“La libertà senza la giustizia sociale non è che una conquista fragile, che si risolve per molti nella libertà di morire di fame”. Questa grandissima frase di Sandro Pertini sembra appartenere a un’altra epoca, quando il concetto di “giustizia sociale” era sull’agenda operativa quotidiana delle vecchie sinistre socialiste e precraxiane, prima di essere sostituita da diritti gay, apologia delle migrazioni permanenti ed altre questioni di “distrazione” e “disgregazione” sociale.
Ma ormai quei tempi sono superati. Lo Stato come entità solida e monolitica è stato sostituito da un “governo ombra” formato da varie consorterie economiche transnazionali, le cui direttive sono improntate all’accentramento, razionalizzazione e massimizzazione del plusvalore in ogni ambito.
Non c’è più spazio per piccole banche, per piccoli imprenditori, per piccoli coltivatori, per piccoli allevatori. “Piccolo” e “medio” sono categorie ormai permesse solo per aprire un ristorante o agenzie di consulenza. Il sistema richiede grosse agglomerazioni con strategie unificate e redditizie, e le istanze economiche locali pre-globalizzazione non sono semplicemente previste in tale quadro.
Un primo esempio si può avere con la Xylella: misteriosamente arrivata nel Salento dieci anni fa (c’è ancora un’indagine in corso da parte della Procura per diffusione di agenti patogeni), è ora arrivata alle fasi finali: gli agricoltori, chi per disperazione, chi per pianificazione pre-calcolata, ora richiedono essi stessi l’estirpazione degli ulivi secolari a rischio infezione con altre qualità intensive, di minore qualità ma di miglior resa. Naturalmente con la presenza immancabile delle grandi multinazionali del settore. E nel silenzio generale. Bingo: obiettivo raggiunto.
E la protesta degli allevatori sardi? Non ci vergogniamo a confessare che ne sono venuto a conoscenza solo quando essi hanno iniziato a versare il latte per strada, dopo giorni di proteste di cui probabilmente in Italia nessuno sapeva alcunché, tanta è la censura praticata nei confronti dei focolai di protesta locali. Si parla tanto della censura cinese nelle regioni periferiche dello Xinjiang e del Tibet. La nostra non ha assolutamente nulla di differente, anzi, è molto più subdola.
Dalla Francia dei Gilet Gialli all’Italia dei pastori sardi, il “governo ombra informativo” europeo cerca a tutti i costi di nascondere il fuoco sotto la cenere. Le rivolte identitarie locali vengono sottaciute, e quando proprio non si può fare a meno di parlarne, vengono stigmatizzate, minimizzate o ridicolizzate. Il sistema economico eurista si accanisce contro le popolazioni autoctone con tutta la ferocia di cui è capace il globalismo. Il latte sardo viene sostituito da latte bulgaro o di altra origine, le economie locali legate a tale attività vengono distrutte e le loro fette di mercato (il “plusvalore” ottenibile) inglobate e delocalizzate nei bilanci dei grandi gruppi multinazionali con sede dematerializzata. La produzione di olio pugliese, in piena emergenza Xylella, venne invasa, durante l’ ennesima “rivoluzione colorata” in Tunisia, da tonnellate di olio tunisino, ufficialmente importate “per fini umanitari”. Non ci suona familiare il concetto?
“Solidarietà”, globalismo, niente muri, per gli uomini e per le merci. Ovvero, gli uomini come merci e le merci come uomini: questo il fine reale. Le origini, le tradizioni, il senso di comunità, l’attaccamento alla propria terra, non fanno parte dell’orizzonte sradicante del cosmopolitismo umano e di mercato. Tutto è spostabile come un pacco di Amazon, se telefoni a un call center nemmeno ti risponde un italiano sottopagato, bensì un romeno o albanese ancora più sottopagato. Massimizzazione delle risorse sfruttabili, umane o materiali, fino al prossimo livello sperimentabile, fino alle estreme conseguenze.
Non c’è quindi da sorprendersi delle proteste degli allevatori sardi, che verranno probabilmente infiltrate e represse come accadde per i Forconi nel lontano 2013. Della loro protesta enorme non rimane nemmeno un ricordo nella facilmente smemorata stampa italica. Non si trovano analisi né articoli recenti, si sa solo che molti esponenti di quel movimento stanno ancora pagando cara quella ribellione. Quasi come ci fosse un silente ordine di scuderia. Finirà nello stesso modo? Non è detto, perché lo scenario generale è molto cambiato da allora. A suon di sanzioni, importazione di semilavorati pessimi, divieti nei confronti delle produzioni locali, la fiera popolazione sarda dovrebbe fare un saltino in Corsica: sono sicuro che anche nella periferia del pupazzo macroniano ci siano persone arrabbiate e dimenticate dalla corte di Versailles.
Questo il quadro. Grecia, Italia del Sud, Veneto deindustrializzato, Sardegna umiliata, Francia profonda, Est Europeo con paghe cinesi: tutte periferie dimenticate dalla felice narrazione eurista, pervasa da giovani sorosiani cosmopoliti che fanno la bella vita nelle capitali della finanza e della tecnocrazia avanzata, mentre le “periferie” vicine e lontane intorno a loro soffrono, nel loro disinteresse, quando non addirittura disprezzo. Private dell’economia, private delle tradizioni, private del proprio essere “cuore profondo” delle Nazioni ora decostruite in nome del “grande orizzonte liquido”. Nell’Europa amalgamata e senza più identità (conservate giusto per mostrare un po’ di folclore ai ricchi turisti divertiti), “puoi essere quello che vuoi basta scordarti di quello che sei”. Senza scomodare Pertini, anche qualche cantante pop inizia ad arrivarci.