Nel cinquantesimo anniversario dell’Earth Day, come ogni anno, si sono mosse le voci del globalismo d’alto bordo, con concerti di VIP, manifestazioni (questa volta monofoniche e virtuali, dai tinelli di lusso delle celebrità) e dichiarazioni roboanti di prassi da parte dei sedicenti “movimenti dal basso”. Un film già visto. Ma che sta arrivando ora al nocciolo del racconto. Un racconto di cui forse solo i nostri discendenti, più in là nel tempo, potranno reperire fortunosamente qualche sbiadita pagina, così come noi, a nostro tempo, avremo cercato di raccogliere indizi, ma senza trovare la famosa “smoking gun”.
L’Earth Day compie gli anni quasi contemporaneamente al Club di Roma, nato nel 1968 per riflettere su possibili soluzioni al deterioramento delle risorse ecologiche globali. Nella dichiarazione del Club del 1972, intitolata “I limiti della crescita”, si introduceva quello che doveva essere il suo elemento cardine: ridurre la crescita della popolazione mondiale per ridurre i consumi, e con essi il consumo di risorse abbinato al riscaldamento globale. Sulla carta, all’epoca (e anche qualche anno fa) nessuno avrebbe avuto nulla da obiettare. A posteriori, però, emerge il lato oscuro di propositi in teoria encomiabili. Colpisce il fatto che in tale dichiarazione venisse indicato il 2020 come possibile scenario di “politiche estremamente coraggiose” per arrivare ad una “sostenibilità sinergica in tutto il mondo”. Politiche che secondo il primo ministro svedese Olof Palme (assassinato nel 1986) sarebbero state troppo draconiane e impopolari per essere attuate. Ma fino a che punto le buone intenzioni rimangono tali per poi sfociare nel delirio (se non proprio crimine) ideologico?
Negli Obiettivi per l’Umanità, il Club di Roma affermava che la popolazione ottimale deve essere compresa tra cinquecento milioni e un miliardo di individui perché si potesse garantirne la sostenibilità. Tale idea si è più volte ripetuta in diverse dichiarazioni di vari personaggi del mondo informativo, politico e lobbistico. Certo, sono tutti argomenti che, detti così, possono apparire a dir poco surreali, per non dire proprio aberranti, complottisti, deliranti. Però c’è stata gente parecchio importante che ne ha parlato, anche con grande enfasi. Per esempio il fondatore della CNN Ted Turner dichiarò addirittura che “un totale di duecentocinquanta o trecento milioni di persone, ossia una diminuzione del 95% rispetto alle cifre attuali, sarebbe perfetto”. Per non parlare del cofondatore del movimento ambientalista Earth First, Dave Foreman: “I miei tre obiettivi principali sarebbero di ridurre la popolazione umana a circa 100 milioni su scala mondiale, distruggere la infrastrutture industriali constatando in seguito il ritorno della natura selvaggia sul pianeta”. Qualcuno di noi, leggendo simili proclami, sarebbe comprensibilmente tentato dall’idea di chiamare gli infermieri del manicomio. Questi sono ovviamente casi estremi, e ci teniamo a ribadirlo, ma che siano 100 milioni o 1 miliardo, la tentazione della riduzione demografica è un’idea fissa nel quadro ideologico di certe élites globaliste. E dal “controllo della crescita” alla riduzione forzata vera e propria, il passo è breve.
Siamo nel 2020. Una epidemia di proporzioni incontrollate, con perfezione diabolica, sta costringendo il mondo a ridurre le attività umane. Proprio ieri su Repubblica, tal Peter Wadhams, professore di fisica degli oceani a Cambridge, dichiarava: “La vita prima del virus è un male per il clima del pianeta”. E sui vari social impazzano le foto di cinghiali che invadono le città, di gabbiani che occupano i marciapiedi, in definitiva degli animali che “si rifanno sugli umani”, con like gongolanti e diciamo anche un po’ misantropi di tanti ambientalisti o sedicenti tali.
