Perché il più grande?
Volto truce e mai sorridente, sguardo torvo e cipiglio da duro. No, non stiamo parlando di José Mourinho ma di un personaggio che avrà sicuramente influenzato lo Special One come migliaia di allenatori (o aspiranti tali) sparsi per il vecchio continente: Ernst Happel, il Mozart del calcio, il più grande genio della panchina mai apparso nel mondo del calcio.
Per molti appassionati di calcio l’austriaco è stato un autentico mito: santone indiscusso nella natia Austria, nel Benelux e in Germania, la sua figura e le sue gesta sono pressoché ignote in Italia. Come mai? Due sono i motivi principali: ignoranza, pressapochismo ed esasperato italocentrismo ma anche il fatto che Herr Ernst sia stato un’autentica bestia nera per le nostre squadre. Già, “gli italiani giocano per non perdere, io invece gioco per vincere!”: proprio per questo motivo, se si chiede a qualsiasi appassionato medio di calcio il nome di Ernst Happel, la maggior parte di questi sgranerà gli occhi oppure ricorderà questo nome solo vagamente.
Happel è stato il più grande allenatore della storia del calcio, l’equivalente di Diego Armando Maradona solo trasportato in panchina. Maradona da solo ha reso grande l’Argentinos Juniors, il Napoli e la Nazionale argentina estraendo oro da miniere di carbone. Ernst Happel ha “inventato” i miracoli del Feyenoord, del Bruges e dell’Amburgo, tre squadre che sotto la sua guida hanno toccato il loro zenit e che poi sono ritornate nel loro consueto oblio. Happel inoltre è stato se non l’inventore (perché nel calcio nulla s’inventa) il primo maestro metodico del cosiddetto “calcio totale”. Ripercorrere la sua storia non è impresa facile: Happel, come tutti i geni, infatti era una bestiaccia, un personaggio antipatico, quasi odioso dal punto di vista umano che non parlava né con i giornalisti (che odiava) né con gran parte dei suoi giocatori che considerava come dei sui meri sottoposti. Nonostante il “Tiranno” o il “Brontolone” più che un allenatore sembrasse un ufficiale delle SS prestato al calcio, egli ha lasciato un’impronta profonda nel calcio che merita di essere ricordata.
Carriera da calciatore: possente come Achille (Rapid Vienna, Racing Club Paris 1941 – 1959)
Ernst Franz Hermann Happel nasce a Vienna il 29 novembre 1925 nel quartiere 15, il più povero della capitale, da madre certa, tale Karoline e… padre ignoto. Già, non si è mai saputa l’identità del papà di Ernst dato che tale Franz Happel, di professione locandiere, era un uomo con cui sua madre si era sposata dopo la sua nascita e che quindi gli trasmise il cognome.
Già all’età quattro anni il piccolo Ernst viene mandato dalla nonna perché i due coniugi si separano, questi tristi fatti biografici condizioneranno indubbiamente il carattere duro, aspro e scostante di quello che sarà il più grande allenatore di tutti i tempi. L’ancora di salvezza di una vita precaria diventa presto il calcio: la palla e i prati verdi della periferia viennese sono infatti le uniche cose che riescono a togliere Ernst dal suo isolamento.
All’età di tredici anni viene tesserato dal Rapid Vienna ed esordisce in prima squadra nel 1942, in piena Seconda Guerra Mondiale con la maglia dei campioni di Germania (il Rapid è stata l’unica squadra austriaca ad aggiudicarsi il campionato tedesco in epoca di Anschluss). Terzino di stampo metodista (cioè difensore centrale) possente e duro, soprannominato dai propri tifosi Aschyl (Achille) per la sua prestanza fisica ma anche, così pare, per la somiglianza con un attore turco, in maglia biancoverde Happel forma subito un’eccellente terzetto di difesa con il terzino Max Merkel e il portiere Walter Zeman.
Nel 1954 per Happel, considerato dalla critica come uno dei più forti difensori del mondo, arriva l’opportunità della vita: i Mondiali di Svizzera che però non gli daranno grandi soddisfazioni. L’impostazione a WM scelta dal Ct austriaco Nausch alla vigilia dei mondiali penalizza un giocatore potente e statico come Happel che da unico centrale patisce gli attacchi senza punti di riferimento adottati dalla maggior parte degli avversari (la lezione ungherese stava per dare i suoi frutti). Contro la modesta Svizzera, ai quarti di finale, Happel è tra i peggiori in campo assieme al portiere Schmied (vittima di un colpo di sole) nell’incredibile 7-5 per l’Austria che sarà ricordata come l’Hitzeschlacht von Lausanne, l’infuocata battaglia di Losanna.
