
Ciò a cui abbiamo assistito dalle 23.00 dello scorso 26 gennaio, quando le urne in Emilia Romagna e in Calabria si sono dischiuse per consegnare un responso elettorale galvanizzante per alcuni ed indigesto per altri, non era alla fin fine proprio così “imprevedibile”. Anzi, come pure qualche (purtroppo sempre tradizionalmente inascoltata) Cassandra aveva cercato di far notare, s’è trattato del naturale esito d’un processo forse fin troppo sottovalutato da chi già credeva d’avere la vittoria in tasca, partito almeno due mesi prima e concretizzatosi nelle ormai celeberrime “Sardine”.
Lo scopo primario delle Sardine, in fondo, era quello d’intercettare il voto in uscita dal M5S ormai in caduta libera oltre a pescarne altro ancora dal fronte dell’astensionismo, per traghettarlo verso il PD e l’area di centrosinistra incarnata dalla coalizione che gli ruota intorno. Del resto, proprio dal PD, originariamente, quel voto proveniva, prima di confluire nel corso degli anni nel M5S o nell’astensionismo: si trattava dunque d’un ritorno a casa, dopo qualche annetto sabbatico. Le vere sardine, in questo senso, erano proprio quei voti, mentre le Sardine intese come movimento erano invece le reti del peschereccio zingarettiano.
Ora, nella pesca con le reti capita anche di prendere non soltanto il pesce a cui maggiormente si mira, ma pure altro ancora: a volte ciò non fa molto piacere ma, in questo caso, la mossa era invece intenzionale. Le destre, in primo luogo la Lega, hanno infatti subito “abboccato”, mettendosi così sulla scia delle Sardine con pinguini e gattini ed altre espressioni che denunciavano la volontà di preferire gli slogan e le goliardate all’analisi e alla strategia, cose che invece sarebbero state ben più necessarie. Così, ridotte ad inseguire, non potevano che farsi un bell’autogol, contribuendo pure, loro malgrado, inconsapevolmente ma al tempo stesso efficacemente, al consolidamento del nuovo fronte su cui ora, a partita vinta e conclusa, Zingaretti intende giustamente mettersi al lavoro.
Zingaretti, infatti, aveva già detto nei giorni scorsi di voler andare oltre al PD, per creare una nuova realtà politica che non ne sia una semplice evoluzione, ma bensì qualcosa di più aperto ed ambizioso, aperto (guardacaso!) alla “società civile” e alle Sardine. Quest’ultime, del resto, hanno ricevuto immediatamente il suo ringraziamento, così come l’hanno ricevuto anche da Bonaccini, non appena i dati elettorali assicuravano già ieri notte la riconferma del centrosinistra in Emilia Romagna. Adesso si potrà partire con questo nuovo cantiere, finalizzato a dar vita ad una formazione politica nuova e dotata d’un bacino elettorale più ampio del “vecchio” PD, ovvero pari per entità al PD “delle origini”. Ecco, questa è un po’ la sintesi del discorso: il PD s’è ripreso i voti che per qualche tempo, a causa delle “vecchie gestioni”, erano transitati altrove, o comunque se n’è ripresa una parte importante; ed ora, dandosi una fisionomia nuova, cercherà di tenerseli stretti e di recuperare il terreno perduto a vantaggio dei concorrenti, Lega in primis.
Anche in questo senso, si può capire quanto la partita dell’Emilia Romagna fosse davvero decisiva, una vera e propria “madre di tutte le battaglie”. Ora, dal punto di vista di Zingaretti, sarà un percorso in discesa rispetto a quello compiuto fino a questo momento. Certo, la partita dell’Emilia Romagna era fondamentale anche per tantissime altre questioni: un’ipotetica vittoria del centrodestra a trazione leghista avrebbe praticamente sconfessato un modello sociale e politico che è al contempo identità e manifesto politico del PD e del centrosinistra nazionale. A tacer, poi, d’una questione estremamente sensibile come quella di Bibbiano e del sistema degli affidi, che Salvini aveva cercato di trasformare insieme al tema della sicurezza in uno dei suoi cavalli di battaglia politici ed elettorali.
