Julian Assange, il coraggioso giornalista investigativo australiano che ha rivelato i crimini di guerra degli Stati Uniti in Afghanistan ed Iraq, sta marcendo in carcere. Il governo degli Stati Uniti, che vuole estradarlo e imprigionarlo fino alla fine dei suoi giorni, ha fatto e sta facendo pressione sui principali organi di informazione occidentali per occultare il suo caso.
Allo stesso modo, Washington ha anche fatto pressione sulla Corte penale internazionale per non indagare sui possibili crimini dei soldati statunitensi in Afghanistan e Iraq.
Sulla stampa e nelle televisioni regna un silenzio tombale, proprio mentre si sta verificando un’enormità giudiziaria, vale a dire l’accettazione de facto degli interventi giudiziari statunitensi, in tutto il mondo, per mettere a tacere i giornalisti “problematici”. I “perseguitati” per Washington e i suoi satelliti europei, sono solo i giornalisti ed i fotoreporter con posizioni anti-russe, anti-iraniane, anti-venezuelane ed anti-cinesi. Il martirio di Assange è un messaggio chiaro indirizzato a chi denuncia i crimini, le trame e gli intrighi dell’imperialismo guerrafondaio.
Per rompere questo pericoloso silenzio stampa, nell’ambito della 16esima edizione del Festival Internazionale del Giornalismo (a Perugia, dal 6 al 19 aprile) è stato programmato un evento in primo piano su “Assange e WikiLeaks: libertà di stampa sotto processo”, con gli interventi di Stella Morris, avvocato e moglie del fondatore di WikiLeaks, della giornalista investigativa Stefania Maurizi (de Il Fatto Quotidiano e, in passato, de l’Espresso e La Repubblica) e di Joseph Farrell, ambasciatore mondiale del sito WikiLeaks.
Gli attivisti di FREE ASSANGE Italia hanno consegnato ai giornalisti presenti un appassionato appello per rompere il silenzio della stampa sul caso Assange al ritorno nelle rispettive redazioni.
Ecco il testo del loro appello:
Cari giornalisti,
siamo venuti al vostro Festival Internazionale del Giornalismo per raccontarvi la difficile situazione di uno dei vostri colleghi, rinchiuso in un carcere di massima sicurezza solo per aver fatto il suo lavoro di reporter investigativo, esponendo le malefatte e gli sporchi segreti dei governi e dei potenti.
Stiamo parlando, ovviamente, di Julian Assange.
In questi giorni tremendi, pieni di immagini di distruzione, morte e disperazione in Ucraina, vi vediamo tutti intenti a denunciare massacri e crimini di guerra. La stessa cosa che Julian Assange ha dedicato la sua vita a smascherare e castigare.
Con una differenza, però. Lei svela e castiga i crimini di guerra della Russia, un paese che il governo degli Stati Uniti ha qualificato come “nemico”. Il vostro è quindi un lavoro giornalistico “al servizio della verità”, come vi piace proclamare – tranne che è una verità molto conveniente.
Assange, d’altra parte, ha esposto e castigato i crimini di guerra della NATO in Afghanistan e iraq – quelli che il governo degli Stati Uniti vuole coprire e che nemmeno la Corte penale internazionale deve indagare. Il lavoro giornalistico di Julian, quindi, è, come il tuo, “al servizio della verità” – tranne per il fatto che è una verità molto scomoda.
Così scomodo che il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti considera la diffusione di quelle verità degne fino a 175 anni di carcere secondo le disposizioni dell’Espionage Act del 1917.
Ma dove eravate, allora? Dov’eri mentre Julian Assange denunciava i crimini di guerra commessi dall’Occidente in Afghanistan e iraq?
Non abbiamo visto la diligenza e l’indignazione che voi mostrate così prontamente oggi nel criticare la Russia, quando eravamo noi (i bravi ragazzi, gli amanti della democrazia) a commettere le atrocità. Non abbiamo visto trasmissioni in diretta o telegiornali maratona che esponessero gli orrori che noi e i nostri alleati stavamo commettendo in Afghanistan, Iraq o Libia, e che stiamo commettendo oggi in Siria, Palestina, Yemen e Sahel.
