Esistono la geopolitica, la realpolitik, la propaganda e le cazzate. Categorie ben distinte, con differenti gradi di “purezza”, contenuti e nobiltà. Le parole proferite dal ministro dell’Interno Matteo Salvini in Israele, ai confini nord col Libano, rientrano a pieno titolo nell’ultima categoria. E’ la storia recente a dirlo. Sono i campi di battaglia a confermarlo. E’ l’analisi geopolitica rigorosa a certificarlo. La sollecitazione del premier israeliano Benjamin Netanyahu, ha spinto il vicepremier italiano fuori binario ed oltre i confini di competenza del suo Ministero.

“Chi vuole la pace, sostiene il diritto all’esistenza ed alla sicurezza di Israele. Sono appena stato ai confini nord col Libano, dove i terroristi islamici di Hezbollah scavano tunnel e armano missili per attaccare il baluardo della democrazia in questa regione”. Questo il Salvini pensiero che solleva subito polemiche e perplessità, con moltissimi simpatizzanti ed elettori della Lega che si precipitano sulla sua pagina ufficiale Facebook ad esprimere il loro argomentato dissenso.

Il vicepremier italiano avrebbe fatto bene a riflettere meglio, acquisendo informazioni più dettagliate sul ruolo che l’Italia svolge nel “Paese dei cedri” con la presenza di militari e la guida della Forza di Interposizione in Libano delle Nazioni Unite (UNIFIL), creata il 19 marzo 1978 e rinnovata dopo l’invasione israeliana del Libano del 1982, in seguito al ritiro delle truppe israeliane nel 2000 e in occasione dell’intervento israeliano del 2006. In quell’anno, il giorno prima di ritirarsi dal sud del Paese, dopo una sanguinosa guerra con 1100 morti e 4000 feriti, l’aviazione israeliana sganciò a bassa quota un’enorme quantità di bombe a grappolo sui campi e gli uliveti già devastati dai bombardamenti. Pesante anche il bilancio in termini di vite umane sfregiate dell’eredità di morte costituita dalle bombe inesplose allora ma potenzialmente capaci di inzuppare ogni giorno quella terra, già così brutalmente violata, di lacrime e sangue innocenti.

Bollare come terroristi i miliziani di Hezbollah, non è solo sbagliato ma ingiusto. Il leader Hassan Nasrallah ha abbandonato da tempo l’idea della rivoluzione islamica secondo la visione khomeinista, aprendo le file anche ai volontari non-sciiti. Nel Paese dei Cedri il “Partito di Dio” sciita, gode del favore e del supporto di buona parte della popolazione. L’alleanza sacra tra il cristiano-maronita Michel Aoun e lo sciita Hassan Nasrallah, rispettivamente a capo della Corrente Patriottica Libera e di Hezbollah, ha fatto sì che l’unità del Libano divenisse la priorità dell’organizzazione, le cui milizie sono state riconosciute dal governo libanese al pari dell’esercito regolare.

 

 

Gli uomini di Nasrallah combattono da anni in Siria, al fianco di siriani, russi ed iraniani, contro i gruppi takfiri apostati dell’Islam dell’Isis e di Al Nusra. Grazie al loro coraggio e alla loro preparazione militare, nel 2015 è stato liberato dall’assedio delle orde sanguinarie di Daesh il villaggio siriano di Maalula, situato a 56 chilometri a nord-est di Damasco, dove l’alfabeto aramaico abbraccia “fraternamente” le preghiere cristiane di rito melchita. L’immagine del soldato sciita di Hezbollah che, dopo la battaglia decisiva, entra nella chiesa principale e inizia a suonare le campane in segno di vittoria, vale molto di più di qualsiasi lista dei “cattivi” made in Washington. I combattenti del “partito di Dio” hanno trasportato con amore la statua della Vergine Maria, restituendo il simbolo della cristianità agli abitanti terrorizzati dagli islamisti.

 

 

Salvini, che non è un privato cittadino qualsiasi ma un ministro, avrebbe dovuto centellinare e pesare le parole con prudenza. Chi rappresenta non solo le Istituzioni ma un popolo, ha il dovere di informarsi, tenendo ben presente il perimetro geopolitico in cui si muove. Aldo Moro, Giulio Andreotti e Bettino Craxi, possono essere presi a modello, in tal senso.

Gli slogan e la propaganda, hanno un’efficacia limitata e non forniscono la chiave di lettura di dinamiche complesse. Mahmoud Darwish, scrittore palestinese che ha raccontato l’orrore della guerra, dell’oppressione, dell’esilio (al-Birwa, il suo villaggio natale, fu distrutto dalle truppe israeliane durante la Nakba), in una sua bellissima poesia intitolata ‘Pensa agli altri’, scrive: “Mentre stai per tornare a casa, casa tua, pensa agli altri, non dimenticare i popoli delle tende. Mentre dormi contando i pianeti , pensa agli altri, coloro che non trovano un posto dove dormire. Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri, coloro che hanno perso il diritto di esprimersi. Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso, e dì: magari fossi una candela in mezzo al buio”.

Una candela di cui il Medio-Oriente lacerato dalle guerre intestine e l’Italia, subalterna e spesso al rimorchio di altri in politica estera, hanno bisogno. Una candela che viene inghiottita dal buio, ogni volta che la logica del più forte mortifica la sovranità e l’integrità territoriale di Paesi multi-confessionali, ricchi di storia e cultura.