Nell’ultima puntata di Si o No, programma informativo sul referendum condotto da Enrico Mentana, si sono visti confrontati il principale sostenitore del SI, Matteo Renzi, e per il No il più volte ex ministro e premier Ciriaco De Mita.
Politicamente due soggetti piuttosto omogenei: il primo è il maggior rappresentante dell’ala liberale dell’attuale centro sinistra, mentre il secondo veniva dalla corrente sociale della Democrazia Cristiana e oggi è nell’UdC. Nonostante ciò, il dibattito è stato tutt’altro che pacifico, come sostenuto alla fine dallo stesso presentatore.
Matteo Renzi, come sappiamo, è un personaggio adatto allo spettacolo e a parlare davanti alle telecamere; questa volta però anche il suo avversario De Mita è più abituato ed è riuscito a mantenere la discussione al livello del suo avversario, a differenza del precedente famoso dibattito col professor Gustavo Zagrebelsky, mostrando oltretutto una capacità filosofica ed argomentativa non indifferente seppur non sia riuscito a rimanere sempre sul tema, e a volte sia risultato difficilmente comprensibile, tanto che Mentana ha definito le sue parole “toni evangelici”.
De Mita ha dedicato l’inizio del dibattito ad un excursus sulle prime riforme democristiane tra cui quella agraria, con lo scopo di spiegare la tradizione riformistica attraverso il partito che ha dominato la cosiddetta “Prima Repubblica”. Renzi ha invece cercato di riportare il discorso sul presente per spiegare come in Italia i tentativi di riforma costituzionale siano di lunga data e quasi tutti falliti a causa dell’incapacità di far seguire un testo serio alle proposte e ai dibattiti politici: l’unico effettivamente approvato fu la famosa riforma del titolo V della costituzione sul rapporto Stato-Regioni che ha però creato più danni di quanti ne avrebbe dovuti risolvere in nome delle autonomie territoriali.
Successivamente il dibattito storico si è portato anche sulle motivazioni costituenti che hanno mostrato quale fosse, e come si sia trasportata fino ad oggi, seppur con attori politici diversi, la principale ragione di un sistema estremamente particolare, presente in Europa soltanto in Romania, quale un bicameralismo paritario, che dà cioè stessi poteri ad entrambe le camere. Il Presidente del Consiglio, in questo caso ha molto insistito sulla necessità di passare ad un sistema più decisionista che consenta all’Italia di allinearsi ai principali paesi europei; De Mita dal canto suo ha contestato molto il processo di approvazione della legge che ha ritenuto far parte di Renzi stesso. Purtroppo non s’è astenuto dalla contestazione congiunta della riforma elettorale che ritengo non rientri nel dibattito visto che si tratta di legge ordinaria non sottoposta a referendum.
Insomma De Mita nonostante abbia, come il Professore, un po’ divagato è riuscito a mantenere la discussione, anzi quasi rubando tempo allo stesso Renzi che ha pure lamentato di non riuscire a parlare: dal suo solito tono ossequioso è passato a dargli informalmente del Tu, il che ha mostrato un suo maggior sforzo argomentativo. Da un suo errore rispetto alle nomine in Senato Renzi ha anche colto occasione per presumere, con eccesso, che il suo avversario il testo della riforma non l’avesse letta, almeno non con sufficiente attenzione.
Quello che appare da questi confronti è che Renzi come promotore e coautore, nonché grazie alle sue abilità, riesca a mostrarsi sempre più competente e convincente, mentre chi si oppone difficilmente riesce a trovare valide ragioni che non si riferiscano a derive autoritarie col combinato disposto del cosiddetto Italicum che però attualmente non c’è e comunque si tratta pur sempre di legge ordinaria, molto più facile eventualmente da modificare anche in toto.
Insomma molte scintille, molte critiche da un ex Presidente del Consiglio all’altro sui metodi e sui fini, ma poca argomentazione di merito.