Le notizie che si rincorrono da Libreville, capitale del Gabon, sono piuttosto confuse, e sicuramente sarà necessario aspettare ancora un po’ prima di sapere per certo come stiano andando le cose in quello che è uno dei paesi più ingessati del Continente Africano, ed anche uno dei più fedeli a Parigi nella cornice della cosiddetta Françafrique, le ex colonie africane su cui tuttora la Francia esercita uno stretto controllo.
Da tempo si sapeva che il presidente Ali Bongo era malato, forse persino gravemente malato. Approfittando delle sue frequenti assenze, gli altri membri della famiglia avevano quindi assunto un potere decisionale ed un’influenza sempre maggiori, spesso oltrepassando i limiti dell’invadenza. Il 24 ottobre scorso il presidente era stato colpito da un ictus, che l’aveva costretto ad un frettoloso e misterioso ricovero in Marocco. Da lì, a Capodanno, aveva tenuto un breve discorso ai concittadini, a cui erano seguite le rassicurazioni del suo portavoce circa il fatto che la guarigione fosse ormai avvenuta e che i problemi di salute erano tutti alle spalle. Dopo, però, il presidente è nuovamente sparito.
Ali Bongo aveva assunto il potere nel 2009, succedendo al padre Omar, che s’era impadronito del paese nel 1967. Quest’ultimo era diventato presidente nel 1967, sostituendo su indicazione del Generale Charles De Gaulle il gravemente malato Leon M’ba, il leader nazionalista che aveva condotto il Gabon all’indipendenza da Parigi nel 1960. Omar Bongo aveva così inaugurato una dittatura monopartitica, secondo uno schema politico molto frequente in quegli anni nel Continente Africano, e sostenendosi soprattutto sui guadagni derivanti dal petrolio scoperto nel frattempo. Successivamente era stato riconfermato in elezioni plebiscitarie, dov’era l’unico candidato, tanto nel ’73 quanto nel ’79 e nell’86.
Nel 1990 Omar Bongo aveva introdotto il multipartitismo, sempre seguendo lo schema d’altri leader africani dell’epoca, ma con tutto ciò aveva continuato a vincere le elezioni successive, nel ’93, nel ’98 e nel 2005. Ad ogni elezione seguivano prontamente le dimostrazioni, anche violente, dei sostenitori dell’opposizione. Nell’ottica delle “politiche matrimoniali” fra le dinastie al potere in molti paesi africani, Omar Bongo nel 1990 aveva sposato anche la Edith Lucie, la giovane figlia del presidente del Congo-Brazzaville, ex Congo francese, Denis Sassou Nguesso, tuttora al potere.
Omar Bongo, poi, con molta disinvoltura s’era fatto dapprima battezzare da Papa Paolo VI e poi, solo pochi anni dopo, nel ’73, s’era convertito all’Islam, sempre in funzione della ricerca dei migliori appoggi politici del momento. Non aveva trascurato, in tutto questo suo zelo, neppure la Massoneria, facendosi iniziare alla Loggia “Parfaite Union” di Angouleme, per poi divenire Gran Maestro della Grande Loggia del Gabon.
Quando ancora era uno dei “bracci destri” del presidente Leon M’ba, Omar Bongo era stato imprigionato dai militari a seguito di un fallito colpo di Stato contro il governo. L’intervento immediato dell’esercito francese aveva rimesso al suo posto Leon M’ba in circa 24 ore, ma da quel momento Omar Bongo era rimasto così segnato da quell’esperienza da non voler mai, nei quarant’anni del suo potere, dare alcuna fiducia o ruolo di potere all’esercito del proprio paese.
Nel giugno del 2009, comunque, il vecchio Omar Bongo morì a causa di una malattia, e a rimpiazzarlo fu uno dei suoi figli, Ali, in seguito ad un controverso procedimento costituzionale ed elettorale, boicottato dalle opposizioni, che non tardarono ad accusare l’erede di “autoritarismo” e “guida autocratica”. La famiglia Bongo, comunque, in tutti quegli anni aveva ammassato all’ombra della Francia un enorme potere ed una faraonica ricchezza.
Nel 2014 la struttura di potere del paese aveva già tremato quando, in base all’inchiesta di un giornalista francese, era stato detto che Ali Bongo non fosse vero figlio di Omar, ma nigeriano, da questi adottato ai tempi della guerra del Biafra, negli Anni Sessanta. Tutto ciò ha determinato delle spaccature politiche e diplomatiche anche con la Francia, con numerose procedure giudiziarie.
