Marine Le Pen e Florian Philippot

Mentre la Francia dei sindacati e delle sinistre scende in piazza e raccoglie consensi tra gli oppositori dell’eurista Macron, in casa Front National è crisi nera.

Il partito guidato da Marine Le Pen stavolta sembra non essersi ripreso dalla batosta presidenziale rifilatagli dal figlioccio parigino di Angela Merkel, e la riflessione interna che il partito avrebbe dovuto avviare per comprendere le ragioni di una sconfitta è sembrata sin da subito una resa dei conti interna.

Marine ha perso sin da subito il sostegno della bella e giovane nipote Marion Marechal-Le Pen, la quale ha annunciato qualche giorno prima delle elezioni legislative di voler lasciare la politica per qualche anno. Mentre oggi il leader del front perde uno di quelli che fino a poco tempo fa era tra i suoi fedelissimi: il vice-presidente Florian Philippot.

Se sulle prime l’arrivederci dell’affascinante Marion poteva essere interpretato come una strategia di rinnovamento concordata all’interno della famiglia Le Pen, il perseverarsi della crisi e la mancanza di una valida iniziativa politica da parte del Front negli ultimi mesi, indica come quella fosse l’ennesima puntata dello scontro interno tra la linea gollista e repubblicana di Marine e la corrente tradizionale del partito, afferente al capo-stipite Jean-Marie e portata avanti nella figura della giovane nipote.

Il fuoriuscito Philippot era invece una intuizione della stessa Marine Le Pen. La figlia più piccola di Jean Marie Le Pen ha preso in mano il partito nel 2011 e lo ha trasformato in un partito proiettato nel XXI secolo, capace di portare alla ribalta dell’opinione pubblica francese ed europea i temi del sovranismo, sdoganandoli per larga parte dal settarismo e dalla emarginazione tipici dei partiti di destra.

Il front national di Marine dal 2011 al 2017 è una forza politica che si proietta oltre gli steccati ideologici dando di sé una nuova immagine, priva degli eccessi radicali del suo leader storico, famoso in Francia per le sue parole contro De Gaulle e i suoi elogi alla colonizzazione e alla Repubblica collaborazionista di Vichy. È invece un partito che sposa la causa laica e repubblicana, che in Francia ha un valore fondante, addirittura riuscendo a contrapporsi come valida alternativa dell’UMP nel campo neogollista.

Philippot era stato introdotto nel partito dalla leader del Front nell’ottica del rinnovamento che avvicinava il partito al neogollismo. Laureato in Economia, Philippot ha una carriera nei quadri degli alti funzionari dello Stato francese sin dai tempi di Chirac, si dichiara da sempre avverso all’euro e alle privatizzazioni e si dice perplesso dalle manifestazioni dei socialisti, per i quali aveva simpatie giovanili, contro la candidatura alla presidenza di Jean Marie Le Pen nel 1999.

A partire dal 2011 Philippot, quando cura la campagna presidenziale di Marine Le Pen alle elezioni del 2012, viene considerato l’eminenza grigia del partito, che si occupa sia del lato propagandistico sia di osservare le proposte economiche delle sinistre radicali europee come Podemos e Syriza. In pratica diventa il secondo di Marine Le Pen, venendo nominato tra i vicepresidenti del partito.

Una strategia questa della leader del front per la quale molti militanti avevano espresso delle perplessità. Philippot proveniente dall’ENA, come l’attuale presidente Macron era visto come un “tecnocrate”, un qualcosa di non abituale per un partito proveniente dalla destra radicale: “i nostri dirigenti vengono dal popolo” era la frase ricorrente tra gli scettici.

Tuttavia il periodo storico che va dal 2011 all’aprile 2017 resta quello di maggiore consensi per il Front National, non solo elettorali ma anche mediatici, riuscendo ad affermarsi soprattutto tra le classi subalterne, erodendo la base elettorale del partito socialista.

Conferma di ciò è il fatto che Macron e gli euristi hanno dovuto ricorrere a un’ampia coalizione di forze politiche che sono entrate nel gruppo guidato dall’ex socialista e facendo fuori dalle poltrone molti suoi ex colleghi socialisti.

