In un voto quasi identico a quello dello scorso gennaio, ma caratterizzato dalla più alta astensione della storia della Grecia (ha votato il 56.6% degli aventi diritto contro il 63.6% di gennaio), Alexis Tsipras vince di nuovo con la sua SYRIZA e ritorna Primo Ministro. A dispetto dei sondaggi che indicavano un testa a testa tra le due principali formazioni, SYRIZA è riuscita a ottenere il 35.5% (rispetto al 36.4% di gennaio) staccando di oltre sette punti il centro-destra di Nuova Democrazia, fermo al 28.1%. Il principale sfidante di Tsipras, Vangelis Meimarakis, ha ammesso la sconfitta non appena si è delineato, durante lo spoglio, il vantaggio della sinistra radicale. Al terzo posto si è confermato il partito ultranazionalista Alba Dorata (7% e 18 seggi), che è risultato il primo partito in assoluto tra i disoccupati raccogliendo il 16%. Sorprendente è stata anche la “rimonta” del PASOK (socialdemocratici, in un’unica lista con la Sinistra Democratica di DIMAR) che per la prima volta in tre anni torna a invertire il suo declino elettorale e si attesta poco sopra il 6%, diventando il quarto partito e guadagnando 3 seggi rispetto a gennaio. Il partito considerato da molti uno dei principali responsabili della crisi economica e della corruzione era guidato per la prima volta da una donna, Fofi Gennimata, figlia di uno storico esponente del PASOK. Al quinto posto è arrivato il Partito Comunista Greco (KKE), che riconferma il suo 5.5% e i 15 seggi. Altri tre partiti sono riusciti a superare la soglia di sbarramento del 3% e a entrare in Parlamento: Il Fiume (liberali), che però cadono dal 6 al 4%; i Greci Indipendenti (ANEL, destra nazionalista), alleati del premier Tsipras, dati a lungo per spacciati, resistono con il 3.7% (perdendo un punto rispetto a gennaio); infine la “new entry” Unione dei Centristi, partito di centro che si rifà alla figura di Elefhterios Venizelos, fondato nel 1992 ma mai entrato in Parlamento, che stavolta ce la fa prendendo il 3.4% e 9 deputati. La grande sorpresa negativa è stata la sconfitta di Unità Popolare (LAE), il partito dei fuoriusciti di SYRIZA, fondato da Panagiotis Lafazanis e Zoe Konstantopoulou con un programma di estrema sinistra che chiedeva l’uscita dall’euro e il ritorno alla dracma. LAE ha ottenuto solo il 2.9% rimanendo fuori dal Parlamento e perdendo così tutti i 25 deputati che avevano dato vita al gruppo negli scorsi mesi. Alcuni voti che sarebbero potuti andare a LAE sono stati assorbiti da una formazione ancora più radicale, ANTARSYA (coalizione che raccoglie vari partiti anti-capitalisti) che inizialmente si sarebbe dovuta alleare con Unità Popolare e che poi ha presentato una lista autonoma che ha preso lo 0.9%. 19 erano i partiti in corsa, più i candidati indipendenti: 8 partiti sono riusciti ad entrare in Parlamento, con SYRIZA che si aggiudica il premio di maggioranza di 50 seggi riservato al primo partito, arrivando così a 145 seggi, 4 in meno della precedente legislatura. Grazie al buon risultato dei Greci Indipendenti (10 seggi), Tsipras può riconfermare il tandem con l’ormai stretto alleato Panos Kammenos – che probabilmente tornerà Ministro della Difesa – e la coalizione SYRIZA-ANEL che per sette mesi ha governato la Grecia. 155 saranno i seggi a disposizione della maggioranza.