Va peggio in semifinale, dove l’Austria è travolta 6-1 dalla Germania sotto la pioggia: a fine partita Happel e l’amico Zeman sono accusati di essersi venduti il match contro i cugini della RDT.
Dopo i mondiali del 1954 Happel lascia per la prima volta l’Austria e firma per il Racing Club Paris, squadra con la quale gioca un biennio. Nel 1956 ritorna al Rapid e durante una partita contro il Real Madrid si rende protagonista di un’impresa incredibile per un difensore centrale: segna tre gol in una sola partita, un solo di quali segnato su calcio di rigore, la specialità della casa di Ernst, che li calcia senza rincorsa, con i suoi occhi cattivi, grandi e verdi rivolti sul viso del portiere avversario.
Il Rapid costringe così i galacticos alla ripetizione del match, dove Di Stefano e soci riescono a vincere solo per una rete a zero. Nel 1958 Happel a trentatré anni guida la Nazionale ai Mondiali di Svezia, l’ultimo grosso appuntamento della sua carriera di calciatore. La sua Austria però viene inserita in un gruppo di ferro con Brasile, URSS e Inghilterra e arriva ultima.
Il match d’apertura contro il Brasile è importantissimo per il proseguo della nostra storia perché è in quella partita che Happel si rende conto dell’importanza della tattica nel gioco del calcio: gli austriaci, schierati a WM (3-2-2-3), vengono infatti surclassati dal 4-2-4 brasiliano, una lezione che l’aspirante allenatore apprende subito.
Al termine della stagione calcistica 1958/59 infatti Happel diventa direttore sportivo del club viennese, la sua ambizione però è quella di divenire allenatore perché ha la classica tempra del comandante (leader si nasce e non si diventa) e non del comprimario e così , grazie all’amico Max Merkel, nella primavera del 1962, prende un volo per l’Olanda e va a firmare un contratto con l’ADO Den Haag: da una delle culle del calcio europeo Happel finisce così in una Nazione del terzo mondo calcistico, ma proprio qui inizia a fiorire la leggenda.
L’apprendista stregone (ADO Den Haag 1962-1969)
L’Olanda calcistica del 1962 era l’equivalente odierno della Finlandia: una nazione dove il calcio era sì seguito e praticato ma che non era ancora diventato un movimento vero e proprio.
Nei decenni precedenti gli olandesi avevano espresso anche qualche buon talento (Faas Wilkes, dribblomane che giocò in Spagna e con l’Inter negli Anni Cinquanta) ma mancava totalmente un’organizzazione di base anche perché i giocatori erano tutti dilettanti e vedevano nel calcio solo un semplice passatempo da dopolavoro.
Gli inizi non sono facili per il viennese, durante una delle prime sedute di allenamento i suoi giocatori si rifiutano di allenarsi sotto la pioggia, del resto sono dilettanti, chi glielo fa fare allenarsi sotto il diluvio! Happel allora prende in mano la situazione: con il suo cipiglio da kapò mette una lattina sopra la traversa e da fuori area, con una cannonata di destro, la centra, poi rimette l’oggetto di latta sopra il montante della porta. I calciatori del Den Haag sono talmente scarsi che nessuno riesce a colpire la lattina, quindi morale della favola l’allenamento non si salta, regole e disciplina prima di tutto!
Dopo questo episodio Happel incomincia a seminare il suo metodo: in primo luogo capisce che il WM, un modulo che anche da calciatore Happel non ha mai troppo amato (“gioco uomo contro uomo se ho una squadra di asini”) e che nel calcio olandese era ancora la Legge, è ormai sorpassato. In secondo luogo prepara sedute di allenamento quasi di stampo militare, dove la parte atletica è curata in maniera certosina.
L’idea innovativa del calcio happeliano è quella che il campo non deve essere per forza lungo cento e passa metri, esso può infatti restringersi ed allargarsi a seconda delle fasi di gioco. In fase difensiva la squadra funziona come un pugno chiuso: gli spazi devono restringersi verso il centro con attaccanti e centrocampisti che iniziano il pressing e i difensori che si pongono in linea sui trenta metri pronti a balzare in avanti per far scattare il fuorigioco (Happel da tecnico è stato il re del fuorigioco, memore dei suoi trascorsi da difensore centrale). Una volta conquistata palla, la squadra deve aprirsi come un’aquila in volo per dilatare gli spazi: la palla quindi deve essere giocata in verticale sulle ali e tutta la squadra deve passare attivamente ad attaccare lo spazio lasciato vuoto dagli avversari, quando Guardiola afferma “il nostro centravanti è lo spazio” utilizza un linguaggio calcistico happeliano.
