Le elezioni presidenziali americane si terranno l’8 novembre del 2016, ma la campagna elettorale e le mosse politiche sono già in corso. Tra Democratici, che non vogliono perdere la loro posizione di favore, e Repubblicani, determinati più che mai a tornare al potere, si sta rinnovando la competizione per ottenere il posto alla Casa Bianca e si può già dire che non mancano anche lotte intestine interne ai due schieramenti per fare emergere il candidato definitivo da presentare.
Tra i candidati Repubblicani troviamo: Ted Cruz, Rand Paul, Marco Rubio, Ben Carson, Carly Fiorina, Mike Huckabee, Rick Santorum, George Pataki, Lindsey Graham, Jeb Bush, Donald Trump, Bobby Jindal, Chris Christie, John Kasich e Jim Gilmour. Tra i “ritirati eccellenti” per ora, figurano Rick Perry e Scott Walker.
Mentre, tra i candidati democratici troviamo: Hillary Clinton, Bernie Sanders, Martin O’Malley, Lincoln Chaffee e Jim Webb. Tra i possibili candidati, troviamo Joe Biden, Elizabeth Warren ed Andrew Cuomo.
Nonostante le folte rose di entrambi gli schieramenti, i titoli dei candidati ed i nomi eccellenti da esperti della politica, la grande sfida che si pone innanzi al futuro presidente USA è quella di risolvere una preoccupante situazione in politica interna, con le rivolte che stanno flagellando gli States, l’economia in stagnazione, se non quasi in caduta libera, e la situazione quantomai ingarbugliata in politica estera. L’erede del Premio Nobel per la Pace Barack Obama, si troverà a fronteggiare il passaggio dal mondo unipolare a dominio Statunitense a quello multipolare, che vedrà come protagonisti i paesi emergenti, ossia i BRICS: Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. In particolare, il mondo americano, da qui al 2016 assisterà all’ascesa di Russia e Cina e alla loro già crescente preminenza nella dimensione internazionale.
Considerata la totale incapacità della classe dirigente americana, salvo pochi esempi interessanti, uno su tutti Ron Paul negli anni passati, è facile presumere che il passaggio delle consegne sarà una nuova spinta verso il baratro per l’intero paese.
Non è difficile immaginare che, come al solito, i candidati che arriveranno a fronteggiarsi per il posto alla Casa Bianca verranno scelti anche sulla base delle loro idee in politica estera, ossia, se permetteranno all’enorme settore dell’industria degli armamenti di continuare la politica di “esportazione della democrazia”.
Il fatto che le lobby svolgano un ruolo fondamentale nella scelta del presidente è un fatto noto e provato, soprattutto per il fatto che la campagna di tutti i candidati, e la riuscita politica, è determinata dai finanziamenti che ne stanno alla base.
Chi sarà il prossimo presidente? Hillary Clinton che il 3 luglio 2015 ha dichiarato senza mezzi termini: “voglio che iraniani sappiano che, se io sarò presidente, attaccheremo l’Iran”1 oppure uno qualunque dei suoi possibili avversari? Il segnale è stato lanciato e a quanto pare anche i repubblicani, nella figura della ben nota Sarah Palin hanno pensato di ribadire le loro idee di necessità di un attacco all’Iran, attaccando in maniera confusa e con metafore fuorvianti il recente accordo sul nucleare stretto dalla Casa Bianca con l’Iran, che a tutti gli effetti, pare essere una mossa di facciata per raffreddare l’ostilità con l’Iran, in vista di possibili benefici in politica estera, probabilmente legati alla questione siriana.
In definitiva, pare proprio che tra i due schieramenti, non ci siano reali differenze di fondo. Come abbiamo visto, anche l’attuale Premio Nobel per la Pace, all’inizio della sua presidenza, aveva lasciato presagire che il suo “regno” sarebbe stato caratterizzato dalla pace, fatto puntualmente smentito dagli avvenimenti degli ultimi anni.
Cosa dovrà fare il nuovo presidente degli Stati Uniti?
Una piccola curiosità, nell’ultimo remake di “Robocop” viene mostrato un intro in cui potentissimi robot verranno impiegati come sentinelle nell’Iran occupato dell’anno 2028, rappresentando Tehran in maniera ridicola come una novella Kabul.
Che siano questi i nuovi sogni proibiti che il nuovo presidente insediatosi dovrà portare a compimento in un modo o nell’altro?
Di sicuro Hillary o no, Iran o non Iran, la sostanza per i cittadini americani e soprattutto per il loro status di contribuenti, cambierà ben poco.