E’ divenuta oggi ufficiale la notizia secondo cui Trump, non certo noto per la sua simpatia nei confronti della Cina che oltretutto di recente aveva anche accusato di gravi omissioni ed inefficienze nella gestione del “dossier Coronavirus”, avrebbe intavolato ormai già da diversi giorni con le autorità di Pechino una trattativa per affrontare l’epidemia nel frattempo sbarcata e diffusasi pure negli Stati Uniti. Anche se nei fatti si profila come una sorta di richiesta d’aiuto al “nemico”, quella di Trump è stata presentata soprattutto come un’azione alla pari fra Cina e Stati Uniti, usando le seguenti parole: ” Ho appena concluso un’ottima conversazione con il presidente Xi della Cina. Discusso in dettaglio il CoronaVirus che sta devastando gran parte del nostro Pianeta” e “La Cina ha molta esperienza e ha sviluppato una forte conoscenza del virus. Stiamo lavorando a stretto contatto insieme. Molto rispetto!”.

Nella telefonata che avrebbe suggellato il “disgelo” tra Donald Trump e Xi Jinping in nome di una causa certamente molto più importante di certe “vecchie ruggini” come la lotta al Coronavirus, nemico comune, il Presidente cinese avrebbe auspicato da parte degli Stati Uniti “azioni reali” per migliorare i rapporti bilaterali, facendo quindi comprendere come da Washington la Cina s’attenda un reale cambiamento di rotta dimostrato da fatti concreti e non soltanto delle belle parole. Stando all’emittente statale CCTV, Xi Jinping avrebbe dichiarato che le relazioni sino-americane “sono arrivate ad una congiuntura importante”. Insomma: la Cina ha tutto l’interesse e la volontà di cooperare con gli Stati Uniti così come con chiunque altro nella lotta al Coronavirus, ma proprio a causa della serietà di tale problema è necessario che i rapporti siano sempre chiari e trasparenti da ambo le parti.

In questo senso, che nessuno possa permettersi più di giocare o temporeggiare su un problema del genere è dimostrato dal fatto che i numeri dei contagiati così come delle vittime continuino ormai a salire sempre più massicciamente: secondo i dati di The New York Times gli Stati Uniti, per esempio, sono oggi il primo paese al mondo per numero di casi, con 81.448 contagi, più di Cina ed Italia, e 1.178 morti. Un altro focolaio è stato registrato anche sulla portaerei Roosevelt, diretta verso l’Isola di Guam nel Pacifico, con 25 marinai contagiati. Anche nel Vecchio Continente la situazione non si può di certo definire allegra: pur parlando di “segnali incoraggianti”, OMS-Europa ha comunque invitato a non farsi ancora troppe illusioni, dato che prima di vedere degli effettivi miglioramenti occorrerà aspettare ancora del tempo. Al momento attuale, secondo fonti AFP, l’Europa ospita metà di tutti i casi ufficialmente dichiarati nel mondo, oltre 250mila.

In Inghilterra, per esempio, la sanità nazionale teme di restare sommersa dai ricoveri, in una situazione che vede già in tempi normali gli ospedali nazionali faticare a gestire tutti i malati. Per la prima volta, fra ieri ed oggi, i decessi hanno infranto la barriera dei cento al giorno, e nello stesso arco di tempo di 24 ore le persone infettate sono state 2.129, raggiungendo così il totale di 11.658. Anche il premier Boris Johnson ha dichiarato d’essere risultato positivo al test a tampone per il Coronavirus. Solo pochi giorni fa Johnson aveva spiazzato l’opinione pubblica nazionale e mondiale con alcune dichiarazioni prontamente accusate di cinismo, e che poi aveva dovuto rettificare; successivamente aveva dovuto, anche in questo caso contraddicendo le proprie intenzioni iniziali, iniziare a limitare gli orari di apertura di alcuni luoghi pubblici e ad introdurre nuove restrizioni, e così via. Anche in Inghilterra, insomma, non si respira più l’aria di “speranzoso ottimismo” di qualche settimana fa, e lo stesso si può dire anche per la Spagna, dove secondo El Paìs soltanto nelle ultime 24 ore le vittime sono state 769, con un bilancio di perdite salito così a 4.858 persone. I contagiati, al momento, sono 64.059, anche se devono pur confortare le 9.357 persone che sono invece guarite, stando almeno ai dati forniti dal ministero della Sanità di Madrid. Non migliore, del resto, può dirsi la situazione in Germania, con 43.646 casi segnalati dalla Hopkins University, per la quale in ogni caso le vittime sarebbero al momento “solo” 239. Stamani i positivi registrati erano 37.323 e le vittime 206, ma il ministro della Salute Jens Spahn ha messo in guardia la nazione avvertendo che i tedeschi in questo momento sarebbero davanti “alla quiete prima della tempesta”.