Ricapitoliamo: in difesa la squadra deve sì chiudersi a riccio ma non asserragliarsi in area come fanno le squadre catenacciare, più alti si difende e più possibilità c’è di aggredire l’avversario e di tenerlo lontano dalla propria porta! E’ proprio per questo che Happel non utilizza le classiche marcature ad uomo ma l’innovativo sistema delle gabbie: l’avversario non va bloccato individualmente ma con gruppi di tre-quattro giocatori che devono sempre garantire la superiorità numerica in determinate zone del campo. In attacco invece bisogna trasformare l’azione allargando il gioco e favorendo gli inserimenti da dietro perché più improvviso è il pericolo e più è difficile da decifrare per le difese avversarie. Restringere ed allargare lo spazio del campo, sembra una cosa banale ma nessun allenatore prima di Happel aveva capito questo semplice trucco. Certo, erano esistite squadre che giocavano già un calcio simile a quello totale (il Wunderteam austriaco, il Grande Torino, l’Aranycsapat, le squadre di Guttmann tutte con profondo DNA danubiano) ma Happel è stato il primo tecnico che ha conferito un metodo scientifico a quest’idea.
Torniamo alla storia: la cura Happel incomincia intanto a dare i suoi frutti: l’ADO, da club che lottava per salvarsi nel modesto campionato olandese, scala posizioni su posizioni e nel 1964/65 centra un clamoroso quarto posto, il miglior risultato del dopoguerra. L’austriaco diventa presto un vero e proprio punto di riferimento per tutti i tecnici olandesi che vedono in Ernst una sorta di Messia apparso in terra batava a miracol mostrare. Tra i tanti allenatori che si avvicinano al santone di Vienna c’è un giovane tecnico, reduce da un campionato non entusiasmante alla guida del DWS: Marinus, detto Rinus Michels. Egli rimane incantato dalle idee calcistiche di questo singolare personaggio sempre con il broncio e la sigaretta tra le labbra e nell’estate 1965 dopo essere stato nominato tecnico dell’Ajax, decide di far giocare la sua squadra secondo dettami happeliani portati però all’estremo: nasce così il total voetball! È quindi sbagliato affermare, come fa il circo mediatico calcistico che “Michels ha inventato il calcio totale”: fino al 1965 Michels ha ottenuto risultati modesti come allenatore e solo dopo aver affrontato e visto all’opera Happel ha capito quale era la strada da seguire!
L’ADO intanto, sotto la sapiente guida di quello che ormai tutti ribattezzano poco affettuosamente “il tiranno” diventa una delle squadre più ostiche del campionato olandese: schierata con un insolito 4-3-3, quando tutte le altre squadre adottano il 4-2-4 di marca sudamericana (Ajax compreso), centra due terzi posti e al termine della stagione 1967/68 vince la Coppa d’Olanda proprio contro i lancieri. Al termine della stagione 1968/69 Happel decide che è ora di cambiare aria e di approdare in un club più ambizioso, il Feyenoord di Rotterdam, che ha appena vinto il campionato davanti all’Ajax dell’astro nascente Cruijff, finalista di Coppa Campioni (ma battuto sonoramente dal Milan catenacciaro di Rocco 4-1), la leggenda sta per nascere.
Inizia la leggenda (Feyenoord 1969-1973)
Ernst Happel è il terzo allenatore austriaco ad approdare a Rotterdam dopo Franz Fuchs e Willy Kment. Il Feyenoord è davvero un’ottima squadra, con singoli di tutto rispetto come il libero Rinus Israël, il regista con la gobba Willem van Hanegem e lo sfondareti svedese Ove Kindvall: un’ottima ossatura di base alla quale alla quale Happel aggiunge il concittadino Franz Hasil, classico mediano tuttofare. In campionato l’Ajax di Michels, che proprio in questa stagione adotta il 4-3-3 happeliano con l’innesto di Neeskens è irresistibile ed il Feyenoord giunge secondo a soli cinque punti da una squadra che sta per diventare leggenda.
Il Feyenoord però ha la carta Coppa Campioni da giocarsi e l’esperto pokerista Happel se la gioca alla grande: ai sedicesimi di finale Van Hanegem e soci rifilano un 16-2 complessivo al modesto Reykjavik, poi ai quarti gli olandesi devono scavalcare un ostacolo che sembra insormontabile, il Milan di Nereo Rocco campione in carica che punta deciso al bis dato che la finalissima si giocherà a San Siro. I rossoneri, scesi in campo con un tridente pesante (Sormani-Combin-Prati e Rivera alle spalle) prendono un po’ sotto gamba la squadra olandese che gioca una grande partita a San Siro pur soccombendo 1-0.
