Quella terribile mattina tutto ha inizio con un urlo. Una frase di chiaro stampo razzista. “Morte agli italiani. Viva l’Anarchia”. C’è una folla che ha il cuore avvelenato d’odio. Gli italiani se la sono cercata, sono venuti fin quassù, nelle saline della Camargue, alle foci del Rodano, per rubare il pane ai francesi.
Ecco, allora, i primi tasselli di questa storia che per fortuna, grazie ad alcuni giornali e al libro di Enzo Barnabà (con prefazione di Gian Antonio Stella), “Morte agli italiani”, non è stata completamente dimenticata. E che anzi, in questi ultimi giorni/mesi in cui si parla soltanto di immigrazione incontrollata (ma è anche incontrollabile?), della paradossale vicenda della nave Diciotti (nave nostrana che non può attraccare in un porto nostrano), torna a galla. Prepotentemente. Al di là delle dichiarazioni incaute di qualche ministro della Repubblica.
È il 17 agosto 1893. Ad Aigues Mortes, in Provenza, vengono uccisi dieci operai italiani che lavoravano come stagionali nelle saline. Tantissimi altri vengono feriti, chissà quanti. Ad attaccarli sono gli operai francesi. Non volevano più a casa loro quei “Christos” o “Macaronis”, come li chiamavano, che rubavano il lavoro. Un lavoro stagionale durissimo, quello nelle saline, che i transalpini non volevano più fare e scaricavano sulle spalle dei piemontesi, pronti a lasciare la loro casa per lavorare a cottimo.
Ecco, allora, quando gli sfruttati eravamo noi.
Ma come si arriva a questo terribile massacro, contrassegnato anche da un controesodo di centinaia di operai e famiglie italiane? Aigues-Mortes a fine ‘800 è una città povera e dall’economia sonnolenta. Si anima solo ad agosto durante la raccolta del sale quando vengono assunti 1.500 stagionali tra cui 600 italiani, per lo più piemontesi e toscani, quasi sempre ingaggiati tramite caporali che operano oltre confine.
Il problema, però, è che fin dai primissimi arrivi, il clima è tesissimo. E la colpa è tutta della stampa, che inizia una campagna xenofoba inaudita. Ripete strenuamente che “la manodopera italiana toglie il pane dalla bocca” e che gli italiani “sono sporchi, tristi, straccioni”. Questa campagna denigratoria non può che portare conseguenze anche nelle saline stesse, dove italiani e francesi non si integrano, tanto più che i ritmi sono massacranti e la retribuzione a cottimo premia gli operai italiani, più robusti e abituati ai lavori duri. Senza dimenticare le infami condizioni igienico-sanitarie. E, secondo gli storici, la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso è proprio la scarsità di acqua potabile. Il giorno prima del massacri, il 16 agosto 1893, un torinese avrebbe lavato il fazzoletto pieno di sale nella tinozza contenente l’acqua dolce. La reazione dei francesi sarebbe stata violenta, il torinese avrebbe quindi ferito con un coltello uno degli aggressori.
Le voci si diffondono incontrastate, anche le più menzognere e ingannevoli, anche quella che gli italiani avevano ammazzato i francesi. Inizia una vera e propria caccia all’uomo. Agli italiani. Durata lunghe, lunghissime ore, con la punta massima consumatasi proprio il 17 agosto. Un massacro in vera e propria regola. I cadaveri vengono esposti nel cortile della salina della Fangouse, e poi inumati il giorno dopo. L’opinione pubblica del posto non ha pietà di loro neanche da morti, tanto che ai loro funerali quasi nessuno segue il carretto funebre.
L’episodio si diffonde rapidamente, e nei giorni successivi centinaia di italiani scappano impauriti. Ma accade anche qualcos’altro di brutto. A nessuno interessa veramente capire come siano andati veramente i fatti, neanche al governo italiano.
È stato fatto persino un processo, con 17 persone alla sbarra. Risultato? Tutti assolti. E assoluzione ha significato mettere una pesantissima cappa di oblio sulla vicenda, come se non fosse accaduta una delle più tragiche pagine della storia operaia europea. Come se quelle parole xenofobe non fossero mai state pronunciate.
Oblio che si è spezzato qualche giorno fa. Dopo 125 anni. Sulla facciata del palazzo comunale di Aigues-Mortes è stata piazzata una targa ricordo. Però del massacro, lì in Provenza, si continua ancora a non parlare.