Un’ampia letteratura scientifica ha indagato le conseguenze negative delle scene di violenza in televisione o al cinema, soprattutto sulle fasce giovanili della popolazione: non ci sono dubbi sull’aumento della probabilità di compiere atti aggressivi a breve termine, mentre altrettanta chiarezza non si è raggiunta per quanto concerne gli effetti nel lungo termine.
Molti studi si sono soffermati sulle caratteristiche di coloro che non si fanno influenzare dall’esposizione a questi spettacoli, individuandone diverse tra le quali il livello culturale, la scarsa predisposizione all’aggressività o, per i più giovani, la presenza dei genitori.
In definitiva è fuori discussione che esiste una grande diversità interindividuale: di fronte alla violenza brutale c’è chi è a rischio di emulazione, chi ne è talmente inorridito che diventa più sensibile alla sofferenza dell’altro e chi invece non ne rimane influenzato. La serie televisiva Gomorra è stata recentemente tirata in ballo da alcuni magistrati di grande peso mediatico(https://www.ilgiornale.it/news/cronache/magistrati-contro-gomorra-rappresentazione-pericolosa-1470776.html).
Nicola Gratteri è arrivato a definirla addirittura “un problema per la lotta alla camorra”. Secondo il suo parere i protagonisti risulterebbero “troppo simpatici”, ma anche su questo punto gli spettatori possono avere reazioni molto diverse tra loro (per quel poco che vale, dal punto di vista di chi scrive i personaggi della serie sono imperscrutabili e proprio per questo interessanti, ma tutt’altro che simpatici).
‘Gomorra’ deve il suo successo solo alla spettacolarizzazione della violenza, dicono i suoi detrattori, ma non si può disconoscerne l’originalità: riesce difficile perfino definire a che genere appartenga, di certo non si tratta di un poliziesco, semplicemente perché le forze dell’ordine quasi non vi compaiono.
Si potrebbe parlare di genere drammatico ma forse sarebbe meglio ricorrere nientemeno che alla categoria ‘horror’, della quale forse inaugura un nuovo sottogenere.
La lotta tra poliziotti e criminali non viene rappresentata, né tantomeno quella tra buoni e cattivi: le diverse fazioni in lotta sono composte da criminali spietati, feroci, disumani.
Altre opere, da serie come ‘La piovra’ o la più recente ‘Romanzo criminale’, a film come ‘Scarface’ e alla trilogia de ‘Il Padrino’, hanno riscosso grande successo e allo stesso tempo ricevuto critiche perché mitizzavano “i cattivi”, ma si trattava sempre di cattivi che sapevano vivere, che sguazzavano nel lusso, al contrario dei boss di ‘Gomorra’ che vivono l’inferno: devono stare sempre all’erta, perché hanno già tradito, sono stati traditi o perlomeno hanno visto qualcuno tradire un parente stretto o un amico fraterno e sanno che nel loro ambiente non ci si può fidare davvero di nessuno. Tutti hanno perso qualcuno che è morto troppo giovane e in modo violento. L’orrore della loro situazione sta nel fatto che non vedono alternative a, come dice Ciro ‘l’Immortale’ nella puntata della scorsa settimana, “fare l’unica cosa che so fare bene”.
E tutto questo dolore e questa fatica in cambio di che cosa? Rispetto ai loro sottoposti, i capi hanno molto più danaro a disposizione, ma lo usano come risorsa nella lotta più che per goderselo. Sì, hanno qualche bel vestito e qualche bella casa o, per meglio dire, potrebbero averli se non mancasse loro un minimo di buongusto: alla fine sono vestiti tutti uguali, tanta pelle e poca sartoria, e le case in genere sono ancora peggio, soprattutto gli interni sono dei veri monumenti al ‘kitsch’. Le belle macchine poi sono bandite: attirerebbero troppo l’attenzione. Chi può essere attratto da un’esistenza simile? Soltanto chi è già di per sé disperato.
Ciò che rende davvero difficile contrastare la lotta alla criminalità organizzata è allora la mancanza di alternative e la sensazione di soffocamento che provoca sia ai camorristi che agli onesti disoccupati o sottopagati.
In una puntata trasmessa in prima visione due settimane fa un uomo, pur riluttante, pagava ben 15.000 euro per essere assunto in una lavanderia, controllata dalla camorra, per uno stipendio di 1.150 euro mensili, rigorosamente in nero: chi accetta simili condizioni lo fa perché non ha altre possibilità, perché è sotto ricatto, situazione in cui si possono trovare i disoccupati e lavoratori dipendenti in genere, come abbiamo spiegato già nel nostro pezzo ‘Il lavoro come violenza istituzionalizzata’ (https://www.opinione-pubblica.com/il-lavoro-come-violenza-istituzionalizzata/).
Come spiegava il mai abbastanza compianto Guy Ernest Debord nei suoi ‘Commentari sulla società dello spettacolo’ (1988), nella società attuale, che definiva “spettacolare” la criminalità organizzata “non è un’estranea”, anzi “appare come il ‘modello’ di tutte le imprese commerciali avanzate”.