Queste elezioni sono state sicuramente una netta vittoria per Tsipras, che ha visto premiare la sua scommessa, forse ogni oltre aspettativa: non solo SYRIZA è stabilmente primo partito di Grecia prendendo ormai il posto che fu del PASOK, ma riesce anche (con una buona dose di fortuna) a riformare una coalizione con ANEL, dunque non compromessa con i vecchi partiti né costretta a scendere a patti con Il Fiume o i centristi. Oltre a ciò, Tsipras s’impone totalmente all’interno del suo stesso partito, non dovendo più confrontarsi con la forte minoranza di sinistra euroscettica che, con Unità Popolare, è rimasta fuori anche dal Parlamento. Quel che è certo, dunque, è che in meno di un anno, Tsipras ha dimostrato, innegabilmente, di saperci fare come abile politico. I greci, stremati da una crisi infinita e in fin dei conti ancora riluttanti all’idea di abbandonare l’Eurozona, hanno votato per una classe dirigente nuova. Adesso però bisognerà confrontarsi con l’applicazione pratica del Memorandum firmato dallo stesso Tsipras, in palese contraddizione con quelle che sono state le promesse elettorali. Tsipras ha promesso di alleggerire gli effetti della nuova austerità e magari di avviare un ancora non meglio specificato “programma parallelo” di misure sociali destinate a chi ha più sofferto in questi anni. L’altro cavallo di battaglia di SYRIZA è l’alleggerimento del debito pubblico (ormai al 175% del PIL) da concordare ancora una volta con le istituzioni della Troika. E qui si profilano nuovi problemi, poiché se il Fondo Monetario Internazionale è favorevole alla rinegoziazione vista l’insostenibilità di tale debito, la Germania ne è la principale oppositrice: sarà una partita non solo economica ma anche geopolitica. La Commissione Europea ha già avvertito che in autunno ci dovrà essere la prima “revisione” sul buon andamento del programma che in cambio di riforme e nuova austerità porta 86 miliardi di aiuti nelle casse di Atene. Anche se, per ora, pare che la Grecia, non preoccupi più come negli scorsi mesi: a differenza di gennaio, le borse finanziarie hanno accolto bene la rielezione di Tsipras, che ormai si è scrollato di dosso la presunta aria “impresentabile” ed è entrato a pieno titolo nella “famiglia europea”. Nonostante ciò non è mancata una stoccata da parte dell’immancabile Martin Schulz che ha punzecchiato Tsipras sull’alleanza con uno “strano partito di estrema destra” (ANEL). E’ evidente che per Schulz e altri sarebbe stato più rassicurante una coalizione che comprendesse il PASOK o il Fiume o addirittura una grande coalizione con Nuova Democrazia. Ma come già detto, per il momento nessuno è realmente preoccupato visto che il Memorandum è stato già firmato e aspetta solo di essere attuato… Dal canto suo Tsipras dice di non credere più di tanto nell’accordo, ma è oggettiva la sua trasformazione da “barricadero” leader della sinistra radicale a più moderato e “pragmatico” socialdemocratico europeista. Eppure una buona parte della sinistra europea continua ad appoggiarlo addirittura con lo stesso entusiasmo che fu, dalla Linke a Podemos al Partito Comunista Francese. Più realista e non più disposto a dare cambiali in bianco a Tsipras è invece il fronte di chi ormai invoca un “Piano B” per i Paesi europei, che preveda anche l’uscita dall’euro, come Yanis Varoufakis, Jean-Luc Melenchon e Oskar Lafontaine. Il motto di SYRIZA invece continua ad essere quello di “un’altra Europa”, ma bisognerà vedere se e come sarà realizzabile sotto il peso dell’austerità firmata BCE-Germania e se non rischia di andare a fare compagnia al “cambiare verso” di Matteo Renzi o alle promesse sbandierate da Francois Hollande. “L’altra Europa”, infatti, dovrà fare i conti con una Troika di nuovo saldamente impiantata ad Atene, rafforzata dalla nomina di un super-direttore con poteri di supervisione senza precedenti, nominato dalla Commissione Europea: l’economista e alto funzionario olandese Maarten Verwey (*). Non c’è da stupirsi se la disaffezione e la sfiducia del popolo greco è salita a livelli altissimi, portando al record di astensione e alla diffusa, sgradevole sensazione che ormai le elezioni e il gioco dei partiti politici valga sempre di meno se le decisioni che contano veramente vengono prese in altri luoghi, da personalità non elette e secondo meccanismi che rispondono solo a logiche economiche e finanziarie sempre più scollegate dalla sovranità popolare e statale.
Tsipras ha chiesto quattro anni per riformare la Grecia, cercando di battere il tasto sulla lotta alla corruzione e all’evasione fiscale, sicuramente battaglie sacrosante, ma usate troppo spesso come paravento per far digerire le manovre economiche più dure previste del Memorandum, che puntano a svalutare il lavoro e il settore pubblico non potendo svalutare la moneta-euro. È quindi evidente che SYRIZA non propone più un’alternativa al sistema attuale, drogato dalla governance dell’UE e dalla finanza, ma solo piccoli aggiustamenti. La strada per costruire un’Europa diversa all’interno soprattutto dell’Eurozona appare sempre più stretta, tenendo presente che queste parole sono state abusate proprio dai partiti socialdemocratici che in molti Paesi invece governano in larghe coalizioni con il centro-destra. I sostenitori di Tsipras dicono di aver lanciato un segnale all’Europa, che però, come si è visto, non si è fatta scuotere neanche dalla vittoria dell’OXI al referendum del 5 luglio. Tsipras si appresta probabilmente a un’altra traversata nel deserto aspettando il soccorso di Podemos in Spagna, ammesso che vinca (le elezioni generali si terranno a dicembre), e di altre forze simili in Italia, Francia, Regno Unito. La strada è in salita ed è già stata minata dalle difficoltà che a luglio hanno portato in pochi giorni dall’euforia del referendum alla delusione del terzo Memorandum, una battaglia persa per i ricatti dell’UE, ma anche per l’arrendevolezza di Tsipras (e, come alcuni accusano, per la sua metamorfosi ideologica). Queste sono le premesse, non certo benauguranti, adesso che una nuova fase è già iniziata si vedrà se Tsipras riuscirà a cambiare veramente qualcosa in Europa oppure è l’Europa che ha cambiato irrimediabilmente Tsipras.

(*) The Guardian: https://www.theguardian.com/world/2015/sep/18/eurozone-greek-prime-minister-maarten-verway-greece-bailout

Giulio Zotta