
Ormai a quest’andazzo ci siamo abituati: ogni anno per il Nobel si dà un colpo al cerchio ed uno alla botte. Assistere alla premiazione dei Nobel è sempre molto appassionante, non fosse altro perché si tratta davvero d’una cartina di tornasole di come si stiano sviluppando gli equilibri e i rapporti di forza nel mondo. Si potrebbe dire che in questo momento, fra il fronte “atlantico” a guida euro-statunitense e quello “euroasiatico” a guida russo-cinese vi sia un sostanziale pareggio.
La giuria scandinava non ha infatti potuto evitare d’assegnare il Nobel per la Medicina alla scienziata cinese Tu Youyou, che ha saputo intelligentemente abbinare la scienza moderna alla medicina tradizionale cinese, individuando grazie alle erbe che crescono nel suo paese preziose cure che potrebbero veramente cambiare la vita ad una moltitudine di pazienti e di malati del Continente Africano; e, si potrebbe aggiungere, del mondo intero.
Ma, tanto per dare un colpo non solo al cerchio ma anche alla botte, ovvero per soddisfare non solo i paesi emergenti capitanati dalla Cina ma anche la vecchia guardia dominata dagli Stati Uniti, è stato inevitabile assegnare il Nobel per la Letteratura a Svetlana Aleksievic, una scrittrice di cui oggi in tanti si professano e millantano accaniti ed esperti lettori, anche se in realtà ne ignoravano il nome fino al giorno prima. Il premio alla Aleksievic è indubbiamente un dispetto fatto al suo paese natale, la Bielorussia, il cui governo l’ha accusata d’essere la solita intellettuale infarcita di soldi della CIA e della NED, al pari della cubana Yoani Sanchez e così via. Ma è anche un dispetto alla principale alleata della Bielorussia, la Russia di Putin. Non a caso la Aleksievic non ha mai avuto parole tenere né per Lukashenko né per Putin, dipingendo entrambi come dittatori e degni eredi di Stalin. Anche queste dichiarazioni, intuibilmente gradevoli all’Occidente, dimostrano l’appartenenza sociale e culturale del soggetto che le esprime: quella “borghesia” che dalla caduta del comunismo e dalla svendita dei paesi nati dalla fine dell’URSS ha tratto solo immensi benefici, pagati ovviamente dal resto della popolazione. Una borghesia che ovviamente in Occidente piace, perché ne costituisce il più affidabile ed incondizionato alleato in terra russa ed ex sovietica, e che coi suoi oligarchi ed il suo “Re Travicello” Boris Eltsin ha permesso agli USA, al Fondo Monetario Internazionale e a tutta la congrega ad essi ruotante intorno di mantenere ben stretti gli artigli sulle spoglie della Russia per almeno un decennio. Una borghesia che non ha prodotto solo lutti, oppressione politica, ruberie e criminalità, ma anche subcultura, finalizzata a costruirne la gloria per i posteri e a delegittimare tutti i nemici possibili ed eventuali. Così, quando in Bielorussia ed in Russia sono rispettivamente venuti fuori dei Lukashenko e dei Putin che hanno chiesto a certi manigoldi di restituire il maltolto e di comportarsi come Dio comanda, questa branca “intellettuale e culturale” della “borghesia” nata dalle macerie del comunismo ed infarcitasi di privilegi pagati dal popolo ha cominciato a sbraitare, demonizzandoli e raffigurandoli come demoni, assecondando entusiasticamente l’Occidente che al loro apparire guardava con comprensibile preoccupazione.
Infine, c’è il Nobel per la Pace: in questo caso la giuria ha optato per una soluzione, per così dire, “diplomatica”. Non potendo sbilanciarsi né in senso “euroasiatico” né in senso “atlantista” onde evitare di farsi sbugiardare (e di perdere quindi anche relativa credibilità), alla fine almeno in questo caso s’è deciso di puntare su un “outsider”: il “Quartetto Tunisino”. E’ buono per tutte le stagioni e non dà noia a nessuno. Anzi, visti i recenti attacchi dell’ISIS di cui la Tunisia ha dovuto pure fare le spese, una simile premiazione strizza pure l’occhio alla causa attuale, attualissima, della guerra al fondamentalismo islamico. Solitamente era proprio il Nobel per la Pace ad indicare l’orientamento “bellicoso” verso questo o quel paese, o verso questo o quel governante: lo si diede al Dalai Lama contro la Cina, e lo si diede a Michail Gorbaciov come ricompensa per aver distrutto l’Unione Sovietica. Di tanto in tanto, per correggersi un po’, lo si dava anche a chi se lo meritava davvero, per esempio Mandela e De Klerk nel 1993 o Rigoberta Menchù l’anno prima. Per questa volta hanno deciso d’optare per una soluzione “diplomatica”: vedremo il prossimo anno come andrà.