L’ultima puntata di questa storia che sembra incredibile, o magari tratta da un film, o figlia dello sceneggiatore di “Avatar”, è stata scritta poco meno di un anno fa. Era febbraio 2019, infatti, quando il governo russo ha deciso di riaprire le indagini di quello che è da considerarsi uno dei misteri più cupi e indecifrabili del XX secolo.
Lo hanno chiamato incidente del passo di Djatlov. No, non è stato un incidente. È stato un massacro di cui, dopo 60 anni, si conosce soltanto la punta dell’iceberg. Una punta, purtroppo, che gronda sangue e tanti interrogativi. La morte di nove persone senza un perché. Un per come. E con tante, troppe stranezze. E gli immancabili punti interrogativi.
Con il filo del tempo corriamo indietro fino al 1959. Febbraio. Un gruppo di nove escursionisti scompare durante una spedizione in Russia sui monti Urali, mentre è in viaggio verso il Monte Otorten, che sarebbe dovuto essere il capolinea di tutto.
Nella zona arrivano già qualche giorno prima, a fine gennaio, e tutto sembrava procedere secondo un piano ben preciso. Sembrava, perché con il tramonto del primo mese dell’anno inizia l’incubo. I nove uomini non danno più nessuna traccia di vita, né tanto meno un qualcosa che potesse essere chiamato segnale. Si decide di cercarli, allora, ed è qui che principiano i tanti misteri di questa singolare vicenda.
Le squadre dei soccorritori, infatti, trovano soltanto la loro tenda (squarciata dall’interno, e dal suo interno partivano orme), rigorosamente vuota su un lato della montagna, chiamato, guarda caso “della morte”.
Cinque corpi sono rinvenuti a circa un miglio dal campo base abbandonato, indossavano soltanto una parte degli indumenti, presentavano segni di lesioni estreme, tra cui crani fratturati, e una lingua di una donna addirittura strappata. Perché? Ed è qui che sta il grosso problema.
I cadaveri degli altri componenti il gruppo d’origine sono stati trovati soltanto dopo qualche mese, e questo a causa delle temperature rigidissime – 30 gradi sotto lo zero – che hanno impedito ai soccorritori di compiere per intero l’iniziale intervento. Dove erano? Sepolti sotto un metro e mezzo di neve, ed è inutile dire che giacevano in condizioni assai simili ai loro compagni.
Chi ha compiuto un simile massacro? Perché? Di quale colpa si era macchiato il gruppo degli escursionisti?
Le domande non hanno mai trovato risposta. Se non ipotesi, alcune fantasiose, altre soprannaturali, alcune inverosimili. In un primo tempo si è pensato ad alcuni missili russi, lanciati proprio durante quelle fatidiche giornate, ma finisce presto per essere cestinata. Indagini più approfondite, invece, non hanno decifrato la causa della morte, di così tale portata e dimensioni, arrivando a stabilire la presenza di una qualche forza sconosciuta.
Ovviamente mai trovata, rintracciata e certificata.
E tale convinzione è stata riconosciuta anno dopo anno, decennio dopo decennio. Per 60 esatti, come abbiamo scritto in incipit.
In realtà, però, nel 2014, un tale chiamato Donnie Eichar, regista e produttore americano, ha sostenuto una tesi diversa. E cioè che quella sfortunatissima squadra si sia trovata al posto sbagliato al momento sbagliato. Al passaggio di una tempesta perfetta, alla quale non potevano scampare.
Dimostrazioni, ovviamente, non ve ne sono. E non ha diradato per nulla l’alone di mistero che tiene in scacco quei terribili giorni del febbraio 1959.
Quello che c’è, invece, è un film su questa storia terribile, da qualunque punto di vista la si guardi. Si chiama “Il passo del diavolo”, è del 2013.