In tutta onestà, dopo anni dedicati a scrivere sul primo conflitto mondiale e sulla sua conclusione, non avevo intenzione di tornare sull’argomento anche nel 2015. Purtroppo, di fronte a determinati eventi, non posso tacere. Non riesco a non prendere la tastiera del mio computer e scrivere, di getto, queste righe, per rispetto dei miei antenati e per i 680.000 morti caduti in tutti i fronti 100 anni fa.
Mi sono imbattuto, stamani, in una pagina internet di facebook dal nome History Channel. Costoro hanno la buona abitudine di ricordare gli anniversari, con tanto di data, foto evocativa e breve spiegazione dell’evento. Tutti potranno entrare e leggere i commenti di utenti italiani (!) circa la liberazione di Trento, ossia 3 novembre 1918. Chi avrà il coraggio di farlo, troverà un sentimento anti – italiano talmente diffuso, da lasciare sgomenti. La sagra delle banalità è presto servita: “si stava meglio con l’Austria”, “anche Trieste ha avuto la stessa sfortuna di “diventare” (!!) italiana”, “magari avessimo avuto anche gli austriaci a Napoli”. Si potrebbe prendere solamente queste tre affermazioni e smontarle sistematicamente, ma prima, bisogna capire come si sia arrivati a tanta stupidità.
Prima di tutto, dal 1945 in poi, l’Italia ha abbandonato qualsiasi idea di Patria. Dopo la sconfitta bellica, ogni cosa che possa rimandare ad un culto nazional – patriottico viene tacciato di fascismo. Pertanto, anche la prima guerra mondiale è divenuta una sorta di conflitto imperialista, più che una quarta guerra di indipendenza e di ripristino di sovranità nazionale.
Ogni altra realtà viene vista quindi “migliore” rispetto all’Italia, sia attuale che passata, confondendo un sistema economico con un Paese intero. E’ facilissimo identificare l’Impero Austro–Ungarico con un sistema economico, florido e notevole. Peccato che quel sistema non esista più da un secolo, e che fosse una prigione delle identità nazionali dei popoli che lo componevano. Se l’Italia attuale è in crisi economica, l’Austria attuale non se la passa meglio, ma questo, non ha a che vedere con le due nazioni belligeranti nel 1915–1918. Questa riduttiva visione semplicistica, potrebbe portarci a fare rimpiangere i romani, il medioevo o qualsiasi sistema economico migliore di quello attuale. Il nostro sprono dovrebbe migliorare il presente per un futuro dignitoso.
In secondo luogo, Trento è divenuta parte dello Stato Italiano nel 1918 (legislativamente nel 1919), così come Trieste, ma lo sono sempre state, per cultura, tradizioni, lingua, identità, folklore. L’Impero Austro–Ungarico mediante la sua politica di divide et impera, ha sempre oppresso l’elemento nazionale italiano nel suo impero plurinazionale.
Non si spiegherebbero infatti, ancora oggi, i campi di concentramento per italiani disseminati in tutte le lande dell’Impero. Forse, chi inneggia all’Austria, ignora che centinaia di famiglie sono state deportate in luoghi come: Katzenau, Mauthausen, Gollersdorf, Fischa, Talerhof, Mistelbach, Braunau Am Inn, Beutschbrod, Traunstein, Gmund e molti altri.
Presumo che quasi nessuno conosca le Memorie di un internato triestino di Ettore Baroni o I deportati della Venezia Giulia nella guerra di liberazione, di Ettore Kers. Se vogliamo tuttavia, possiamo aggiungere il monumentale lavoro di un grande letterato triestino, Silvio Benco ossia Gli ultimi anni della dominazione austriaca a Trieste, uscito nel lontano 1919.