Al ritorno però è tutta un’altra storia: il Diavolo, presentatosi all’appuntamento senza Rivera, non ci capisce un tubo fin dall’inizio. Il grande Rocco riceve un’autentica lezione dal Tiranno che lo surclassa con un pressing feroce che unito a verticalizzazioni ficcanti devastano al retroguardia del Diavolo, la partita finisce 2-0 ed il Feyenoord stacca così il biglietto per la semifinale dove troverà il Legia Varsavia dell’astro nascente Deyna.
In terra polacca i biancorossi limitano i danni, al ritorno van Hanegem e Hasil siglano il 2-0 che regala a Happel la prima finale della sua carriera e al calcio olandese la seconda possibilità per salire sul tetto d’Europa, anche se gli scozzesi del Celtic sono un osso durissimo.
A Milano il Feyenoord di Happel (“un austriaco altero e scostante” scrive la Gazzetta) viene accolto con una certa curiosità, il suo calcio assomiglia ad un maglione di Missoni: italianista per la concezione pragmatica e l’attenzione alla fase difensiva ma allo stesso tempo nordico per gli elevati ritmi di gioco e la velocità d’esecuzione. Happel per la finalissima deve rinunciare al portiere titolare Treijtel che viene sostituito dal vecchio Pieters-Graafland, inattivo da una stagione.
Sul campo il match è molto equilibrato: Gemmel porta in vantaggio gli scozzesi con una cannonata su calcio di punizione ma il libero Israël in mischia pareggia subito i conti 180 secondi dopo. Ci vogliono i supplementari per determinare il vincitore, a quattro minuti dal termine accade il fattaccio che rompe l’equilibrio: il centrale McNeil, il giocatore più esperto della squadra scozzese, nel tentativo di indietreggiare su un lancio lungo tocca il pallone con il braccio, sarebbe rigore ma Lo Bello lascia proseguire e Kindvall supera con un pallonetto vincente il portiere avversario.
L’austriaco solleva così la sua prima Coppa dei Campioni, per il calcio olandese è un momento storico ed è solo l’inizio: il Tiranno infatti ha solo acceso la miccia del calcio totale, dal 1970 al 1973 l’Ajax riscriverà per sempre la storia del calcio, ma i successi di Crujiff e soci sono tutta farina del sacco di Happel! Michels con il suo 4-2-4 ha preso pizze in faccia dal Milan di Rocco nella finalissima di Madrid, l’anno successivo Happel con il suo 4-3-3 non ha fatto vedere palla ai rossoneri di Milano ed è stato il 4-3-3 dell’Ajax a riscrivere la storia del calcio!
L’anno successivo (1970/71) il Feyenoord vince l’Intercontinentale contro l’Estudiantes, squadra dal proverbiale gioco duro (2-2 in Argentina, 1-0 in Olanda) e anche il campionato distanziando di quattro punti i rivalissimi allenati (per l’ultima stagione) da Michels. L’unico neo della stagione è rappresentato dalla precoce eliminazione in Coppa Campioni, addirittura al primo turno, contro i rumeni dell’Arad che impongono l’1-1 in Olanda e poi chiudono a reti inviolate in patria. Il biennio 1971-73 è invece poco fortunato: nel 1971/72 i biancorossi di Rotterdam arrivano secondi dietro l’Ajax ora passato a Kovács e ai quarti di Coppa Campioni subiscono un’umiliante 5-1 dal Benfica di Eusebio mentre l’anno successivo arriva un altro secondo posto e un’eliminazione ai sedicesimi di Coppa UEFA che sanciscono la separazione tra il grantler (brontolone in dialetto viennese) e l’Olanda. In gennaio la società aveva già mandato il proprio allenatore in “vacanza” per una settimana” perché ormai il rapporto con il gruppo s’era rotto: i litigi con il “gobbo” van Hanegem erano all’ordine del giorno e quando un allenatore perde la fiducia dei propri leader è meglio che cambi aria.
https://www.youtube.com/watch?v=dLgFYMgkdbI&t=837s
Dalla polvere al (quasi) miracolo (Siviglia 1973/74, Bruges 1975-78)
Per dare un’idea di che personaggio fosse Ernst Happel diciamo solo che, conclusa la sua esperienza in Olanda, l’austriaco decide di andare ad allenare una squadra di seconda divisione spagnola, il Siviglia. In Andalusia l’austriaco va incontro al suo unico autentico fallimento nella sua carriera pluridecorata da tecnico: diversità di idioma e giocatori non abituati a dure metodologie di allenamento fruttano un esonero dopo un 0-3 incassato nel derby contro il Betis.