In questo senso, le Sardine sono state utili perché hanno spostato il confronto fra centrosinistra e centrodestra dai veri temi del dibattito politico ad una gara ben più goliardica, a chi riempiva di più le piazze o mostrava meglio i “muscoli”; ma il centrodestra a trazione leghista, come dicevamo, è stato comunque al gioco, pur inconsapevolmente ma anche ingenuamente, rincorrendole su quel terreno ed abbandonando, talvolta solo parzialmente, talvolta anche interamente, argomenti che invece sarebbero stati molto più scomodi a Zingaretti e Bonaccini. In termini di comunicazione, c’è poco da fare, il centrosinistra è uscito nettamente vincitore, insieme ai suoi sostenitori, e le Sardine gli hanno permesso di completare l’opera di travaso dei voti già pentastellati all’interno delle proprie liste.
Inoltre, come ben si sa, nelle elezioni amministrative ed ancor più regionali l’elettore non sempre fa le solite scelte che farebbe per le politiche o per le europee: e anche questa volta ne abbiamo avuta una chiara dimostrazione. Il sistema sociale, politico ed economico incarnato dal PD in Emilia Romagna continua, agli occhi di molti dei suoi cittadini, ad essere ancora valido o comunque presentabile, e dunque non s’avverte il bisogno d’un cambiamento che si poteva invece avvertire altrove, magari in regioni come l’Umbria o anche in certi comuni della stessa Emilia Romagna, dove solo pochi mesi fa la Lega l’aveva “spuntata”.
In Calabria, da questo punto di vista, il ragionamento era molto diverso; e, comunque, parliamo d’una regione ben diversa dall’Emilia Romagna, non avendo certo alle sue spalle la medesima continuità in fatto di amministrazioni del solito colore e neppure i medesimi livelli di benessere, sanità, ecc. Il centrodestra, in Calabria, si vanta, ovvero si consola, con la vittoria di Jole Santelli, avvenuta con un vistosissimo distacco sul rivale Pippo Callipo (55% contro il 30% di quest’ultimo), ma l’idea che si tratti d’un pareggio vero e proprio è comunque un contentino non del tutto soddisfacente. Anche perché, a guardar bene, la Calabria ha già avuto in epoca recente amministrazioni di centrodestra, elette anch’esse con vittorie marcate, ma poi franate in modalità non proprio gloriose: ad esempio quella di Chiaravalloti e quella di Scopelliti. E poi, non riuscire a vincere sul lascito anch’esso non proprio commendevole di Oliverio, diciamocela tutta, sarebbe stata davvero una faccenda piuttosto grave.
Insomma, che cosa deduciamo da tutta questa storia? Che a destra, sicuramente, dovranno riflettere un po’ di più sul prezzo di certe leggerezze: e questo è un messaggio che vale soprattutto per Salvini. Altrimenti ci si riduce ad inseguire la concorrenza, subendone l’iniziativa, a quel punto non soltanto più in termini comunicativi ma anche politici. Il rischio di passare per profittatori od avventurieri senza scrupoli, maneggiando questioni estremamente delicate come Bibbiano o suonando ai citofoni, è dietro l’angolo e, in politica, non sarebbe mai il caso di giocare d’azzardo, men che meno di fronte a simili temi: altrimenti la cosa ci si può ritorcere contro, con effetti controproducenti, e si passa persino per quello che non si è. A sinistra, invece, possono legittimamente ritenersi soddisfatti, perché la loro strategia di “reazione” all’ondata salviniana ha funzionato, forse persino meglio di quanto s’aspettassero, consentendogli addirittura di fagocitare il M5S e di gettare le basi per la futura “casa comune della sinistra” che a quanto pare è davvero molto cara a Zingaretti.