L’odio per la “dimensione umana” a favore della dimensione animale, con tutte le difficoltà che comporta la prima quanto a problematiche ed approccio, è una via semplice e veloce per aggirare tutti i problemi. Etici nel caso degli ambientalisti, ed economici nel caso delle élites che di loro si servono. Non è un caso che la Germania di Hitler, spietata con le etnie umane, avesse una legislazione ritenuta per l’epoca di avanguardia per quanto riguardava il rispetto delle specie animali, all’interno di un discorso naturalistico ed ancestrale. Le famose Georgia Guidestones, dette la “Stonehenge americana”, al centro di numerose tesi complottiste (a partire dalla segretezza sui loro finanziatori), tutto sommato, non vanno del resto in senso molto differente: anch’esse proclamano la riduzione della popolazione mondiale a 500 milioni per rimanere “in armonia con la natura”, con quel pizzico di esoterismo naturalistico che fa da substrato culturale comune. E poi ci sono le varie comunità spirituali, esoteriche, pseudoreligiose, ecc, anch’esse in odor di nazismo o quasi, sparse in mezza Europa: autentiche sette isolate dall’ambiente esterno, con “ecovillaggi” in cui si vive in ossequioso rispetto per la natura… ed in altrettanto zelante ostilità verso il genere umano.
Quale sarebbe in definitiva l’idea di economia perfetta sia per gli ambientalisti, che per i ricchi teorici della decrescita? Un’economia dei consumi che sia limitata solo a ristrette fasce privilegiate, con la stragrande maggioranza della popolazione costretta a un’economia di sussistenza. In sintesi: meno persone e che consumino meno (tranne, ovviamente, il famoso un per cento). Si va ben oltre la vecchia idea di consumismo, anzi: occorre eliminare il “consumatore non produttivo”, quindi non ottimizzato con la Natura e non ecologico. I più deboli (anziani, disabili, fasce più fragili economicamente) sono il primo bersaglio. Sia in senso sanitario, sia in senso economico. Ma, sotto sotto, non è forse quello che volevano in molti, fra desiderio di togliere il voto agli anziani e frasi come “siamo troppi” e “avete vissuto al di sopra delle vostre possibilità”?
La pandemia di coronavirus, in definitiva, è una manna inconfessabile per gli esegeti della “decrescita felice”, che null’altro è se non la maschera sorridente (propinata dai prestigiatori della lingua globalista) della recessione mondiale totale. Solo in Italia, in un solo mese, i consumi si sono ridotti di ben oltre il 30%. In un solo mese, sono aumentate da 14 a 21 milioni le persone in difficoltà economica. Nemmeno una bomba atomica sarebbe stata capace di tanto. Si prospetta un’economia di guerra globale, con riduzione esponenziale dei consumi, della natalità, e ingigantimento esponenziale delle sacche di povertà. Notizie dolorose per gli ambientalisti? Niente affatto. Secondo quello stesso Club di Roma che 50 anni fa diede il “la” culturale a questo processo, testuali parole: “la pandemia di COVID-19 ha dimostrato che le società umane sono in grado di trasformarsi più o meno dall’oggi al domani, e in effetti, non c’è momento migliore di adesso per inaugurare un cambiamento economico sistemico”.
Si potrebbe dire: l’occasione fa l’uomo ladro. E ancora una volta si ritorna alla teoria terroristica degli shock indotti per “riformare il sistema”. Dopo quello economico del 2008, è la volta di quello sanitario. E si sa che ogni crisi, per i mestatori di professione annidati nelle commissioni trilaterali e nei consessi globali, è un’opportunità. Con buona pace dei vari Mister e Miss “andràtuttobene” che credono ad una società migliore dopo il coronavirus: migliore, forse, solo per chi avrà il potere: politico, economico e non solo.