La situazione fra Nord America ed Unione Europea, insomma, nel suo complesso è per ora ben lontana dal lasciar sperare in un rapido superamento dell’epidemia. Gli esempi indicati come “vincenti” e da seguire sono stati identificati, giustamente, nella Cina e nella Corea del Sud. Quest’ultima è stata il secondo paese colpito dal Coronavirus dopo la Cina, rapidamente giunto al secondo posto nella classifica mondiale proprio dopo la Cina per numero di contagiati e di vittime ma allo stesso tempo anche capace, con ammirevole rapidità, d’affrontare il flagello avvicinandosi a trionfare su di esso esattamente com’è avvenuto in Cina. Per questa ragione, oltre a studiare con grande interesse quanto fatto dagli alleati sudcoreani, a Washington cercano ora anche una più fruttuosa sinergia con gli avversari cinesi; a tal proposito un articolo di The Guardian, uscito proprio in questi giorni, fornisce alcune tracce interessanti. Per gli Stati Uniti, probabilmente, l’idea più “calzante” sarebbe quella d’ispirarsi al modello sudcoreano di gestione della crisi per affrontare quanto sta avvenendo anche al loro interno, e al contempo di lavorare insieme alla Cina nel portare avanti la lotta al Coronavirus a livello soprattutto estero ed internazionale. Va da sé, però, che per gli Stati Uniti sarebbe ben difficile, anche sul fronte interno, rinunciare alla grande esperienza maturata dalla Cina nella lotta al Coronavirus, a rafforzare l’idea che in questo nuovo “rapporto di coppia” sia davvero solo la Cina il “partner trainante”.

E l’Europa? In tutta questa situazione, l’Europa sembra soprattutto un campo di battaglia, con ogni suo paese membro intento a muoversi per conto proprio pur auspicando o reclamando un’unità d’azione che però, alla prova dei fatti, non si vede davvero mai. A tal proposito, tanto le autorità europee comunitarie quanto gli stessi Stati Uniti hanno dovuto “ingoiare il rospo” di dover assistere all’azione d’assistenza cinese all’interno dei confini dell’UE, prima di tutto in Italia ma adesso anche in altri paesi come ad esempio l’Ungheria. Oltre alla Cina, com’è noto, a portare il loro aiuto sono poi giunti anche i russi, i cubani, i venezuelani, i vietnamiti, addirittura gli egiziani, ciascuno nelle modalità e nelle quantità che gli erano possibili: chi col semplice invio di materiali medici e sanitari, chi addirittura inviando personale medico e paramedico e persino militari! Anche queste significative presenze accentuano l’idea che l’UE sia soprattutto un “grande vuoto”, un’entità economica e finanziaria che s’estende, spesso anche in modo poco efficace od attendibile anche in termini economici e finanziari, in un vasto territorio dove però non esprime nessuna reale politica. Non parliamo poi di una strategia o anche solo di una semplice tattica per affrontare l’epidemia: avrebbe dovuto essere il primo pensiero, e invece a Bruxelles sostanzialmente non è mai realmente o pienamente pervenuto. In quel grande vuoto pneumatico che è il pur articolato ammasso delle istituzioni europee, riempito solo di parole ma non di fatti, l’inserimento di altri, in presenza di una grave e crescente emergenza, appare ben lontano dal potersi definire come una cattiva notizia.

Tanto gli Stati Uniti quanto l’Unione Europea, insomma, pagano per il loro “verbalismo”, ovvero per aver pascolato per anni con autoreferenzialità e narcisismo su un loro mito di superiorità, infallibilità, perfezione ed efficienza che invece, alla fine, alla prova dei fatti è entrato in crisi come tutti gli altri. Apprendere dagli altri, fare un piccolo bagno d’umiltà, chiedere aiuto e consiglio anziché pretendere solo ascolto ed obbedienza; anche tutte queste cose saranno una necessaria parte della cura.