Il profilo di un produttore poliedrico e di talento
Lavorare con un produttore del nostro tempo, nella maggioranza dei casi significa, dal punto di vista di un musicista, avere a che fare con una presenza scomoda.
Il produttore è oggigiorno ossessionato dall’idea di proiettare il proprio ego artistico sulla musica del compositore/cantautore. Non penserà, quindi, a far fiorire la canzone, individuandone le caratteristiche più espressive ma a rendere chiaro all’ascoltatore il proprio suono personale, dando priorità all’idea di lasciare una traccia facilmente identificabile.
Se pensiamo a George Martin e alla sua incredibile rilevanza storica, vediamo così che la sua lezione di umiltà e sobrietà, purtroppo è stata recepita da pochi. Il nostro è infatti passato alla storia per essere stato il magnifico interprete di magnifiche idee ed è questo che un produttore dovrebbe idealmente, essere.
Martin ha sempre proiettato sul pubblico un’immagine da gentleman distaccato e un po’ professorale, a dispetto dei meriti artistici di capitale portata guadagnati in cabina di regia. Meriti guadagnati grazie ad una forma peculiare di disciplina e di una capacità di ascolto che lo ha reso geniale. Negli anni ’50 il suo background è onnicomprensivo: è un conoscitore della musica classica, del folk e del jazz. Ha ottime nozioni sia di comunicazione diretta con il pubblico per via radiofonica, che di marketing: non è affatto un caso che la Parlophone diventi un’etichetta particolarmente importante nel settore discografico durante la sua direzione, proprio in virtù delle sue doti.
Il talento del personaggio è costituito da due componenti fondamentali: la conoscenza della materia musicale e la capacità di trasmetterla.
Il periodo con i Beatles
Quando entra in contatto con i Beatles è onesto nel suo giudizio: crede che la qualità della loro musica non sia tutta dello stesso livello. Ed è questo, forse, a fungere da motore per quanto riguarda la continua tensione al miglioramento che contraddistinguerà i primi anni della carriera del quartetto. Martin per i Beatles è una guida severa verso un ordine impeccabile, che però non dovrà mai snaturare l’essenziale freschezza dei brani. È anche una figura in qualche modo paterna ed e’ difficile dire se i Beatles avrebbero superato lo shock rappresentato dalla morte di Brian Epstein senza Martin.
È interessante guardare i filmati dell’epoca post-Epstein in studio, dove George Harrison comunica in maniera diretta, tutt’altro che asettica, con il suo produttore. Il suo contributo è sempre teso ad enfatizzare le qualità musicali dei brani, ma mai intrusivo o banale. È un ottimo organizzatore nei primi anni, quando i Beatles diventano un fenomeno della portata che sappiamo: evita soluzioni facili, abolendo a priori ripetizioni biecamente commerciali.
Quando l’evoluzione del quartetto tocca l’intricato apice artistico a metà degli anni sessanta, Martin è il guardiano che detiene le chiavi di quel mondo di suoni e contenuti che darà origine a capolavori come “Eleonor Rigby”, “Strawberry fields forever”, o “A Day in the life”.Verso fine carriera, con i Beatles impegnati nel discutibile compito di un ritorno alle origini, Martin diventa via via più marginale.
Il post-Beatles e le altre collaborazioni
I suoi anni nel dopo Beatles sono costellati da alcune collaborazioni con artisti famosi, altre con musicisti virtualmente sconosciuti. Questo conferma , ancora una volta, il suo approccio in studio: parte intelligentemente mainstream e parte coraggiosamente sperimentale.
Tornerà, con il progetto “love” del 2006, a occuparsi di materiale beatlesiano; suo il momento più lirico ed intenso del disco, l’orchestrazione per archi di “While my guitar gently weeps”, estremo tributo allo scomparso George Harrison.
George Martin verrà ricordato come un discreto, elegante regista, che nella sua magica stanza dei bottoni, diresse una delle più straordinarie e fortunate avventure che la musica popolare possa ricordare. La speranza che abbiamo il dovere di coltivare, è quella di veder apparire sulla scena produttori che sappiamo eguagliare il suo livello. Abbiamo bisogno di ispirazione, in questi tempi, ma anche di chi sappia accompagnarla, guidarla, e trasformarla in realtà cangianti e multicolori. So long, Sir Martin.
Elias G. Fiore