Parole come violenza, rompono il silenzio e arrivano schiantandosi nel piccolo grande mondo di una giovane ragazza ritrovatasi sola ed impaurita nel gran frastuono di una vita che troppi cattivi maestri vorrebbero uguale per tutti.
“Words like violence, break the silence, come crashing in, into my little world….”. Nessuna immagine ci è apparsa più adatta ad esprimere ciò che si è consumato ieri a Napoli, di quella magistralmente “raffigurata” dai Depeche Mode in “Enjoy the silence” il loro capolavoro musicale contenuto nell’album “Violator”, pubblicato nel 1990.
Il gesto estremo di una studentessa schiacciata dal peso delle aspettative e di quelle bugie raccontate a genitori, amici e fidanzato, accorsi in quell’aula dell’antico e prestigioso ateneo partenopeo per assistere alla sua laurea, avrebbe meritato solo silenzio e rispetto. Il grande mistero della vita e della morte ed il perimetro di un’anima non dovrebbero mai diventare oggetto di morbosità ed indecente curiosità, spacciate per cronache giornalistiche. Ma alla giovane (della quale per nostra scelta non riportiamo né età né provenienza né corso di studi seguito) ed ai suoi cari non è stato risparmiato neanche questo. Oltre al dolore straziante anche il vilipendio.
Una pagina squallida del giornalismo non solo campano che meriterebbe una seria riflessione. Agli esperti cronisti di quotidiani a tiratura nazionale che hanno dato il via al festival della vergogna, seguiti da colleghi giovani e meno giovani delle testate online, ricordiamo che le norme deontologiche del giornalismo indicano chiaramente le cautele con cui devono essere esposti i casi di suicidio per non provocare dei fenomeni di emulazione.
E raccomandano anche la necessità di tenere al riparo da un’inutile e crudele pubblicità i familiari e i parenti già provati da un così forte dolore.
Per questo, a parte pochi, straordinari casi nei quali il diritto e il dovere di cronaca prevale sul rispetto della privacy, non devono essere divulgate le generalità di chi ha deciso di togliersi la vita e altri particolari che rendano il suicida identificabile nel pieno rispetto della persona che è uno dei cardini della professione, come ricordano i principi della Carta dei doveri del giornalista.
Indicazioni e cautele completamente disattese ed ignorate da chi si è trasformato in famelico predone sui social di foto della sfortunata ragazza e di informazioni che la riguardassero, riportando dettagli assolutamente inopportuni degli attimi che hanno preceduto la tragedia.
Collezionerà anche migliaia di click, sintonizzazioni o copie vendute ma a noi questo tipo di “informazione” provoca solo enorme disgusto.