L’8 ottobre 2001 per l’aeroporto di Linate sta come il 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna. Due tragedie immense nella storia della Repubblica italiana, seppur diversissime tra loro.
La prima è stata la punta più alta dell’iceberg degli anni del terrorismo rosso e nero nel Belpaese, che ha fatto grondare sangue in oltre 10 anni tra magistrati, politici, sindacalisti, forze dell’ordine, operai e studenti. La seconda rappresenta il più grave disastro aereo per numero di vittime mai accaduto in Italia anche se, a neanche un mese dall’assalto alle Torri Gemelle, si è pensato a una ennesima mano e menti esterne. Invece no: tutta maledetta colpa di un incidente e carenze strutturali dell’aeroporto di Linate.
Tutto inizia presto, prestissimo quella terribile mattina. Sono appena le 8, e sulla pista pronte a decollare, in mezzo a una nebbia fittissima, ci sono due aerei: un McDonnell Douglas MD-87 della compagnia aerea “Scandinavian Airlines”, destinato a Copenaghen, e un “Cessna Citation CJ2 privato”, diretto a Parigi e con quattro persone a bordo.
Ogni cosa sembra, ovviamente, dover funzionare come deve. Accade, però, che il volo danese inizia a scaldare i motori e accelera, mentre l’altro velivolo, per colpa della nebbia e di una segnaletica ormai logora sull’asfalto, si dirige verso una uscita sbagliata andandosi a trovare sulla traiettoria sbagliata. Quella dello “Scandivian”.
Lo scontro è inevitabile, perché l’aereo danese prende in pieno il jet a oltre 270 chilometri orari, spezzandolo in tre tronconi, impedendogli di completare il decollo e facendolo schiantare contro un edificio adibito allo smistamento dei bagagli, situato sul prolungamento della pista. Il bilancio fa rima con tragedia, perché i morti – anche in seguito all’incendio venutosi a sprigionare – sono 118.
Riesce a salvarsi soltanto una persona. Un operaio – il quinto – impiegato proprio nello smistamento dei bagagli. Che però si è sottoposto a oltre 100 interventi chirurgici per ovviare ai gravissimi danni fisici causati dalle ustioni.