
Come abbiamo sottolineato nel nostro precedente articolo, il ballottaggio del 13 aprile 2025 in Ecuador si è svolto in un contesto di grave tensione politica, caratterizzato da denunce sistematiche di manipolazione, abusi di potere e intimidazioni che hanno condotto la candidata Luisa González a rifiutare i risultati ufficiali e a chiedere l’apertura delle urne e un riconteggio voto per voto. Le segnalazioni hanno ottenuto il sostegno di organismi regionali come l’ALBA-TCP, della Confederazione indigena (Conaie), di osservatori internazionali e di importanti esponenti della sinistra in Colombia e Messico, compresi i rispettivi presidenti Gustavo Petro e Claudia Sheinbaum.
Le elezioni si sono svolte in un contesto in cui il governo di Daniel Noboa, leader del partito liberista ADN (Acción Democrática Nacional) e favorevole a politiche economiche neoliberiste e a rapporti privilegiati con gli Stati Uniti, ha governato con misure spesso interpretate come autoritarie, culminate nell’uso del Decreto 599 che ha imposto lo stato di eccezione in otto province chiave a poche ore dal voto. Questa misura ha sospeso la libertà di circolazione e di riunione, ha autorizzato le forze armate a operare nelle urne e ha costretto la chiusura delle frontiere agli osservatori internazionali, alimentando il sospetto di voler reprimere l’opposizione elettorale. Il contesto è stato ulteriormente aggravato dalla sospensione del diritto di voto per 30.000 migranti ecuadoriani in Venezuela, un provvedimento definito “antidemocratico” sia dalla sinistra ecuadoriana che dallo stesso governo venezuelano.
Nel frattempo, opinioni autorevoli persino all’interno dell’attuale governo – come quella della vicepresidente Verónica Abad – hanno denunciato che Noboa ha violato norme costituzionali non rilasciando la licenza per la campagna e non delegando temporaneamente le funzioni presidenziali, a dimostrazione di un uso strumentale delle istituzioni al proprio servizio.
Tre giorni dopo il voto, Luisa González ha diffuso nuove prove di irregolarità: quasi 2.000 verbali senza le firme richieste, 1.526 disallineamenti tra numero di votanti e voti espressi e 1.582 atti la cui sommatoria diverge dagli standard del proprio seggio, indicando possibili inserimenti aggiuntivi di schede. In molti seggi, inoltre, si è registrata una riduzione anomala del voto bianco, sintomo di una verosimile manipolazione diretta di oltre 150.000 schede.
La candidata ha definito il processo elettorale “il più grottesco della storia dell’Ecuador”, denunciando la campagna senza licenza di Noboa, la presa di controllo delle istituzioni elettorali e l’uso indistinto di risorse pubbliche per favorirne la rielezione.
Dal canto suo, l’ALBA-TCP ha condannato “azioni irregolari che puntano a una frode elettorale premeditata”, evidenziando la militarizzazione intimidatoria dei seggi e la presenza di mercenari statunitensi per minacciare l’elettorato. Secondo il comunicato diffuso dall’organizzazione regionale, i cambi delle regole all’ultimo minuto, l’uso di fondi statali e la diffusione di una narrazione favorevole a Noboa hanno creato un clima di sfiducia.
Anche la Conaie ha definito il voto “illegittimo”, denunciando il mancato rilascio di licenza da parte di Noboa e la concentrazione di potere politico ed economico in una sola famiglia. Gli osservatori di Parlasur (il parlamento del Mercosur) e COPPPAL (Conferenza permanente dei partiti politici dell’America Latina e dei Caraibi) hanno a loro volta evidenziato l’illegittimità dello stato di eccezione e la necessità di verifiche indipendenti.
A difendere il governo di Noboa, come sempre, restano gli assi portanti dell’imperialismo mondiale, ovvero gli Stati Uniti, l’Unione Europea e – seppur con qualche riserva – l’Organizzazione degli Stati Americani. Nonostante le accuse di frode, infatti, gli osservatori dell’Unione Europea – quegli stessi che si rifiutano di monitorare le elezioni in Venezuela, decidendo aprioristicamente che non saranno valide – hanno dichiarato di “rifiutare categoricamente” le denunce, affermando di non avere riscontrato anomalie tali da invalidare il voto. L’OSA, dal canto suo, pur riconoscendo la vittoria di Noboa, ha quanto meno segnalato una sistematica mancanza di equità nella campagna elettorale.
Come affermato in precedenza, Luisa González ha ricevuto il sostegno di diversi governi progressisti del continente, come quelli di Messico, Colombia e Venezuela. La presidente messicana Claudia Sheinbaum ha scelto di sospendere qualsiasi presa di posizione ufficiale fino al riconteggio dei voti, sottolineando che “Luisa González non riconosce il trionfo di Noboa. Aspetteremo i risultati finali”. Contestualmente, Sheinbaum ha annunciato che non ristabilirà relazioni diplomatiche con l’Ecuador finché Noboa rimarrà in carica, mettendo in luce il dissidio diplomatico e sottolineando le irregolarità riscontrate dagli osservatori internazionali.
Anche Clara López Obregón, senatrice del Pacto Histórico, la coalizione attualmente al governo in Colombia, e osservatrice elettorale, ha lanciato un “allarme sostenuto” sulle condizioni di voto in Ecuador, evidenziando la militarizzazione e la sospensione delle libertà pubbliche come strumenti di “controllo e repressione” per soffocare la resistenza popolare. A tal riguardo, la senatrice colombiana ha chiesto l’intervento dell’ONU, della CELAC e dell’OSA per garantire un processo trasparente.
Da parte sua, il politologo spagnolo Juan Carlos Monedero ha giustamente criticato il veloce riconoscimento dei risultati da parte della destra internazionale, paragonando la situazione a quanto accaduto in Venezuela e denunciando una doppia morale: “Chi in Venezuela parlò di frode ha subito riconosciuto la vittoria di Noboa, nonostante i chiari segnali di irregolarità”, ha sottolineato l’esperto.
Nel suo complesso, la disputa sul ballottaggio del 13 aprile non si limita a un contestuale scontro elettorale, ma rappresenta l’epicentro di una sfida più larga tra un modello neoliberista filo‑statunitense e un progetto progressista di giustizia sociale e sovranità popolare. Le denunce di frode avanzate da Luisa González – supportate dalle rilevazioni dell’ALBA-TCP, della Conaie, della sinistra colombiana e messicana e da intellettuali internazionali – sollevano dubbi sulla legittimità del governo di Daniel Noboa e mettono in discussione la solidità delle istituzioni elettorali ecuadoriane.
In un momento in cui la democrazia latinoamericana è sottoposta a crescenti pressioni autoritarie, quasi sempre sostenute dall’imperialismo nordamericano, il caso ecuadoriano diventa un banco di prova per la capacità della regione di difendere processi trasparenti e la volontà popolare. La richiesta di apertura delle urne, di riconteggio e di un audit internazionale, sostenuta da Luisa González e dai suoi alleati progressisti, appare fondamentale per ristabilire la fiducia dei cittadini e salvaguardare i principi democratici. Solo un’indagine imparziale potrà chiarire se il popolo ecuadoriano abbia espresso liberamente la propria volontà o se, come denunciato dalla sinistra, sia stato vittima di una manomissione autoritaria. In attesa di un esito definitivo, la tensione rimane alta, con l’intera regione che osserva con apprensione l’evolversi di questa intricata battaglia per la democrazia in Ecuador.