anche in Francia, Belgio e Marocco, c’era il marocchino Hassan Amezghal, detto “Hassan appost”, che gestiva il business dei migranti. Questi a volte arrivavano in Italia volte in aereo con biglietto pagato dal sodalizio che poi provvedeva a “collocarli” e sfruttarli.
Amezghal ed Infante sono loro le figure centrali dell’inchiesta della Dda di Salerno. Il marocchino, nel corso di una delle conversazioni intercettate, diceva testualmente: “… io in una giornata guadagno 300 euro”.
Soldi sul sudore e sul sangue di uomini sfruttati ed umiliati all’ombra dell’ipocrisia sfacciata di chi non vuole chiamare con il suo nome quella che è solo una squallida tratta degli schiavi.