Il patto del Nazareno tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, si è rinsaldato in funzione anti-Foa. L’indicazione di Marcello Foa alla presidenza della Rai è un incubo per il monopolista di Arcore e l’ex premier del Pd, il partito più protetto dalla televisione pubblica. L’esperto giornalista italo-svizzero, incarna una visione del mondo e dei rapporti geopolitici molto diversa da quella dominante per anni nel Parlamento e nei salotti televisivi.

Nella commissione parlamentare di Vigilanza, Foa ha raccolto solo 22 voti sui 27 richiesti dal quorum dei due terzi. A favore hanno votato Cinquestelle, Lega e Fratelli d’Italia, ma non è stato sufficiente perché Pd, Liberi e Uguali e Forza Italia non hanno partecipato alla votazione, come da accordo siglato prima della riunione a Palazzo San Macuto.

La guerra dichiarata da Foa alla fabbrica dell’informazione mainstream foraggiata dalla cupola turbo-liberista e guerrafondaia operante tra Bruxelles e Washington, è una colpa gravissima agli occhi degli “stregoni della notizia”.

La tv, nonostante la diffusione e la capillarizzazione di internet, continua ad essere lo strumento principale di trasmissione delle moderne ideologie. La Rai è una delle principali fonti di indottrinamento e di orientamento dell’elettorato italiano. Strapparla da certe grinfie, potrebbe essere letale per chi già è in costante calo di consensi.

Sul nome di Foa, si sta giocando, quindi, anche una partita politica non da poco. Far scoprire ai telespettatori che esiste un mondo multipolare diverso da quello rappresentato dalle veline del Dipartimento di Stato Usa, potrebbe frantumare in poco tempo le “granitiche verità” ripetute come una cantilena su Siria, Libia, Donbass, Russia, Iran e Venezuela.

Se dalla Lega fanno sapere che si andrà avanti con il cda in carica, che è comunque “nel pieno delle sue funzioni”, compresa la figura di Foa, il capogruppo del Pd in commissione di vigilanza sottolinea invece come “sia stato bocciato dal Parlamento”, aggiungendo minacciosamente “se non dovesse dimettersi, andremo dal capo dello Stato a denunciare l’occupazione della Rai”.

Il segretario dem Martina, fingendo forse di dimenticare i trascorsi dei suoi, si spinge sfacciatamente anche oltre e tuona: “Se forzassero, noi siamo pronti a percorrere qualsiasi via, anche quella legale, per tutelare le funzioni di garanzia di una grande azienda pubblica com’è la Rai”.

Berlusconi, alleato “di scopo” del Pd, ha detto in maniera chiara che “l’eventuale riproposizione dello stesso nome non potrà essere votata dai componenti di Forza Italia”.

Inizia ad avere qualche perplessità sull’opportunità di continuare il braccio di ferro sul nome del direttore del “Corriere del Ticino”, il capo politico del M5S Luigi Di Maio. Per il vicepremier, che non ha lesinato parole di stima per Foa, una condotta di questo tipo potrebbe “esporre l’intero cda al rischio di ricorsi e impugnative per tutte le nomine di peso che si appresta a varare, dalle direzioni di reti a quelle dei tg”.

Salvini, però, ha intenzione di non mollare nemmeno di un centimetro. “Continuiamo sulla via del cambiamento”, assicura il leader del Carroccio.

Negli ultimi giorni ha ripreso quota il nome di Gianpaolo Rossi, uno dei consiglieri votati dal Parlamento, vicino a Fratelli d’Italia ed ex presidente di Rainet. Ma, a quanto pare, anche questo nome non sarebbe gradito alle truppe azzurre berlusconiane.

Dal nuovo corso di viale Mazzini potrebbero scaturire anche nuovi equilibri politici in vista delle prossime scadenze elettorali (elezioni europee in primis), con gli amici del Nazareno da una parte e Lega e M5S dall’altra, non più uniti da un semplice contratto di governo ma da una più ampia e strutturata alleanza politica. Quella sì che sarebbe un cambiamento.