Il vero problema, però, scoppiato nel 2016, è stato il cosiddetto “affaire Total”: per decenni la compagnia francese aveva estratto petrolio dal sottosuolo del Gabon per miliardi di dollari, col consenso del governo e del padre Omar Bongo. Ma a quel punto il presidente Ali Bongo ha chiesto una verifica fiscale, affermando che Total non aveva versato tutte le tasse dovute allo Stato. E’ divenuto a quel punto ufficiale che Ali non intendeva ripercorrere proprio del tutto le orme paterne, discostandosi dalla vecchia sudditanza verso i francesi per avvicinarsi maggiormente ai nuovi attori presenti in Africa, in primo luogo la Cina. Così Parigi e buona parte dell’Occidente si schierarono con l’opposizione gabonese, mentre l’Unione Africana e gran parte dei leader africani assunsero le difese di Ali Bongo.
Nell’agosto 2016, in occasione delle nuove elezioni, l’opposizione tornò a chiedere l’invalidatura della sua candidatura, ma senza esito. La prevedibile riconferma di Ali Bongo suscitò un’ondata di proteste mai viste prima nel paese, con un numero di vittime stimato in almeno 30 persone. La situazione è sembrata ristabilirsi a favore del presidente gabonese fin quando, durante la sua partecipazione ad un forum economico in Arabia Saudita, non è rimasto colpito dall’ictus. A quel punto hanno cominciato a fioccare numerose voci riguardanti non soltanto il suo reale stato di salute, o se fosse addirittura ancora in vita, ma persino in merito ad una sua possibile destituzione, giuridica o di fatto, a vantaggio di qualche altro uomo forte della famiglia o del suo gruppo di potere.
Ad incrementare le inquietudini, anche i problemi del vicino Congo, dove in occasione delle elezioni presidenziali la situazione appare a dir poco convulsa. Tant’è che gli Stati Uniti hanno inviato, proprio in Gabon, proprie truppe per monitorare i confini col Congo, un fatto che ha ulteriormente diviso alcuni settori politici, militari e dell’opinione pubblica gabonesi.
Oggi, sullo sfondo di questa situazione sempre più ambigua, è giunta la notizia del tentato golpe da parte di un gruppo di militari ribelli, che avrebbero annunciato la formazione di un “Consiglio nazionale di restaurazione” volto a reintrodurre la democrazia nel paese dopo gli oltre cinquant’anni di parentesi autocratica della famiglia Bongo, ma dopo poche ore il portavoce del vecchio governo, Guy-Bertrand Mapangou, ha annunciato che “nessuna caserma ha seguito i rivoltosi” e pertanto “la situazione è tranquilla. I gendarmi che normalmente controllano la zona hanno ripreso il controllo dell’intera area intorno al quartier generale della radio e della televisione, per cui tutto è tornato normale”. I militari ribelli, infatti, avevano preso controllo della stazione radio e TV, usandola per lanciare il loro proclama. Quattro di loro sarebbero già stati arrestati, mentre il quinto sarebbe ancora braccato dalle autorità, che potrebbero arrestarlo “nelle prossime ore”.
Nel non facile scenario di un Gabon che deve scegliere tra conservarsi in un passato che coincide in pratica con quasi tutta la sua storia di paese indipendente e l’avventura di un futuro ancora tutto da capire e da scrivere, la situazione politica nazionale non può che apparire incerta. La difficoltà d’individuare, nell’élite al potere a Libreville e nella cerchia familiare dei Bongo, nuove risorse politiche con cui sostenarsi e tramandarsi ai vertici dello Stato, non può che condurre a nuove crisi, prima di tutto istituzionali. Dopo le recenti scelte politiche, economiche e strategiche di Ali Bongo, è possibile che la vecchia famiglia dal 1967 alla guida del Gabon sia ormai screditata presso molti importanti ambienti parigini, e non solo.
Parigi vanta ancora un forte potere nelle sorti del paese, e questo può tradursi nella sua possibilità d’intervenire in vari modi per modificarne la struttura politica e di comando. Se tra i Bongi vi saranno ancora elementi recuperabili o spendibili per Parigi, quest’ultima potrebbe essere tentata dal sostenerli, ma l’ipotesi che preferisca sponsorizzare l’opposizione, come già fa da anni, è indubbiamente più redditizia. A Libreville, caldeggiata dai francesi e dagli alleati europei, potrebbe così insediarsi una nuova élite di potere, presentata oltretutto come più “pulita” e “democratica” agli occhi del mondo. Ma, anche in questo caso, Parigi è solo uno dei giocatori che siedono al tavolo: altri pure ve ne sono, con le loro carte da giocare. Solo il prosieguo della partita ci dirà chi veramente aveva, fra le sue carte, l’asso vincente.