I nostri giornali parlano, in questi giorni, della chiusura delle frontiere austriache e titolano a gran voce che “è finita l’era Schengen”. Si utilizzano toni allarmistici, si organizza il caos mediatico e si avverte la popolazione della catastrofe che si abbatterà sui cittadini nel caso in cui l’Unione Europea dovesse crollare. Ma noi sappiamo che i poteri sono sempre più furbi di quanto appaiano e desideriamo vederci chiaro. Innanzitutto, chiediamoci cosa sia Schengen, cosa l’ha fatto nascere e quali sono le condizioni, in positivo e in negativo, che porta ai suoi 26 paesi membri, e quali invece potrebbe portare.

Nel 1985, Francia, Germania Ovest, Paesi Bassi e Belgio si riuniscono nella cittadina di Schengen, in Lussemburgo, confine tra i cinque paesi. Qui firmano un accordo, chiamato per l’appunto “Accordo di Schengen”, che prevede la libera circolazione di persone, merci e capitali tra i paesi firmatari.

All’epoca la Comunità Economica Europea non aderì all’accordo, e dovettero passare ben dodici anni perché l’Accordo di Schengen venisse indicato come pilastro fondamentale della nascitura Unione.

Dopo i paesi citati, il primo firmatario fu l’Italia, nel 1990, seguita a ruota da Spagna, Portogallo, Austria, Danimarca, Finlandia e Svezia.

Molto spesso, quando si parla di Schengen, è detto che “proibire alle persone di muoversi liberamente è un insulto alle libertà individuali”. Non spetta a me entrare nel merito della questione, ma è anche vero che spesso con la scusa dell’attacco alle libertà individuali si mascherano ben altre operazioni: Schengen prevede infatti che non siano solo le persone a potersi muovere liberamente tra gli Stati, ma anche le merci e i servizi. Il testo dell’Accordo, ai punti 1, 3 e 4 della premessa, dice:

consapevoli che l’unione sempre più stretta fra i popoli degli Stati membri delle Comunità europee deve trovare la propria espressione nella libertà dei attraversamento delle frontiere interne da parte di tutti i cittadini degli Stati membri e nella libera circolazione delle merci e dei servizi […]”
considerando i progressi già realizzati in seno alle Comunità europee, allo scopo di garantire la libera circolazione delle persone, delle merci e dei servizi, […]”
animati dalla volontà di pervenire all’eliminazione dei controlli alle frontiere comuni in relazione alla circolazione dei cittadini degli Stati membri delle Comunità europee e di agevolare la circolazione delle merci e dei servizi a tali frontiere, […]”

I tre punti citati, posti all’inizio del documento stilato a Schengen, indicano con precisione che scopo del Trattato è quello di agevolare lo scambio e la libera circolazione di merci e servizi tra gli Stati firmatari; cosa che smentisce già di per sé la teoria secondo cui chi attacca Schengen attacca la libertà di circolazione dei cittadini dell’UE.

Sappiamo di vivere nell’epoca liberista e globalizzata, punto cardine della quale è l’eliminazione delle frontiere, statali, sociali o di altro genere, che impediscono la piena adesione allo stile di vita consumistico e alla realizzazione dell’identità moderna dell’utente. Sappiamo anche però che i paesi più fortemente liberisti (U.S.A., U.K ecc.) per quanto premano affinché i loro mercati esteri riducano i costi di dogana e i controlli sui loro mercati, al loro interno applichino misure protezionistiche al pari di quelle in vigore già da prima della Grande Depressione del secolo scorso.

Il 2 febbraio, Yao Jian, portavoce del Ministero del Commercio della Cina popolare, ha sferrato una forte invettiva contro Washington: Jian ha infatti sottolineato come gli U.S.A. abbiano applicato misure restrittive nei confronti dei cavi elettrici e dell’acciaio proveniente dalla Cina, che dal 2009 esporta negli States beni per valori che superano gli 80 miliardi di dollari.

Sorge quindi spontaneo chiedere se l’abbattimento delle frontiere per la circolazione di merci e servizi che i paesi UE si impongono da un ventennio non indebolisca le produzioni nazionali, favorendo invece le importazioni e le produzioni di paesi stranieri (come accade con il contestatissimo TTIP).

Vale la pena ricordare che i primi ad abbattere i muri di confine in nome delle libertà individuali furono proprio i tedeschi dell’Ovest, che dopo aver tempestato i telegiornali europei con la retorica della liberazione dell’Est dal giogo comunista, iniziarono una velocissima operazione di de-industrializzazione nell’Est del Paese, rendendolo un mercato di sbocco per le merci e i capitali finanziari e industriali dell’Ovest. Non è un caso, quindi, che proprio dalla Germania e dai suoi principali alleati europei parta oggi l’invettiva contro l’Austria, l’Ungheria e la Slovenia; paesi che hanno deciso di alzare le frontiere contro i migranti sospendendo il Trattato di Schengen.

