Poco tempo fa, parlando di fusione nucleare, uno studente di terza liceo mi chiese se con l’avvento di tale pratica l’industria bellica non potesse trarne tragici benefici. Rimasi sorpreso dalla domanda, perché l’industria bellica cominciò a sfruttare i principi della fusione nucleare già negli anni ’50, con la realizzazione della prima bomba all’idrogeno.
Sebbene sia assolutamente normale che uno studente possa non saperlo, ci sembra altrettanto evidente che vi sia una grande disinformazione su questo argomento. La fusione nucleare è spesso vista con occhi sospettosi, noi fisici come scienziati pazzi e più in generale qualsiasi parola accanto a “nucleare” si trasforma in una malefica ed oscura entità. In verità però la fusione nucleare è la più grande sfida del terzo millennio.
Quella della fusione sarebbe una soluzione pulita e a basso costo per produrre energia senza rischi di incidenti o contaminazioni radioattive, funziona con il medesimo processo che avviene nelle stelle e nel Sole. Realizzare la fusione nucleare potrebbe consentire l’abbattimento di tutte le problematiche emerse dall’esperienza della fissione nucleare e l’annullamento delle emissioni causate dalle centrali a combustibili fossili.
Nel mondo attualmente sono già stati costruiti diversi reattori sperimentali a fusione nucleare, altri sono in fase di costruzione. Uno dei progetti più promettenti in questo senso è sicuramente l’International Thermonuclear Experimental Reactor (ITER). Un progetto per realizzare la fusione promosso da ben 34 Paesi tra cui Francia, Italia, Giappone, Russia, Cina e Stati Uniti. È in fase di costruzione nel Sud della Francia ed è previsto che comincerà a produrre energia già a partire dal 2030. In Italia l’ENEA, in collaborazione con il CRN, l’INFN e CREATE dovrebbe iniziare entro il 2018 le sperimentazioni sulla fusione nucleare con il progetto Divertor Tokamak Test Facility (DTT), per il quale saranno stanziati fondi pubblici (di natura comunitaria) e privati e creare circa 2000 posti di lavoro.
Con i reattori a fusione nucleare si avranno grandissimi vantaggi rispetto ai metodi di produzione energetica “tradizionali”, basti pensare che per generare quantità enormi di energia le emissioni in atmosfera saranno pressoché nulle e si produrranno scorie a bassissima radioattività, la quale tenderà ad esaurirsi in pochi decenni, eliminando così anche il problema sociale dello stoccaggio delle scorie. In oltre i reattori a fusione nucleare produrranno gas di scarico assolutamente non inquinanti.
Le reazioni nucleari di interesse per la fusione sono quelle che coinvolgono i nuclei dell’idrogeno e dei suoi isotopi. In particolare, la reazione di interesse più immediato è quella che si verifica tra i nuclei di due forme pesanti dell’idrogeno, gli isotopi deuterio e trizio.
Il deuterio è abbondante nell’acqua di mare (30 g/m3) mentre il trizio, materiale radioattivo con un tempo di dimezzamento di 12.36 anni, non esiste in quantità apprezzabili in natura e deve quindi essere generato. Nel futuro reattore a fusione i neutroni, che trasportano l’80% dell’ energia prodotta, saranno assorbiti in un “mantello”, posto intorno al nocciolo del reattore stesso, contenente litio, il quale abbonda nelle rocce della crosta terrestre, che si trasformerà in trizio secondo le reazioni
dove n sta per neutrone lento.
Gli isotopi dell’idrogeno, deuterio e trizio, sono quindi posti sotto vuoto e riscaldati ad alte temperature fino a formare il plasma (nuclei separati dagli elettroni). Quest’ultimo viene a sua volta riscaldato da corrente elettrica per far sì che gli atomi si fondano generando energia per difetto di massa.
Il processo di fusione è ostacolato da un’altra forza, quella elettrostatica. Questa forza è provocata dalla carica positiva dei protoni che li porta a respingersi. Ecco perché, per superare questa barriera elettrostatica, i nuclei devono essere portati ad uno stato di eccitazione, raggiungibile solo ad altissime temperature (100 milioni di gradi), tali da spingere i nuclei a fondersi.
Queste altissime temperature richieste dalla fusione hanno posto un problema concreto: non esiste materiale che può resistere a cento milioni di gradi, ecco perché si è cercato di risolvere il problema creando dei campi magnetici tali da distanziare il plasma dalle pareti metalliche del reattore.
Proprio in questi giorni è arrivata dal Massachusetts Institute of Technology (MIT) un’innovativa soluzione che potrebbe accelerare lo sviluppo della fusione nucleare: un nuovo materiale superconduttore, un nastro d’acciaio rivestito da un composto di ittrio-bario-ossido di rame (YBCO), con il quale creare magneti più piccoli e potenti. Ciò vuol dire che servirà meno energia per creare le condizioni per la fusione, concentrata in un area ancora più ristretta.
Per queste ragioni, la fusione nucleare deve essere considerata come la grande sfida del terzo millennio: la complessità per la sua realizzazione è pari ai benefici che apporterà all’umanità.
Fabrizio Conti
grazie per l’articolo davvero molto interessante.
in questo tempo difficile, è un sollievo poter leggere notizie incoraggianti :)