Nell’estate 1974 Happel, che sembra aver imboccato una repentina parabola discendente, viene assunto come guida tecnica del Bruges, squadra che in Belgio è reduce da una sfilza impressionante di secondi posti e che è alla ricerca di un allenatore dalla mentalità vincente. In maglia nerazzurra il santone viennese supera letteralmente se stesso: nel 1975/76 conquista il titolo nazionale al primo tentativo e, impresa straordinaria per una squadra dai precedenti internazionali nulli come quella fiamminga, riesce a portare i suoi uomini sino alla doppia finale di Coppa UEFA contro il grande Liverpool.
Durante il cammino europeo Happel si era pure tolto la soddisfazione di eliminare un’altra squadra italiana, la Roma: i giornalisti italiani rimasero impressionati dal fatto che, una volta giunto nella Capitale, il Tiranno austriaco avesse obbligato i suoi giocatori ad una massacrante seduta di allenamento alle sette del mattino svegliando i suoi giocatori camera per camera con il fischietto tra le labbra: “Sveglia si va ad allenamento!”. Nella finale di andata il Bruges viene sconfitto con onore 3-2 ad Anfield mentre in casa non riesce ad andare oltre l’1-1 nonostante il vantaggio iniziale firmato Lambert.
Dopo l’ennesimo campionato vinto (1976/77) e un onorevole eliminazione ai quarti di finale per mano del fortissimo Borussia Mönchengladbach, Herr Ernst arriva ad un passo dal miracolo. Nonostante giocatori e dirigenti ormai non lo sopportino più, il Tiranno porta a casa il terzo titolo consecutivo e in Coppa dei Campioni fa camminare i suoi letteralmente sulle acque: dopo aver eliminato Panathīnaïkos ed Atletico Madrid, in semifinale i nerazzurri devono scalare la montagna Juventus, un autentico Everest perché i bianconeri torinesi sono reputati tra le squadre più forti d’Europa.
All’andata Happel sorprende il giovane allenatore juventino Trapattoni, che ai tempi del Feyenoord si recava spesso in Olanda a studiare le sue metodologie di allenamento, con una difesa altissima e una trappola del fuorigioco talmente maniacale da rasentare la perfezione. Dopo venticinque fuorigioco andati a segno, a pochi minuti dal termine un guizzo di Bettega sembra porre fine ai sogni dei fiamminghi. Al ritorno ci si aspetta la solita partita difensiva della Juventus, ma un gol dopo soli quattro minuti del terzino Bastijns fa impazzire la partita.
La Juventus domina letteralmente il campo, mai si era vista una squadra italiana giocare con così tanta personalità in trasferta: il giovane Trap mette nel sacco Happel facendo giocare Fanna falso centravanti. La Juve potrebbe ripetutamente trovare il gol del pareggio che le spianerebbe la strada verso Wembley, ci vogliono i tempi supplementari per dirimere la matassa e qui entra in scena l’arbitro Eriksson che espelle senza una motivazione Gentile e non assegna un rigore grande come una casa a Cabrini. A quattro minuti dal termine (come nel 1970 a Milano) René Vandereycken sigla l’incredibile gol della vittoria su un fulmineo contropiede, due tiri in porta in 180’ e il Bruges vola in finale.
Happel, nonostante l’impresa seppure fortunata, non si scompone: “Abbiamo avuto fortuna, ho visto una grande Juve” mentre Enzo Bearzot dice alla stampa: “Se in Argentina perdo una partita del genere mi sparo!”. In finale un Bruges decimato, senza Lambert e Courant, non può nulla contro il fortissimo Liverpool, che vince la Coppa Campioni grazie ad un gol di Kenny Dalglish al 64’ dopo un lungo forcing che ha messo alle frusta la linea difensiva a quattro dei belgi che se l’è cavata con la solita, perfetta, organizzazione di reparto. “Sembravano l’ombra della formazione che affrontammo in Coppa UEFA due stagioni fa, mi hanno deluso” questo il commiato del Tiranno che, pur salutando le Fiandre con la nome di Messia del calcio, non stacca la spina con il calcio perché dovrà guidare la Nazionale olandese ai mondiali argentini…
Ancora secondo (Olanda 1978)
Un piccolo passo indietro: Happel ha accettato l’offerta della Federcalcio olandese nell’estate del 1977. Nonostante i tulipani siano ancora in gran parte l’Arancia Meccanica che incantò il mondo pur non vincendo nulla quattro anni prima, molti giocatori sono logori e in più l’asso Crujiff ha deciso di non partecipare al mondiale argentino per alcuni dissidi con gli sponsor.
Happel vuole innanzitutto che la sua squadra si liberi dal “complesso di Crujiff” e in una delle sue solite, scarne conferenze stampa, annuncia: “giocherò con il 4-5-1, voglio ali che siano terzini e terzini che siano ali”. In molti sbalordiscono al sentire questa strana sequenza numerica, cosa diavolo significa “ala-terzino”, “4-5-1”? Se oggi il 90% delle squadre dagli USA al Giappone gioca con il 4-5-1 con ali che ormai fanno i terzini (ogni riferimento ad Eto’o nell’Inter di Mourinho è puramente casuale!) un po’ di meriti vanno al brontolone.
