Il vertice con Corea del Sud e Giappone tenutosi a Camp David rappresenta un ulteriore passo nella strategia statunitense di creare un’alleanza militare sul modello della NATO nella regione Asia-Pacifico, prevalentemente in funzione anticinese, e in seconda battuta anti-nordcoreana. Del resto, se la NATO ha rappresentato, sin dalla sua fondazione, un modo per contenere l’Unione Sovietica (e poi la Russia) in Europa, Washington ora deve guardarsi da quello che considera come l’altro grande competitor a livello globale, principale ostacolo alla realizzazione del progetto egemonico della massima potenza imperialista.

Al vertice hanno preso parte il presidente statunitense Joe Biden, il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol e il primo ministro giapponese Fumio Kishida, che hanno annunciato l’intenzione di ripetere questo appuntamento con cadenza annuale. Nonostante le rassicurazioni di Biden verso Pechino, appare chiaro come il vertice abbia avuto come principale obiettivo una strategia congiunta per il contenimento della Cina, tanto che i principali temi affrontati riguardano le questioni dello Stretto di Taiwan e del Mar Cinese Meridionale, aree che non dovrebbero concernere direttamente Washington, Tokyo e Seoul.

Gli Stati Uniti stanno facendo tutto il possibile per incitare il confronto tra blocchi in Asia e usare i loro alleati regionali per raggiungere il loro obiettivo di contenere e competere con la Cina, ma questo obiettivo è egoistico e in realtà mina la pace della regione, quindi riceveranno opposizione non solo dalla Cina, ma anche da altri Paesi regionali come la Corea del Nord e la Russia”, hanno scritto Deng Xiaoci e Yang Sheng sul Global TimesIl progetto statunitense includerebbe anche Taiwan, che tuttavia non ha potuto partecipare al vertice in quanto entità non riconosciuta come indipendente a livello internazionale. Inoltre, gli Stati Uniti stanno cercando di coinvolgere anche altri Paesi della regione, come le Filippine e il Vietnam, con quest’ultimo che tuttavia si guarda bene dall’operare una scelta di campo.

Secondo quanto riferito dall’agenzia Reuters, i tre leader hanno annunciato l’approfondimento della cooperazione militare ed economica e hanno formulato la loro più forte condanna congiunta del “comportamento pericoloso e aggressivo” della Cina nel Mar Cinese Meridionale, smentendo dunque le loro stesse affermazioni secondo le quali il vertice di Camp David non avrebbe avuto nulla a che fare con la Repubblica Popolare. Senza menzionare la Cina, Biden ha aggiunto che i leader hanno riaffermato l’impegno a mantenere la pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan e ad affrontare la coercizione economica.

Di fronte alle vuote affermazioni di Biden per rassicurare Pechino, la stampa e gli esperti cinesi hanno risposto accusando Washington di ipocrisia, mettendo in evidenza come l’alleanza a tre tra Washington, Tokyo e Seoul ricalchi proprio i principi fondativi della NATO. Il principio secondo il quale “una minaccia a qualsiasi membro è una minaccia per gli Stati Uniti, il Giappone e la Corea del Sud nel loro complesso”, infatti, sembra porre le basi per successivamente stabilire un’alleanza militare formale come quella dell’Atlantico settentrionale. “Qualsiasi provocazione o attacco contro uno qualsiasi dei nostri tre paesi innescherà un processo decisionale di questo quadro trilaterale e la nostra solidarietà diventerà ancora più forte e dura”, secondo le parole del presidente sudcoreano Yoon.

Le attuali politiche dei leader di Giappone e Corea del Sud riflettono una mancanza di indipendenza, rendendo il loro approccio diplomatico sbilanciato, il che avrà un impatto su questi leader a livello nazionale, e specialmente in Corea del Sud. Una volta che il partito di opposizione si sarà nuovamente insediato, gli attuali legami tra Seoul e Tokyo dovranno affrontare grandi turbolenze”, si legge sul Global Times. In effetti, dopo la presidenza di Moon Jae-in, che aveva dato alla politica estera sudcoreana una certa dose di autonomia, come dimostra anche lo storico incontro con il leader nordcoreano Kim Jong Un, l’ascesa al potere di Yoon ha riportato Seoul ad uno status di vassallo tout court di Washington. Ma, al contrario di quanto avviene in Giappone, la politica sudcoreana vive di una continua alternanza al potere tra i due partiti principali, quindi questa tendenza potrebbe invertirsi nuovamente dopo le prossime elezioni.

Le mosse degli Stati Uniti non otterranno altro risultato se non quello di aumentare ulteriormente le tensioni nella regione Asia-Pacifico, con il rischio di creare una crisi simile a quella in corso in Ucraina. I principali punti caldi sono Taiwan, il Mar Cinese Meridionale e la penisola nordcoreana, e basterebbe innescare la miccia di solamente uno di questi per arrivare sull’orlo di una guerra. L’aggressività dell’imperialismo statunitense potrebbe persino portare ad un confronto nucleare, come paventato di recente dal ministro della Difesa nordcoreano Kang Sun Nam, vista la presenza di ben quattro potenze nucleari a poca distanza le une dalle altre (Cina, Russia, Corea del Nord e i contingenti statunitensi di stanza in Corea del Sud e nel Pacifico).

Nella migliore delle ipotesi, scartando dunque quella bellica, il vertice di Camp David rischia di incrinare le relazioni economico-commerciali di Seoul e Tokyo con Pechino. “Questi tre Paesi sono vicini immediati e hanno stretto una relazione senza precedenti in termini di sviluppo economico e commerciale negli ultimi decenni di ascesa della Cina. Sono diventati contemporaneamente i motori economici più importanti a livello regionale e globale”, ha scritto Ding Gang sul Global Times. “La dichiarazione di Camp David sembra essere una ripetizione della stessa vecchia retorica anti-cinese, ma le conseguenze di misure così drastiche eroderanno inevitabilmente la fiducia reciproca tra le tre nazioni nella cooperazione economica e commerciale. La divisione tra Cina, Giappone e Corea del Sud danneggerà le attuali connessioni economiche e commerciali. Questa scissione va oltre i cambiamenti geopolitici; ha un impatto sullo sviluppo e sul futuro delle principali economie mondiali. È un punto di svolta significativo per Cina, Corea del Sud e Giappone”.

Naturalmente gli unici a guadagnarci da questa situazione sarebbero ancora una volta gli Stati Uniti, che renderebbero Giappone e Corea del Sud completamente dipendenti economicamente, esattamente secondo lo stesso schema applicato in Europa con la crisi ucraina e le sanzioni antirusse. Questo permetterebbe a Washington di mantenere il controllo sulla catena di approvvigionamento industriale globale, a discapito però delle economie subalterne di Europa, Giappone e Corea del Sud: “Se il Giappone e la Corea del Sud scommettono dalla parte degli Stati Uniti, chi sarà la principale vittima di questo tiro alla fune nel corso del secolo?”, chiede retoricamente Ding Gang.