Ieri abbiamo sentito in TV i discorsi pronunciati davanti alla platea del PD da parte dei tre figuranti che, dopo i consensi raccolti nei circoli, si dovranno ora sfidare alle primarie per aggiudicarsi la segreteria: Nicola Zingaretti, Maurizio Martina e Roberto Giachetti.
Come sappiamo, a vincere, ottenendo una maggioranza relativa ma non assoluta, è stato il primo, con un 47% abbondante di scelte da parte dei circoli, mentre Martina è arrivato secondo con qualche punto in meno; terzo Giachetti, con numeri che difficilmente possono impensierire gli altri due, almeno per il momento. E’ stato però notato che tanto Martina quanto Giachetti abbiano i voti dei renziani, i più moderati nel caso nel prima e i più ferrei nel caso del secondo, e che assommati insieme tali consensi coincidano, per percentuali, a quelle raccolte da Zingaretti. L’impressione, dunque, è quella di un partito diviso a metà, fra renziani ed antirenziani, e tra quest’ultimi andrebbe pur detto che in molti un tempo sostenevano Renzi salvo poi cambiare opportunamente casacca dopo la batosta del 4 marzo 2018.
Gli equilibri dentro il partito sono piuttosto complessi ed alimentano una tensione che, ben intuibilmente, si materializza anche nei singoli circoli di città e di quartiere. Da molto tempo, per esempio, si parla di una possibile fuoriuscita di Renzi dal PD, per realizzare una sua lista personale che, sondaggi alla mano, potrebbe fruttare numeri non dissimili da quelli di Forza Italia: dunque non esagerati, ma comunque più che sufficienti ad essere vissuti dal PD come una grave emorragia, in grado di dimezzarlo sostanzialmente rispetto alle già non ottimali dimensioni elettorali odierne.
Da una parte Renzi vorrebbe rilanciare e restaurare il suo storico apparato, ruotante intorno al famoso Giglio Magico, ma dall’altra parte c’è la concorrenza a destra di Carlo Calenda che, col suo progetto “Siamo Europei”, vorrebbe di fatto scavalcarlo. Resterebbe da capire, come avanzato anche da Alessandro Giuli su “Il Tempo”, se la scissione, che per Renzi a questo punto sarebbe una necessità, sia più opportuno farla prima o dopo le Europee; anche perché all’interno dell’area “dem” i sondaggi non sarebbero molto confortanti per Renzi, in caso di scontro diretto con Calenda. E se un Calenda “qualunque”, piovuto da un partito fantasma come Scelta Civica ed iscrittosi al PD all’ultimo minuto, praticamente dopo il famoso 4 marzo, può permettersi di cannibalizzare nientemeno che il “grande” Renzi, allora vuol dire che proprio tanto rosea la situazione non è.
La realtà è che ormai il PD, al netto di tutte queste alchimie e trame di corte, è un partito morto, a cui però a nessuno ancora è venuto il coraggio di staccare la spina. Dietro il suo simbolo ed in generale dietro tutta la ex sinistra PCI si nasconde un mondo ormai fatiscente, che va dal Gruppo GEDI (De Benedetti) a Montepaschi, dalla Magistratura al sindacato, passando per le varie cooperative rosse e ormai anche bianche tutte più o meno con bilanci da spavento, fino anche a certi torbidi ed inquietanti giri massonici ben rappresentati, per esempio, dal triangolo Firenze-Siena-Arezzo, che per i propri interessi non ha esitato neppure a difendere la vergognosa setta del Forteto, dove gli abusi da parte del santone Fiesoli e dei suoi accoliti sui minori avuti in affidamento semplicemente non si contavano.
Il problema, in fin dei conti, non sarebbe nemmeno il fallimento o la fine del partito, ma di tutta questa realtà impresentabile che gli è dietro e che, pur di sopravvivere, in passato non esitò a mettersi al servizio del miglior offerente, con tutte le sue strutture e le sue amicizie, per abbattere la Prima Repubblica, Craxi in primis. Tutta questa vasta realtà ben difficilmente accetterà la sconfitta e la propria dispersione in maniera passiva, senza reagire; piuttosto ricorrerà, e già ora dopotutto lo sta facendo, alle tattiche più subdole pur di vendere cara la pelle e soprattutto di vincere.
Se non vi fosse tutto questo mondo, che ha finora messo i propri interessi al di sopra della nazione che lo ospita, costringendo quindi il partito e tutte le sue relative diramazioni mediatiche e sindacali a fare proprio quella sua politica, rifondare la sinistra sarebbe in fin dei conti cosa molto più facile. Bisognerebbe semplicemente avere l’onestà di ammettere i moltissimi errori compiuti nel corso degli anni, ma allo stato attuale delle cose è fin troppo chiaro che una tale richiesta di coraggio sia ovviamente irricevibile per tutti coloro che, con quel mondo, vi hanno bene o male avuto a che fare, traendone oltretutto anche non pochi vantaggi personali; sempre a spese degli altri, ovvero della nazione e del popolo, lavoratori in primis e non solo, s’intende.
Anche l’incapacità ovvero il rifiuto di comprendere la politica estera e la geopolitica, magari proprio a causa di un’interessata malafede, è una grave mancanza per la sinistra attuale, se ancora quest’ultima si merita ancora una tale definizione. Servirebbe come l’aria una capacità di critica e di analisi che la sinistra attuale assolutamente non possiede, come dimostrato per esempio dalle sue posizioni in materia di esteri. Dalla Libia all’Ucraina, dalla Yugoslavia alla Siria, fino oggi al Venezuela, col totale ed incondizionato appoggio al golpista Guaidò e alla feroce crociata, per il momento solo verbale, contro Maduro, anche i discorsi dei tre candidati segretari di ieri ci ha fatto capire quanto si sia ben lontani dall’avere anche una pur minima o vaga vicinanza ai concetti di “onestà intellettuale” e di “spirito critico”.
Ci fermiamo qui, perché siamo signori e non ci piace, come fece quel celebre Fabrizio Maramaldo, “uccidere un uomo morto”. In casa PD dopotutto si sono già ammazzati da soli, e se le cose stanno così allora non è proprio il caso di sparare sulla Croce Rossa. Un minimo di rispetto a chi non c’è più, in fondo, è sempre dovuto.