La sconfitta subita alle scorse presidenziali dal Front non è dovuta al fallimento di Marine come qualcuno è tentato di pensare forse soprattutto all’interno del suo stesso partito, ma al fardello che un partito palesemente ispirato al vecchio MSI italiano si porta inevitabilmente dietro. I francesi ancora una volta sono stati spaventati dallo spauracchio del fascismo, tuttavia hanno dato al candidato di destra ben sette milioni e mezzo di voti al primo turno, con una differenza con Macron di meno di un milione di elettori.

Il problema della Le Pen è stato numeri alla mano l’impossibilità di convincere gli elettori delle altre forze politiche a votarla. Malgrado ciò Marine Le Pen ha comunque ingrossato le fila dei sostenitori del suo progetto politico, ottenendo ben un milione di schede in più rispetto alle elezioni del 2012, mentre al secondo turno ha ottenuto ben 3 milioni di voti in più, ottenendo quindi i voti di una bella fetta di gollisti e repubblicani, che l’hanno preferita a Macron.

Il problema di Marine Le Pen e del Front resta dunque un problema di alleanze più che di consenso: la sinistra si è astenuta o ha addirittura votato Macron non fermandosi a guardare i programmi, perché soltanto un autolesionista avrebbe potuto votare il programma economico di Macron da estrema sinistra. Come al solito ha fatto la differenza l’idiosincrasia per il Front.

Ma Marine Le Pen e gran parte del suo partito devono pensarla diversamente se già all’indomani della sconfitta alle elezioni è stato guardato il bicchiere mezzo vuoto della mazzata al secondo turno e non quello mezzo pieno dell’affermazione elettorale del partito.

La proposta antieurista e sovranista è stata dunque accantonata: una mossa che si proietta nel lungo termine dove è assai probabile una normalizzazione del FN all’interno delle destre francesi. All’interno delle quali si è forse tentati di pensare a vincere un blocco di centro-destra unito verso un programma moderato: una prospettiva che può essere alletante ma che condanna i lepenisti a sparire dalla scena, per lasciare spazio a una destra moderata che ricorda l’alleanza Berlusconi-Fini. Con la sostanziale differenza che in Francia di Berlusconi non se ne vedono pronti a dare legittimità politica al Front come Berlusconi fece con Fini nel lontano 1993.

Dunque dove va il Front National? Per il momento non è dato saperlo, ma Philippot ha capito ben presto l’antifona post-elettorale dell’ormai suo ex partito e ha fondato il maggio scorso l’associazione de Les Patriotes, proprio l’associazione è stata il frutto della discordia o forse il pretesto per mandare via anche quello che a lungo è stato il braccio destro del presidente del Front.

Nella presentazione dell’associazione nel suo sito ufficiale si legge che le elezioni presidenziali non sono state davvero una sconfitta per il Fn ma “una grande avanzata per tutto i patrioti di Francia”, sottolineando che i patrioti in Francia sono già undici milioni, ovvero coloro che hanno votato Le Pen. Ma negli ultimi giorni proprio la Le Pen ha dovuto far fronte ai malumori del partito verso questa scelta di Philippot, invitando il vicepresidente a una scelta tra l’associazione da lui fondata e il partito.

In seguito a questo ultimatum, non raccolto da Philippot, la Le Pen lo ha privato della sua delega alla “Strategia e Comunicazione”, facendo maturare nell’ex braccio destro del presidente la decisione di lasciare il Front National.

Ormai la guerra endemica al partito è iniziata, e proprio la linea “social-sovranista” di Philippot che fino a pochi mesi fa era stata quella del leader è quella messa maggiormente sotto accusa dall’ala più destrorsa del Front. Philippot è dunque un lusso che la Le Pen a sei mesi dal congresso non può permettersi.

Bisognerà attendere dunque il periodo di febbraio marzo del 2018 per stabilire se la ritirata di Marine Le Pen è strategica (rinuncia alle battaglie su sovranismo, euro, etc.) o soltanto una scelta tattica per ricompattare il partito e riconfermarsi al vertice.

Quel che è certo è che qualunque saranno le sue scelte il Front National così come lo conosciamo è finito. Sia nel caso di un rilancio della proposta politica che quasi sicuramente andrà di pari passo con un cambio di nome sia nel caso di una normalizzazione verso posizioni centriste e moderate nello stile del vecchio AN italiano.