Si chiude il campionato di Serie A con un finale thriller. Non poteva essere altrimenti, quando di mezzo c’è la solita pazza Inter, che viene raggiunta dall’Empoli prima di firmare il gol vittoria a una manciata di minuti dal gong finale. L’Atalanta che prima va sotto col Sassuolo e poi ne fa tre, scrivendo una pagina leggendaria della sua storia con la qualificazione in Champions League. Resta a guardare il Milan, il quale chiude quinto e non riesce ad essere il terzo che gode fra i due litiganti.
Molto spesso però, la storia insegna, non è nemmeno chi arriva secondo a poter esultare: soprattutto se quella posizione diventa una triste abitudine nel corso della propria carriera. È il caso del giocatore più celebrato della settimana, quel De Rossi che dopo 18 anni lascia la Roma ma non il calcio: nessun rinnovo ma ancora tanta voglia di giocare, forse anche in Italia. Ebbene, Capitan Futuro ha fatto registrare un vero e proprio record di piazzamenti alla Roma finendo per ben otto volte il campionato alle spalle della squadra vincitrice del titolo in Serie A.
Nessuno come lui, un qualcosa di cui non vantarsi, sebbene certifichi la competitività della Roma nell’ultimo decennio ed oltre. Al di là dei colori giallorossi, il buon Daniele, potrà comunque fregiarsi di quella volta che secondo non è arrivato: nella notte più importante, quella di Berlino, con il pregio di essere stato uno dei cinque tiratori contro la Francia. Doveva rifarsi, dopo l’espulsione alla seconda giornata contro gli Usa: ci riuscì alla grande.
Con lui un’altra leggenda del calcio italiano, in particolare di Genoa e Inter: Diego Milito. Il suo caso è ancor più particolare e paradossale: memorabile la notte di Madrid, in cui consegnò ai nerazzurri il triplete, è arrivato per ben tre volte secondo in una classifica cannonieri che è rimasta un tabù per il Principe argentino: in un anno, il 2010, in cui fu probabilmente sottratto illegittimamente di un pallone d’oro alla sua portata.
Dalla punta alla porta, come non ricordarsi di Dida? Forse il solo capace tra fine del vecchio millennio ed inizio del nuovo di spodestare Buffon dal ruolo di miglior portiere del mondo: dalla notte di Manchester del 2003 ai due anni successivi il portiere brasiliano dette vita a tre anni da Superman, prima di una metamorfosi incredibile, che ebbe inizio (coincidenza?) da quel fumogeno lanciato dagli spalti di San Siro in un celebre Milan-Inter, valevole per i quarti di Champions League. Fu colpito in pieno e ne rimasero evidentemente le tracce, visto che quel Dida ammirato fino a poco tempo prima avrebbe lasciato spazio alla sua ombra lontana.
Storie di eterni secondi, che hanno accarezzato in lungo e in largo la vittoria, senza mai godersela fino in fondo: che si tratti di livello individuale o di squadra. Col solito eterno dilemma: ma davvero, vincere, è l’unica cosa che davvero conta nello sport?