Nel gironcino iniziale i tulipani fanno fatica a digerire i nuovi dettami, nonostante il tecnico, inviso alla maggior parte dei propri giocatori, abbia offerto la pizza per smentire la sua nomea di autocrate. Gli orange vincono 3-0 contro il modesto Iran ma poi pareggiano 0-0 con il Perù e si fanno battere 3-2 dalla Scozia, la leggenda vuole che Happel abbia ordinato ai suoi di perdere di proposito questa partita per non finire nel girone dell’Argentina, superfavorita alla vittoria finale non solo per questioni squisitamente tecniche diciamo…
Nel secondo girone l’Olanda viene inserita contro avversari molto favorevoli al proprio CT: la sua Austria, la Germania e l’Italia di Bearzot. Happel dà dimostrazione, l’ennesima, di essere uno stratega geniale nel match contro i suoi connazionali ripresentando i suoi con un 4-3-3 che manda in cortocircuito Krankl e soci che s’aspettavano di incontrare una squadra schierata con il centrocampo imbottito, finisce 5-1!
Dopo uno scoppiettante 2-2 contro la Germania, l’Olanda si gioca tutto contro gli azzurri, la vera sorpresa del torneo. Nel primo tempo l’Italia domina l’Olanda e Bearzot si porta a spasso il santone austriaco, poi nel secondo tempo gli azzurri calano d’intensità e due tiri maledetti da lontano, che sembrano scagliati da una forza mistica ed oscura, battono Zoff e regalano la finale all’Olanda: la maledizione di Happel colpisce ancora! Per fortuna che Bearzot si è trattenuto dai suoi propositi suicidi altrimenti l’Italia non sarebbe diventata campione del mondo nel 1982…
In finale però l’Olanda e Happel nulla possono contro lo strapotere politico di Videla e gli argentini padroni di casa vincono per 3 a 1 dopo i tempi supplementari portando a casa uno dei mondiali più truffati e discussi della storia. Happel accusa l’arbitro italiano Gonnella di essere un mafioso e poi decide di prendersi una bella vacanza sul suo amato Wörter See, il Tiranno ha comunque collezionato un altro primato: è diventato infatti il primo allenatore ad aver centrato due secondi posti a due mesi di distanza con due squadre diverse e i suoi connazionali, dopo la fallita impresa in argentina, lo ribattezzano Wöldmasta, campione del mondo, finalmente un bel soprannome!
L’apoteosi (Standard Liegi 1979-81, Amburgo 1981-87)
Dopo la sfortunata esperienza con la nazionale olandese Happel si prende un anno sabbatico e poi torna in Belgio e firma per lo Standard Liegi dove in due anni (1979-81) vince una Coppa del Belgio e una Supercoppa lanciando in squadra il portiere Preud’homme, destinato a diventare uno dei più forti portieri belgi di tutti i tempi assieme al connazionale Pfaff.
Finito un biennio comunque proficuo allo Standard, poi proseguito da un altro genio della panchina come Raymond Goethals, Happel approda all’Amburgo voluto fortemente dal giovane direttore sportivo Günter Netzer: i tedeschi sono infatti una delle tante incompiute del calcio europeo avendo perso malamente la finale di Coppa Campioni del 1979/80 contro il sorprendente Nottingham Forest di Brian Clough, un altro tecnico abituato a fare miracoli come l’austriaco. La società individua il colpevole di questo mancato salto di qualità nel tecnico Branko Zebec. Lo jugoslavo ha sì valorizzato gente del calibro di Manni Kaltz, uno dei più forti crossatori di tutti i tempi, Felix Magath, regista lento ma dai piedi raffinati, e il panzer Hrubesch (“Mister, piacere sono il capitano!” “Da quando abbiamo una nave?”), ma alla fine della fiera non ha portato a casa nulla sia a causa del suo gioco troppo difensivista che (soprattutto) per la sua insana passione per la bottiglia.
Happel si trova in rosa pure il trentaseienne Franz Beckenbauer, che ha seguito al Nord della Germania il suo maestro Zebec e il Kaiser porta un contributo importante per la vittoria del campionato. L’Amburgo sfiora addirittura il double perché giunge anche in finale di Coppa UEFA dove però deve arrendersi al sorprendente Göteborg di Sven Göran Eriksson (0-1 all’andata in Svezia 0-3 al ritorno), un bel modo per scacciare i soliti stereotipi che i tedeschi del Nord rivolgono nei confronti di bavaresi e austriaci, considerati alla stregua di “terroni”.