Quello che i media dimenticano, però, è che il Trattato di Schengen parla dell’abolizione delle frontiere interne ai paesi membri, lasciando agli Stati “di confine” il compito di difendere quelle esterne.

Ora, sappiamo che i paesi di confine dell’UE, oltre la Slovenia e l’Ungheria, sono anche l’Italia e la Grecia. Le migrazioni degli ultimi anni, nate dalle guerre intraprese dalla NATO contro il mondo arabo, arrivano in più punti: l’Italia, per ovvi motivi di vicinanza geografica, è la meta prediletta dai libici; in Grecia arrivano, oltre ai libici, moltissimi siriani in fuga dall’ISIS che se non riescono ad approdare nella Repubblica Ellenica scelgono di arrivare in Europa via terra, entrando in Ungheria e Slovenia.

Tutti i paesi citati, però, si trovano in una fortissima situazione di crisi economica e squilibri sociali; vedendo arrivare migliaia di migranti, (per quanto i migranti stessi non vogliano proprio quei paesi come meta ultima) si scatena un’inevitabile guerra tra poveri, che in paesi dove il tasso di povertà e proletarizzazione è in crescita, rende il terreno fertile ai partiti (come la lega Nord e Alba Dorata) che lucrano sulle crisi migratorie, fomentando le divisioni della sinistra. Sinistra che non riesce a compattare i proletari e i sottoproletari italiani e i migranti, e che quindi si ritrova a svolgere – male – il ruolo della Caritas: portare coperte e zuppe ai migranti.

Ovviamente, i flussi migratori diventano tema centrale del dibattito politico nei paesi che si trovano a dover affrontare la crisi, e i ceti popolari si spingono inevitabilmente verso la reazione e i sentimenti razziali, entrando in conflitto con i migranti e preferendo restare sotto le ali sicure dei “difensori degli italiani”. Il problema è che è difficile dar loro torto. Gli episodi di microcriminalità perpetrati dai migranti si moltiplicano, e una mater familias di un sobborgo romano se vede sua figlia molestata di certo non spalanca le braccia gridando: “Accoglienza!”

Pare quindi inevitabile che paesi in forte crisi economica e sociale si trovino costretti a chiudere le frontiere, chiedendo ai paesi più ricchi – come Germania, U.K. e Francia – di dar sistemazione ai migranti.

Non a caso, i paesi economicamente più forti dell’UE sono quelli che si trovano al suo centro geografico e che dovrebbero, se Schengen fosse ripensato bene, distribuire attraverso una tassazione federale risorse extra ai paesi di confine, per permettere loro di superare la crisi migratoria e vigilare meglio sulla sicurezza dell’Unione Europea.

Per concludere, vorrei lasciare tre spunti di riflessione:

  • Le mosse dei governi di Ungheria, Slovenia e Austria non sono certo una soluzione alla crisi migratoria. Ma possiamo davvero biasimarli e criticarli così a ruota libera oppure dovremmo cercare di supportare quei paesi e comprendere le loro motivazioni?
  • Siamo sicuri che Schengen, nella sua forma attuale, sia un Trattato da rispettare appieno? Potrebbe rivelarsi molto più utile se garantisse una redistribuzione federale della ricchezza dai paesi più ricchi (che coincidono con quelli del “centro”) a quelli più poveri (che coincidono con quelli “di frontiera”). Inoltre, bisognerebbe seriamente pensare di poter garantire un ampio margine di movimento ai cittadini limitando invece la circolazione di merci, servizi e flussi di capitale; per fare in modo di disincentivare le delocalizzazioni, sviluppare la produzione nazionale rilanciando industria e occupazione e convertire i debiti dei paesi come la Grecia in investimenti dei paesi creditori.
  • Davvero possiamo parlare solo di “Ruspa” o di “Accoglienza”? Si tratta di posizioni mediatiche, che non costituiscono davvero soluzioni alla crisi. C’è in gioco la vita di migliaia di persone, e bisognerebbe trovare una soluzione più equa e sostenibile per tutti. È troppo facile dire che Orban è un nazista, quando non fa altro di evitare che la popolazione del suo paese si trovi a dover affrontare una situazione più difficile di quanto già non viva.

La mossa di questi discussi paesi UE potrebbe invece, se indirizzata nel verso giusto, costituire l’inizio di una nuova Europa, più attenta agli interessi di tutti, più creditrice che usuraia.

Tete Mir