Di fronte alle critiche espresse contro l’avventurismo sconsiderato degli Stati Uniti, della “nuova Europa” e del governo di Kiev da svariati uomini politici ed esperti europei e dinnanzi all’atteggiamento ondivago dei Paesi della “vecchia Europa”, Washington non ha esitato ad impiegare un approccio alquanto diretto.
Per mettere in riga la Francia, impegnata ad onorare un accordo con la Russia in base al quale Parigi avrebbe dovuto consegnare due navi portaelicotteri classe Mistral e addestrare al loro utilizzo personale russo in cambio di 1,6 miliardi di dollari, gli USA hanno comminato una multa di circa 9 miliardi di dollari alla banca francese BNP Paribas (e inquadrato al centro del mirino Crédit Agricole e Société Générale), rea di aver intrattenuto rapporti commerciali con nazioni sottoposte a sanzioni come Iran e Sudan, violando il National Defense Authorization Act dell’anno fiscale 2012, il quale decretava il boicottaggio della Banca Centrale iraniana determinando l’esclusione dal sistema finanziario statunitense di qualsiasi ente coinvolto in transazioni con Teheran.
L’applicazione delle “sanzioni extra-territoriali” è stata interpretata da quasi tutti gli esperti in materia come un abuso di potere, e nel caso specifico ha spinto il ministro delle Finanze francese Michel Sapin a sottolineare la necessità di provvedere a un processo di sganciamento del dollaro in favore di un “ribilanciamento” monetario nei pagamenti internazionali che preveda l’utilizzo delle valute dei Paesi emergenti, i quali stanno acquisendo un peso crescente nel commercio globale. La sortita di Sapin, lanciata dopo le dure prese di posizione contro il sistema dei petro-dollari – identificato come il maggior responsabile degli squilibri finanziari a livello planetario – espresse dall’amministratore delegato della Total Cristophe De Mergerie (deceduto in uno stranissimo incidente in Russia), si è però rivelata vana, dal momento che la Francia non ha dato alcun seguito a questa diagnosi e che Hollande ha rapidamente decretato di sospendere la consegna delle Mistral, anche a costo di infliggere un colpo durissimo ai cantieri navali di Saint-Nazaire e di rimborsare la cifra già versata da Mosca.
Dopo avero incalzato la Francia, gli USA hanno cercato di spingere la riluttante Germania, dove il vicecancelliere Sigmar Gabriel aveva affermato che le sazioni contro la Russia dovrebbero essere revocate, ad assecondare l’atteggiamento aggressivo nei confronti della Russia tramite la Federal Reserve di New York, la quale ha bacchettato pubblicamente il colosso bancario tedesco Deutsche Bank, tacciandolo di avventurismo e sostenendo che la sua enorme esposizione ai derivati (pari ad oltre 55.000 miliardi a fronte di circa 520 miliardi di depositi; una situazione non molto diversa da quella di JP Morgan Chase, sul cui operato la Fed non ha invece avuto nulla da obiettare) rappresenta un “rischio sistemico”, ptovocando una forte flessione borsistica del titolo. Il successivo 2 aprile 2015, la Fed ha annunciato di aver comminato una multa di ben 1,7 miliardi di dollari a Commerzbank, ritenuta, al pari di BNP Paribas, colpevole di aver intrattenuto rapporti con “Stati canaglia” quali Cuba, Sudan e Iran. Poco prima che la Fed sferrasse la bordata contro Deutsche Bank, il sito “Zero Hedge” si domandava profeticamente: «Dal momento che il più grande avversario alle sanzioni russe in Europa è, di gran lunga, la Germania – nonostante quello che la Merkel dichiara ogni giorno – e dal momento che la Russia è sicura di contrastare gli Stati Uniti nei prossimi mesi, quale sarà l’azione criminale e giuridica che gli Stati Uniti monteranno nei prossimi mesi nei confronti della Deutsche Bank, prima come ricatto e poi come “punizione” per aver osato avvicinarsi al più odiato avversario della superpotenza americana? Dopo tutto, se è successo con BNP Paribas, potrebbe accadere ovunque in Europa – un continente che, nel bene o nel male, è vincolato al gas di Putin» (1).
In seguito a questi richiami all’ordine, l’Europa si è immediatamente riallineata procedendo all’inasprimento delle sanzioni preteso da Washington. Tra le sanzioni più pesanti figura quella relativa all’imposizione ai Paesi membri del divieto di acquisto di azioni delle principali banche russe, alle quali è stata inoltre preclusa la possibilità di emettere titoli nei mercati finanziari europei. In questo modo, gli istituti di credito russi non hanno potuto nemmeno servirsi delle piazze di Londra, Francoforte, Parigi, Milano, Madrid, ecc. per reperire fondi freschi ed ottenere prestiti da finanziatori non europei. È stata anche vietata l’esportazione in Russia di tecnologie e macchinari sofisticati, indispensabili sia per lavorare sui pozzi situati nell’Artico sia per sfruttare le nuove tecniche di trivellazione orizzontale. Si tratta di tecnologie necessarie all’ampliamento delle riserve russe tramite l’attivazione di nuovi giacimenti. Inutile sottolineare che le ripercussioni generate da queste misure non ricadono unicamente sulla Russia, ma colpiscono in maniera devastante tutti i progetti di esplorazione in cui sono coinvolte le più grandi compagnie al mondo, da British Petroleum a Shell, da ExxonMobil a Chevron, da Total a ENI. Altre sanzioni mirano invece a precludere l’esportazione in Russia di tecnologie informatiche ed elettroniche a impiego militare. «In realtà – osserva il giornalista Stefano Grazioli – le sanzioni non sono andate a toccare i pilastri russi e oltre a essere aggirabili e aggirate da entrambe le parti (con il paradosso che gli scambi commerciali Usa-Russia nel 2014 sono aumentati del 6%, quelli tra Russia e Europa diminuiti del 10%), si sono rivelate totalmente inutili se il loro scopo era quello di far mutare al presidente russo la strategia nel confronti dell’Ucraina» (2).
Nell’immediato, tutto ciò ha mandato in fumo circa 4 miliardi di euro di esportazioni europee, soprattutto tedesche ed italiane. Secondo un’inchiesta internazionale coordinata dai giornali “Die Welt”, “La Repubblica”, “El Pais”, “Tribune de Genève” e “Tages-Anzeires” sulla base dei dati raccolti dall’Österreichisches Institut für Wirtschaftsforschung (WIFO), l’impatto delle sanzioni imposte dall’Unione Europea nei confronti di Mosca e delle contro-sanzioni russe, tramite le quali il Cremlino ha vietato l’importazione di prodotti gricoli e alimentari (latte, verdura, formaggio, carne, frutta), è pesantissimo. «Se le condizioni generali del ciclo economico e l’andamento delle esportazioni verso la Russia non dovessero mutare rispetto al primo trimestre del 2015 – si legge su “Repubblica” – la crisi potrebbe costare in termini di produttività a medio termine solo per la Germania qualcosa di più di un punto percentuale (…). Seguirebbe l’Italia con la perdita di più di 200.000 posti di lavoro e un calo della produttività dello 0,9%. Mentre, in Francia, i posti di lavoro perduti sarebbero 150.000 e la riduzione della produttività dello 0,5% (…). Sono potenzialmente a rischio nell’Unione Europea circa 1,9 milioni di posti di lavoro e quasi 80 miliardi di euro in valore aggiunto della produzione» (3).

Giacomo Gabellini