La stagione seguente, 1982/83, consegna definitivamente l’austriaco errante alla leggenda. In Coppa Campioni l’Amburgo parte subito alla grande eliminando Dinamo Berlino e Olympīakos. Fantascientifico è il quarto di finale di Coppa Campioni contro la Dinamo Kiev, vinto dalla squadra di Happel già all’andata in Unione Sovietica con un secco tre a zero che rasenta la perfezione del calcio. Dopo aver battuto con qualche difficoltà la Real Sociedad in semifinale, l’HSV si trova dinanzi un ostacolo apparentemente insormontabile, la fortissima Juventus che annovera nelle sue file ben sette campioni del mondo più i fuoriclasse Boniek e Platini e Bettega che campione del mondo non è diventato solo perché infortunato.
Prima di giungere alla finalissima di Atene, la squadra di Trapattoni s’era resa protagonista di una campagna europea perfetta annientando le squadre avversarie con un gioco avvolgente e spumeggiante (memorabile l’1-2 rifilato in casa dell’Aston Villa campione in carica). Ad Atene invece succede l’imponderabile perché Happel estrae dal cilindro il suo capolavoro imperituro. Primo trabocchetto: contro la volontà dei propri calciatori, il profeta della zona Happel decide di marcare a uomo lo spauracchio Platini con il cagnaccio Rolff, si può essere zonisti convinti finché si vuole ma i fuoriclasse si marcano sempre ad personam! Secondo trabocchetto: in luogo dello squalificato Hartwig l’austriaco schiera l’attaccante Milewski, in realtà impiegato con compiti tattici a centrocampo nella zona di Tardelli, il secondo spauracchio di Ernst. Terzo trabocchetto: Happel ordina che al fischio d’inizio il possente attaccante danese Bastrup, impiegato da seconda punta sul centrosinistra, debba spostarsi continuamente verso destra per portare fuori zona il proprio custode Gentile. Trapattoni, fedele alle classiche marcature a uomo, lascia che Gentile segua il danese fuori dal suo perimetro: sul centro sinistra si apre così presto un buco che Magath all’8’ riesce a sfruttare con un perfido tiro parabolico che batte Zoff.
Dopo la rete la Juve non reagisce: Platini non tocca biglia braccato da Rolff, Rossi e Bettega non hanno così rifornimenti; dopo aver sfiorato a lungo il raddoppio nel finale la linea difensiva dell’Amburgo si diverte a irridere i fantasmi bianconeri con un paio di fuorigioco per suggellare una vittoria che ha del clamoroso. Finisce così 1-0 e Happel fa mandare giù l’ennesimo boccone amaro a Trapattoni, ai tifosi juventini e agli italiani.
Impassibile e glaciale, vestito con una tuta da metalmeccanico, mentre tutti i suoi calciatori si abbracciano increduli, all’improvviso il Tiranno si scioglie e improvvisa un balletto davanti ai propri giocatori e tifosi: sembra di vedere il Papa in costume da bagno! Qualche settimana dopo, come ciliegina sulla torta di un’annata fantastica, Magath e soci conquistano anche il campionato portando a casa un double storico.
Dopo aver raggiunto la vetta, la parabola del Tiranno inizia lentamente a declinare: nel 1983/84 l’Amburgo perde l’Intercontinentale ai supplementari contro il Grêmio di Renato (futuro bidone della Roma) e arriva secondo in campionato. Nella stagione 1984/85 la maledizione s’interrompe: agli ottavi di finale di Coppa UEFA l’Inter di Ilario Castagner riesce nell’impresa epocale di far piangere Happel. All’andata, ad Amburgo, un gol provvidenziale di Rumenigge permette all’Inter di tenere aperto il discorso per il ritorno perché i nerazzurri perdono solo 2-1. Al ritorno a San Siro basta un rigore di Brady per qualificare i nerazzurri e scacciare definitivamente la maledizione. Per il tiranno sono anni di magra: eliminazione ai trentaduesimi di UEFA nel 1985/86 e settimo posto finale prima dell’ultimo colpo di coda datato 1986/87: secondo posto dietro al fortissimo Bayern e Coppa di Germania in bacheca grazie al 3-1 rifilato allo Stoccarda. E’ l’ultimo regalo che Ernst Happel confeziona ai tifosi dell’HSV, ha deciso infatti di fare ritorno, definitivo, in patria dopo venticinque anni di vagabondaggi in giro per l’Europa.