Con un’eccezione. Abbiamo visto un giornalista australiano che, quasi da solo, ha osato portare questi orrori all’attenzione del pubblico, portarli alla luce del giorno. Anche se quei crimini – compresi gli atti di tortura che fanno venire la nausea solo a sentirne parlare – sono stati commessi da noi, i bravi ragazzi. Questo giornalista australiano ha persino costruito un ingegnoso sito web, Wikileaks, al fine di raccogliere in forma anonima le prove dei crimini che ha denunciato. Ed è per questo che questo giornalista è perseguitato, dagli Stati Uniti, dal 2010, quando ha pubblicato per la prima volta il famoso video “Collateral Murder”, quel macabro videogioco.
Dal 2012 Assange è stato privato della sua libertà e dall’11 aprile 2019 è rinchiuso in attesa di processo in un carcere di massima sicurezza, destinato agli autori di crimini efferati, dove subisce le torture denunciate dal relatore onu Nils Melzer e da oltre 60 medici esperti in tortura.
E tu? Da che parte stai?
Dopo aver attinto pesantemente dalle sue rivelazioni per i vostri scoop, almeno all’inizio, non potete pronunciare una sola parola oggi in difesa di Julian Assange? Dopo aver contribuito alla fionda di fango, demolendolo agli occhi dell’opinione pubblica, non si può spendere una sola parola oggi per riabilitarlo? Ad esempio, informando i tuoi lettori – che potrebbero aver letto i tuoi articoli che accusavano Assange di stupro – che era tutta una bugia e che il caso è stato chiuso?
Non puoi dire ai tuoi lettori del piano della CIA per rapire o uccidere Assange, come rivelato da Yahoo News? E condannare la sua probabile estradizione proprio nel paese che ha pianificato di assassinarlo?
Non puoi spiegare ai tuoi lettori che non c’è una sola rivelazione di WikiLeaks che sia stata dimostrata falsa, non una singola rivelazione che abbia messo a repentaglio la sicurezza di qualsiasi paese o quella di qualsiasi individuo. L’unica sicurezza che è stata minacciata è la falsa sicurezza dell’Occidente che ha acquisito dopo aver commesso crimini di guerra in tutto il mondo con totale impunità.
Non sono questi “fatti rilevanti”? Non senti l’obbligo di raccontarli ai tuoi lettori, per rispetto della tua professione?
Il prossimo 20 aprile, il ministro dell’Interno britannico, Priti Patel, troverà sulla sua scrivania l’ordinanza del tribunale che consente l’estradizione di Assange negli Stati Uniti, dove rischia di essere condannato fino a 175 anni di carcere: non potrà più vedere la sua famiglia o i suoi avvocati, in pratica sarà sepolto vivo. Un tuo collega, sepolto vivo per aver fatto il suo lavoro di giornalista investigativo: questo pensiero non ti turba in alcun modo?
È giunto il momento per voi di difendere Julian e chiedere il suo rilascio. Lo dovete a noi, a tutti i cittadini di oggi e di domani, perché se Julian Assange viene estradato o se muore in prigione in anticipo, sarà anche la morte della libera informazione, la morte dei nostri #RightToKnow ciò che coloro che ci governano hanno realmente fatto, per poterli ritenere responsabili.
Un’ultima parola. Se Julian non viene liberato, nemmeno tu sarai libero. Se domani qualche informatore ti darà informazioni segrete che rivelano crimini di guerra commessi da un paese della NATO, ricordando Julian molto probabilmente lo metterai attraverso il trituratore e lascerai che i possibili criminali rimangano impuniti. In una parola, vi sentirete obbligati a vivere una vita di complicità.
È quindi anche per TE e per la TUA libertà di giornalista che ti chiediamo di intervenire attivamente a favore del rilascio di Julian Assange.
ASSANGE LIBERO Italia
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