Per le organizzazioni criminali straniere in Italia “il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, con tutta la sua scia di reati ‘satellite’ (tratta di persone da avviare alla prostituzione e al lavoro nero, contraffazione, reati contro il patrimonio e furti di rame,) per le proporzioni raggiunte, e grazie ad uno scacchiere geo-politico in continua evoluzione, è oggi uno dei principali e più remunerativi business criminali, che troppe volte si coniuga tragicamente con la morte in mare di migranti, anche di tenera età”. A metterlo nero su bianco, turbando i sonni di tanti buonisti, è la Dia (Direzione investigativa antimafia) nel suo rapporto semestrale.

Nel documento, viene evidenziato il ruolo di “maghrebini, soprattutto libici e marocchini, nel trasporto di migranti dalle coste nordafricane verso le coste siciliane”. Il trasporto dei clandestini che ha creato un nuovo “indotto criminale”, in un contesto tobidissimo, in cui si denota “una interazione tra i sodalizi italiani e quelli di matrice straniera, assumendo connotazioni particolari a seconda dell’area geografica in cui tali sinergie vengono a realizzarsi”.

Nelle regioni del sud Italia, spiega la Dia, “i gruppi stranieri agiscono, tendenzialmente, con l’assenso delle organizzazioni mafiose autoctone mentre, nelle restanti regioni, tendono a ritagliarsi spazi di autonomia operativa, che sfociano anche in forme di collaborazione su piani quasi paritetici”. Significativa, secondo la Direzione antimafia, è l’operazione Caronte dello scorso ottobre che ha fatto venire a galla in tutti i suoi inquietanti contorni, un’associazione criminale composta da un iracheno e sei italiani “con compiti direttivi e organizzativi” tra i quali, appunto, “alcuni ex contrabbandieri brindisini”. Da sempre contigui alla Sacra Corona Unita, i malavitosi dell’Alto Salento stanno facendo soldi a palate con questo nuovo canale criminale, che va ad aggiungersi a quelli “tradizionali” delle estorsioni e del traffico di stupefacenti.

Per effettuare il trasporto di cittadini stranieri dalla Grecia e dall’area balcanica verso l’Italia, si legge nella relazione, “il sodalizio si avvaleva di imbarcazioni nella disponibilità dell’organizzazione (semicabinati, yacht e natanti non di fortuna), adibiti per il trasporto di un numero limitato di migranti” e allo stesso tempo il gruppo “predisponeva la vigilanza degli ormeggi delle forze dell’ordine, allo scopo di scongiurare la presenza in mare delle motovedette durante le operazioni di avvicinamento e sbarco”.

Nel suo rapporto, la Dia parla anche di Roma e definisce la situazione della Capitale sempre più simile a quella che si vive in alcune regioni del Mezzogiorno. Secondo quanto scritto nel documento, in alcune aree della Capitale, operano formazioni criminali che, “basate su stretti vincoli di parentela, evidenziano sempre di più modus operandi assimilabili alla fattispecie prevista dall’art. 416 bis”.

“Gli esiti investigativi e giudiziari degli ultimi anni, si legge ancora, continuano, infatti, a dar conto di una realtà, quella romana, particolarmente complessa sotto il profilo delle infiltrazioni criminali, che vedono all’opera qualificate proiezioni delle organizzazioni di tipo mafioso italiane (siciliane, calabresi e campane in primis), che sono riuscite agevolmente ad adattarsi alle caratteristiche socio-economiche del territorio di elezione”. All’occorrenza, queste aggregazioni criminali “sanno perfettamente intersecare i propri interessi non solo con i sodalizi di matrice straniera, ma anche con le formazioni delinquenziali autoctone che, pur diverse tra loro, in termini di modello strutturale e di azione connessa all’esercizio del potere criminale, hanno adottato il modello, organizzativo ed operativo, di tipo mafioso, per acquisire sempre più spazi nell’ambiente territoriale di riferimento”.

L’organizzazione criminale con maggiore ramificazione globale resta la ‘ndrangheta, che costituisce un modello d’azione “replicato, oltre che in Calabria, anche in altre aree nel nord Italia ed all’estero, con proiezioni operative in Germania, in Svizzera, Spagna, Francia, Olanda e nell’Est Europa, nonché nei continenti americano (con particolare riferimento al Canada) ed australiano”.

Situazione fluida e in evoluzione sul versante criminale siciliano. Dopo la morte di Totò Riina, gli uomini della Dia ritengono che Cosa Nostra stia attraversando una “fase di transizione e di rimodulazione, contraddistinta dal rischio di forti tensioni che potrebbero sfociare in atti di forza, con pericolose ripercussioni sull’intera organizzazione mafiosa”. Secondo la Direzione investigativa antimafia, è molto “improbabile che a succedergli sia Messina Denaro” ed è “ragionevole ritenere che Cosa nostra tenderà ad una gestione operativa di tipo collegiale, in linea di continuità con la strategia perseguita negli ultimi anni”.