Dopo le manifestazioni dei giorni scorsi a Trieste, il Governo ha provato a fare un passo indietro, proponendo tamponi gratuiti ai portuali per cercare di placarne gli animi e scongiurare lo sciopero indetto per il 15 ottobre. La risposta del CLPT (Coordinamento Lavoratori Portuali Trieste) non si è fatta attendere: “Noi non scendiamo a patti fino a quando non sarà tolto l’obbligo del green pass per lavorare, non solo per i lavoratori del Porto ma per tutte le categorie”. Il blocco delle operazioni appare sempre più vicino, se si considera che su 950 persone impiegate nelle attività, il 40% non dispone del green-pass.
“Dopo la manifestazione di ieri, 11 ottobre, ribadiamo che come già preannunciato in precedenza, il giorno 15 ottobre ci sarà il blocco delle operazioni all’interno del porto di Trieste. Siamo venuti a conoscenza che il governo sta tentando di trovare un accordo, una sorta di accomodamento riguardante i portuali di Trieste, e che si paventano da parte del presidente Zeno D’Agostino le dimissioni – si legge in una nota -. Noi come portuali ribadiamo con forza e vogliamo che sia chiaro il messaggio che nulla di tutto ciò farà sì che noi scendiamo a patti fino a quando non sarà tolto l’obbligo del green pass per lavorare, non solo per i lavoratori del Porto ma per tutte le categorie di lavoratori”.
Nel mirino dei portuali è finito anche il presidente dell’Autorità di Sistema portuale Zeno D’Agostino: “Ricordiamo al presidente D’Agostino che nel momento in cui lo stato lo ha colpito, suoi portuali lo hanno difeso a spada tratta. Ora che i portuali hanno deciso di difendere loro stessi e le altre categorie di lavoratori con le sue dimissioni dimostra di non voler lottare al loro fianco”.
Lunedì sono stati più di quindicimila i partecipanti al corteo no green pass, la manifestazione più imponente d’Italia, anche di più di quella di sabato a Roma. È stata la quarta manifestazione no pass da settembre.
I lavoratori sono fermi sulla stessa posizione fin dall’inizio delle proteste: “Il Green pass non è una misura sanitaria, ma una misura di discriminazione e di ricatto che impone a una parte notevole dei lavoratori di pagare per poter lavorare”. Anche quelli già vaccinati che hanno promesso di fermare le attività se anche solo un collega, non vaccinato, dovesse essere escluso dal lavoro.