
A parte Yahya Sinwar, Hamas è stato intensamente criticato per il suo eccessivo avvicinamento a Turchia e Qatar nel periodo delle cosiddette “primavere arabe”; gli alti vertici del movimento, a partire da Khalid Meshaal e Moussa Marzouk furono fin troppo rapidi a sciogliere (alcuni dicono addirittura lacerare o troncare) i buoni rapporti con la Siria, con Hezbollah e con l’Iran per passare armi e bagagli nel campo (cripto)filo-ISIS, Ankara e Doha.
Di fedele all’Asse della Resistenza rimaneva, nella dirigenza, apparentemente il solo Mahmoud Zahar che, al netto del prestigio di essere praticamente l’unico capo fondatore di Hamas ancora in vita, però aveva poco “peso specifico” all’interno dell’Ufficio Politico; infatti anche per questo quando Zahar stesso venne visto (ufficialmente in qualità di ospite) a eventi della Jihad Islamica Palestinese, corse la voce che fosse in procinto di staccarsi da Hamas per trasferirsi nella più agguerrita (ma anche molto più piccola) organizzazione.
Questa situazione potrebbe essersi modificata, forse decisivamente, da appena un paio di giorni, quando cioè è stata annunciata la successione di Yahya Sinwar a Ismail Haniyeh come Premier di Gaza (ricordiamo che Hamas è l’ultima formazione politica ad avere vinto regolari e democratiche elezioni tenutesi non solo nella Striscia, ma anche in Cisgiordania).
Sinwar, cinquantacinquenne, è un uomo di apparato, specializzatosi in contro-intelligence e nell’organizzazione militare; fu lui, creando e dirigendo a fine anni ’80 la “Munazzamat al Jihad w’al-Dawa” (il controspionaggio interno di Hamas) a individuare e sradicare dozzine di collaborazionisti e spie dello Shin Bet.
Per la sua efficienza venne rapito nel 1989 dagli israeliani e incarcerato, passando ben 22 anni in prigione.
E’ stato liberato nel 2011 grazie alla trattativa per il rilascio di Gilad Schalit, ma fin dal momento della sua liberazione, pur riconoscente per ovvi motivi, dichiarò che, al posto dei dirigenti che avevano gestito la trattativa, non avrebbe acconsentito allo scambio di prigionieri.
Apparentemente, dunque, ci troviamo di fronte a un “falco” a un inflessibile, a un uomo che sembra forgiato nello stampo di Kaganoviç.
Vedremo se la responsabilità di gestire e amministrare un territorio assediato, un ghetto strangolato che qualcuno ha definito “La più grande prigione a cielo aperto del Pianeta” molcirà il suo contegno, oppure lo irrigidirà ulteriormente.
La staffetta tra l’entrante Sinwar e l’uscente Haniyeh (che alcuni dicono punti a sostituire Khaled Mishaal sulla poltrona di Segretario Generale di Hamas) è segno di una svolta nella dialettica interna al movimento, con l’ala militare delle Brigate Ezzedin al-Qassam che avrebbe ripreso vigore contro gli “Ikhwaniti” in profonda crisi dopo il reflusso seguito alle ‘primavere arabe’.
In particolare gli uomini del comparto militare imputavano ai rivali il totale fallimento seguito alla prova del fuoco dell’estate 2014 quando, di fronte a una vittoria tattica nei confronti dell’aggressione militare di Tsahal, la dirigenza non riuscì a tradurla in un vantaggio anche politico, essendosi alienata i partner che potevano essere più utili in quel momento (appunto, quelli più legati alla Resistenza…Hezbollah, Damasco, Teheran) ed essendosi eccessivamente ‘prostrata’ a padrini che in quel momento avevano altro a cui pensare (come Turchia e Qatar).
Paolo Marcenaro
Personalmente dichiaro di aver promosso l’abbattimento della striscia di Gaza in presenza del
Presidente della Palestina , del re di Giordania e di Benjamin Netaniau e per l’Italia il Presidente del Consiglio Matteo Renzi e una delegazione i cittadini napoletani che in presenza del Sacerdote del Tempio hanno firmato per la Pace nel mese di Marzo del 20
13 anche in presenza di Barah Obama e Bill Clinton. Nessuno ne ha parlato ma vi assicuro nel nome di CRISTO di credermi.
Andate al Termpio di Gerusalemme e parlate con il Sacerdote, il terzo millennio si deve aprire nel segno della PACE.
Questa nomina andrebbe vista anche nel quadro della evoluzione della situazione tra lo stato di Israele e la amministrazione Trump.
Ieri il presidente americano e quello israeliano si sono incontrati e da quell’incontro è uscita una dichiarazione contraddittoria che dice :uno stato o due stati purchè ci sia la pace.
Come dichiarazione politica non è un granchè; bisognerebbe vedere quale è la vera posizione americana sulla questione palestinese che per ora sembra ancora a favore di Israele.
La soluzione a uno stato potrebbe consentire agli israeliani di completare “legalmente” l’opera di pulizia etnica in corso da anni senza avere più la necessità di dover incorrere in condanne per occupazione illegale di territori come invece ora potrebbe ancora succedere ( si fa per dire in quanto le risoluzioni ONU sono state tutte disattese).
Conta molto anche la situazione politica nel campo palestinese e questa elezione bisogna vedere a quale evoluzione potrebbe portare anche rispetto alle cose suddette.
(Alp Arslan)