Vorrei citare queste opere non tanto per invogliare il lettore a reperire bibliografie di altri tempi, ma per capire il clima dell’epoca. Non si poteva parlare, e chiunque fosse sospettato dalla polizia austriaca di sentimenti italiani o di filo-italianità rischiava persecuzioni, carcere ed internamento. È questa l’Austria che rimpiangono i nostalgici di Cecco Beppe? Non penso. Eppure, le persecuzioni non sono toccate solo ai patrioti irredentisti, come potrebbe essere un Cesare Battisti o un Nazario Sauro. Esse sono toccate alla popolazione, e non solo italiana. Altre minoranze hanno avuto lo stesso trattamento, poiché nulla doveva scalfire la grandezza territoriale dell’Impero.
In terzo luogo il 04 novembre, Festa della Vittoria e delle Forze Armate, non è più festività nazionale. Questo comporta oltre a non comprendere il sacrificio dei nostri soldati di cent’anni fa, la mancanza di festeggiamenti, di ricorrenze o semplicemente di benedizioni di lapidi come succedeva fino a 40 anni orsono.
Chiunque abbia una certa memoria, potrà ricordare che dopo i giorni di Ognissanti e le visite per i defunti, v’erano le benedizioni delle lapidi dei Caduti durante la Grande Guerra, nelle Chiese, nei Comuni, nei Cimiteri. La progressiva rimozione della memoria storica ha annullato, gradualmente le cerimonie istituzionali (non si cita nemmeno più il discorso di Diaz della vittoria), facendo calare l’oblio sul significato storico e morale del conflitto.
L’incapacità di comprendere le scelte morali che hanno portato all’intervento, e alla grande prova nazionale, la lontananza dagli eventi spazio temporale, ha portato ad una rimozione. Passiamo davanti, ogni giorno a strade, caserme, scuole, paesi aventi i nomi dei luoghi della Prima Guerra Mondiale, e non abbiamo idea di che cosa si tratti. Ricordiamo che qualche anno fa, la prestigiosissima giornalista altoatesina Lilli Gruber ha letto in tv “Colonello Moschin”, ignorando che in realtà si trattasse di Col Moschin, ossia Colle, località di una battaglia feroce del 1918, nei pressi del Massiccio del Monte Grappa.
Molti storici hanno scritto che la Grande Guerra è stata la prima prova collettiva degli italiani: nord e sud, centro ed isole si sono incontrati parlando per la prima volta una lingua comune. Ed è verissimo. Certo, è stato anche un momento di tragedia e lutto. E così, si è ben pensato di far passare, a livello storico e talvolta istituzionale, una visione totalmente catastrofista del conflitto, senza considerare la visione che ha portato prima all’intervento, poi alla vittoria: il completamento del Risorgimento, l’unificazione nazionale, la possibilità di un ruolo guida del nostro Paese nel mediterraneo.
La grande guerra è stata combattuta dai poveri, dal fantaccino e dal contadino. Proprio loro hanno garantito una grande dignità al nostro Paese, in situazioni come la rotta di Caporetto o la Strafexpedition. Molti giovani eroi non avevano vent’anni, come i ragazzi del ’99. Molti Generali non sapevano nemmeno dove fosse Vittorio Veneto (come Diaz), eppure ci sono arrivati, vincendo una prova devastante.
La vera prova, oggi, 4 novembre 2015 starebbe solamente nel ricordare questi uomini, che hanno combattuto per noi. Onorando la loro memoria, accendiamo la nostra fiammella. Visitando i luoghi dove i nostri nonni e bisnonni hanno combattuto, o sono sepolti, capiremmo che quei sacrifici sono stati fatti per noi. Ignorare, maledire o addirittura crearsi visioni idealizzate, preferendo uno Stato a noi nemico cent’anni orsono, è pura follia, oltre che ignoranza storica. Le colpe sono molteplici, ma si può pur sempre rimediare in tempo.
Grazie per queste parole di chiarezza storica.
Purtoppo è dall’ignoranza o non conoscenza che nasce il qualunquismo.