Tramonto e fine di una leggenda (Swarovski Tirol Innsbruck 1987-91, Austria 1991/92)
Nell’estate 1987 Ernst Happel ripone la valigia nel cassetto e ritorna in patria ad allenare il Swarovski Tirol, neo costituita società di Innsbruck che pensa in grande e che ha scelto un guru del calcio per mostrare ai propri sostenitori, in disaccordo per il cambio di colori e di stemma societario (un po’ come successo recentemente con la vicenda Red Bull), che si vogliono fare le cose sul serio. In realtà alcune voci dicono che Happel sia malato, che abbia un tumore allo stomaco e che sia in Tirolo a curarsi, son conti che prima o poi si pagano per uno che è abituato a fumare tre pacchetti di sigarette al giorno!
Dopo un anno di transizione, il Tirol inizia ad ingranare come tutte le squadre di Happel, trascinato dal talento dell’ex interista Hansi Müller, cui Happel destina una delle sue solite battutacce (“Se vuoi parlare con me fai il rappresentante di aspirapolvere, non il calciatore!!”) vince Bundesliga e coppa nazionale (1988/89) e la stagione successiva bissa il successo in campionato.
Con questi successi Happel diventa il primo allenatore a vincere in ben quattro campionati differenti (Olanda, Belgio, Germania ed Austria), impresa poi eguagliata curiosamente dal suo grande rivale Trapattoni e da uno dei suoi tanti epigoni, il portoghese José Mourinho.
Nel 1990/91 giunge pure l’unica umiliazione subita in una carriera di allenatore senza macchie: un incredibile 9-1 incassato dal Real Madrid di Butragueño agli ottavi di Coppa Campioni! Ormai Happel è solo l’ombra del poderoso despota della panchina dagli occhi glaciali che fu un tempo, il cancro ormai lo sta consumando sempre di più tanto che da ottanta chili è giunto a pesare quarantotto! Nel novembre 1991, nonostante sia ormai diventato una sorta di mummia con il volto sfigurato dalla chemio, una sorta di novello Ötzi, la Federcalcio austriaca decide di nominare Happel Commissario Tecnico perché la Nazionale sta attraversando uno dei momenti più lugubri della sua gloriosa storia dopo aver perso addirittura contro le isole Far Øer.
Gli ultimi istanti di Happel allenatore sono leggendari e allo stesso tempo commoventi: nonostante sia ormai un morto che cammina il Tiranno dimostra fino in fondo di avere la pellaccia dura e di voler letteralmente morire su un campo di calcio, del resto come ha sempre detto “un giorno senza calcio è un giorno perso”, del resto il calcio lo ha letteralmente salvato da una vita dura e miseranda ed è giusto che sia così. In un’amichevole contro la Francia viene addirittura portato a braccia sulla panchina direttamente dalla clinica e nella sua ultima uscita pubblica (28 ottobre 1992) la sua Austria risorge e batte 5-2 Israele al Prater: nel post partita Happel con le ultime forze in corpo manda al diavolo i medici che lo vogliono a letto e impartisce un riunione di un’ora e mezza agli allenatori della Bundesliga austriaca, incredibile!
Ma ormai il tempo è… tiranno, il 15 novembre 1992, proprio mentre sta diramando le convocazioni per un’amichevole contro la Germania, il cuore di Ernst Happel smette di battere in una clinica di Innsbruck lasciando un vuoto incolmabile in tutti gli amanti del calcio. Al suo funerale a Vienna, Van Hanegem, che da bambino aveva perso parte della sua famiglia durante una rappresaglia nazista e che per ovvi motivi non si è mai trovato con il Tiranno, piange disperato, anche il grande Beckenbauer è sinceramente commosso nonostante abbia incrociato i destini di Happel per una sola stagione, la più insignificante della sua formidabile carriera.
I movimenti calcistici di Olanda, Belgio e tutto il calcio europeo in generale devono dire un grazie infinito a questo personaggio che ovunque ha messo piede ha lasciato un’impronta indelebile: Rinus Michels, Guus Hiddink, Dick Advocaat (suo giocatore all’ADO), Louis van Gaal, Guy Thys, Jupp Heynckes sono stati i suoi discepoli più famosi. Tra i tecnici italiani anche Arrigo Sacchi, Enzo Bearzot e Giovanni Trapattoni si sono ispirati a questo personaggio così come tecnici più recenti come Rafa Benitez, José Mourinho e Jürgen Klopp. Chissà se oggi lassù il buon Ernst starà impartendo qualche lezione di calcio, seduto sulle nuvole, con il suo inconfondibile borbottio: “Kein geloel! Fussball spielen!” (“Basta stronzate! Giochiamo a calcio!”).
Questo articolo è un capolavoro assoluto che dà il giusto tributo al padre del calcio moderno.
Un articolo, bello, scritto magnificamente e con un finale grandioso . Bravo