L'Aeroporto Internazionale di Asmara (foto di repertorio).

Pochi giorni fa, nella serata dello scorso 14 novembre, dalla regione settentrionale etiopica del Tigray sono partiti alcuni missili che hanno colpito la capitale dell’Eritrea, Asmara, in particolare l’aeroporto ed il ministero dell’informazione, fortunatamente senza alcun danno di rilievo. Inizialmente in molti avevano pensato a degli scoppi accidentali, ma successivamente è stato appurato che si trattava proprio di missili lanciati dagli uomini del TPLF (Fronte Popolare di Liberazione del Tigray), movimento che com’è noto ha governato sull’intera Etiopia fino al 2018, quando è finito all’opposizione riducendosi a governare solo la sua “regione roccaforte”, il Tigray.

Fin dal 2018, nel momento in cui il TPLF s’è letteralmente asseragliato nel Tigray, è nata una sua crescente tensione col governo centrale, guidato dal premier riformista Abiy Ahmed, contro cui sono state scatenate forme d’ostruzionismo e boicottaggio sempre più aperte e non di rado sfociate in situazioni d’aperta violenza. Ciò rispondeva ovviamente all’intenzione del TPLF di legittimare la sua politica di secessione del Tigray dal resto dell’Etiopia, su cui aveva ormai ben capito di non poter più riottenere il pieno possesso: il “Grande Tigray”, con confini allargati a danno delle regioni e dei paesi vicini, del resto, era il progetto iniziale del TPLF, messo momentaneamente da parte in favore di una più cauta svolta “federale” dopo la caduta di Menghistu e la piena conquista del potere nel 1991. Inevitabilmente questa politica separatista è giunta al suo culmine dopo il 4 novembre, coi primi scontri ufficiali fra miliziani del TPLF ed esercito etiopico, per arrivare quindi alla settimana successiva, quando il governo centrale del premier Abiy Ahmed ha spiccato i primi mandati di cattura internazionali sui vari leader del TPLF all’estero, in buona parte nascosti in Europa.

La reazione del TPLF, a quel punto, è stata molto chiara: puntando l’indice non solo sul governo centrale etiopico, ma anche su quello eritreo, i suoi vertici hanno dichiarato che oltre agli obiettivi etiopici sarebbero stati colpiti anche obiettivi eritrei. Del resto, il TPLF non ha mai digerito la sconfitta subita dagli eritrei nella guerra del 1998-2000, e finché ha avuto il governo dell’Etiopia ha fatto sempre di tutto per impedire che gli Accordi di Algeri del 2000 e il verdetto dell’apposita Commissione ONU sui confini fossero effettivamente implementati: si pensi all’occupazione ad oltranza della città eritrea di Badme e ai frequenti scontri alla frontiera. Il TPLF, dunque, colpendo l’Eritrea ha cercato d’internazionalizzare il conflitto, fino a quel momento interno alla sola Etiopia: se l’Eritrea avesse infatti risposto a quella provocazione con un intervento militare anche solo mirato, il conflitto avrebbe visto il coinvolgimento non più soltanto di Addis Abeba ma anche di Asmara. Il TPLF a quel punto avrebbe potuto presentarsi in sede internazionale come vittima di un’aggressione “a tenaglia”, che lo vedeva martellato dagli etiopici a sud e dagli eritrei a nord, ottenendo con facilità l’aiuto dei suoi tuttora non pochi sponsor esteri.

Va detto, in tal senso, come anche il comportamento assunto dai vari media occidentali in questi giorni sia piuttosto significativo: il premier etiopico Abiy Ahmed, per esempio, non viene più definito come il giovane e promettente leader riformatore, ma come un nuovo tiranno che sta facendo del male al suo popolo, e non poche sono anche le ironie in merito al suo Premio Nobel per la Pace. Quanto all’Eritrea, l’atteggiamento non era mai stato particolarmente positivo prima, ed ancor meno lo è oggi. Oltre alle varie testate europee ed americane, cominciando dalla illustre BBC, basta guardare anche solo alla stampa e ai vari esperti ed opinionisti del nostro paese per renderci conto di quanto misero sia lo stato dell’informazione, dove a toccare la vetta sono più che altro mali incurabili come la mistificazione, la retorica e l’assenza di spirito critico.

Se vogliamo un esempio principe, basterebbe guardare alla foto che è stata fatta circolare poco dopo la notizia del “bombardamento”: né più e né meno che una foto falsa, dato che in realtà è relativa all’esplosione di un vasto deposito di combustibili avvenuta in Cina, a Tianjin, il 12 agosto 2015. Ma, per dare l’idea che i missili lanciati dal TPLF avessero ridotto la capitale eritrea in fiamme, è stata fatta comunque circolare spacciandola per un’immagine di Asmara. Invece i missili del TPLF non avevano sortito alcun danno, al punto che non vi sono state neppure interruzioni nelle comunicazioni con l’estero e col resto del paese.

Senza dubbio l’intento di tali “fake news” è quello di motivare le regioni di chi, anche solo mediaticamente, oggi invoca l’intervento internazionale per tutelare certi interessi che ha a cuore ma che non vuole apertamente confessare, ed anche per far passare l’idea che il TPLF sia ancora militarmente molto temibile. Tant’è che i vertici del TPLF, subito dopo, vantandosi dell’impresa, hanno dichiarato d’avere ancora missili a sufficienza per poter colpire nuovi obiettivi, cominciando anche dalla capitale etiopica Addis Abeba. Nella realtà dei fatti, però, l’esercito etiopico continua ad avanzare sottraendo di giorno in giorno territorio al TPLF, che a questo punto ha decisamente le ore contate; mentre certe sue azioni possono solo scavare un solco ancora più profondo fra i suoi uomini e i popoli a cui continua a fare del male con le sue minacce e le sue azioni. Dal canto suo, l’Eritrea farà in modo di non cedere alle varie e disperate provocazioni del TPLF d’internazionalizzare il conflitto che questi ha col governo etiopico: ciò sarà, anche strategicamente, la miglior risposta possibile pure per coloro che in questo momento vorrebbero al contrario assistere proprio ad un suo coinvolgimento, che a quel punto sarebbe utile a giustificare i loro inviti interessati a compiere nuove ingerenze occidentali ed internazionali nelle vicende del Corno d’Africa.