
Durante le celebrazioni a Strasburgo per i 20 anni dell’Euro il Presidente della Commissione Europea Juncker ha affermato che la gestione della crisi in Grecia è stata caratterizzata da un’austerità avventata. “Non siamo stati sufficientemente solidali con la Grecia e con i greci” ha affermato Juncker, che ha tirato in ballo anche il Fondo Monetario Internazionale, a cui la Ue avrebbe dato “troppa influenza”.
Le dichiarazioni di Juncker fanno seguito alla visita di Stato che la Cancelliera Merkel ha fatto ad Atene pochi giorni fa: in un clima di estrema cordialità i due leader hanno parlato di privatizzazioni, tagli alla spesa pubblica e dello spinosa questione dell’accordo con la Macedonia. Ormai Tsipras è diventato un alleato affidabile e sembrano lontanissimi i giorni in cui il premier greco fomentava le piazze contro la Merkel nel 2014, alla vigilia delle elezioni europee.
Per capire perché le dichiarazioni di Juncker sulla Grecia sono false e parte di una strategia che intende mostrare il “volto umano” dell’Unione Europea è ben fare una breve cronistoria della crisi del paese ellenico.
Tutto ha inizio nel 2009 quando l’allora premier Papandreou ammette che i governi precedenti hanno falsificato i bilanci al fine di permettere alla Grecia di adottare l’euro. La situazione appare subito drammatica, il paese è a rischio bancarotta e dopo il declassamento del debito da parte delle agenzie di rating ecco che nel 2010 arriva il primo pacchetto di 110 miliardi di euro da parte dei paesi europei. Gli aiuti non bastano, infatti dopo un ulteriore declassamento arrivano nuovi prestiti da Ue e Fmi ma il prezzo da pagare inizia ad essere alto: tagli alla spesa pubblica e privatizzazioni. La situazione non migliora e l’anno seguente viene istituita la famigerata “troika”.
Siamo nel 2011 e il peggio per i greci deve ancora venire; la Germania acconsente ad attivare il fondo salva-stati e il governo greco è costretto ad un drastico taglio delle pensioni e a mandare a casa 30000 dipendenti pubblici. Nel 2012 la Germania prova, senza successo, a trasferire la sovranità nazionale del paese a Bruxelles, la proposta viene respinta ma, come vedremo, avverrà di fatto tre anni dopo. Dopo un’altra manovra “lacrime e sangue” ad Atene esplode la rabbia e in diverse manifestazioni ci sono scontri, anche violenti, con la polizia. In quegli anni l’uscita del paese dall’euro viene data più volte per probabile ma l’unione Europea si gioca tutto, non cede e continua a chiedere sacrifici in cambio di nuovi prestiti.
Dopo una prima boccata d’ossigeno nel 2014, quando il paese ellenico registra una timida crescita, ecco che sale alla ribalta Alexis Tsipras, leader di una sinistra che a molti in Europa sembra poter essere una sida all’ultra-liberismo di Bruxelles. Ci prova il giovane leader a resistere ai falchi dell’austerità, indice anche un referendum nel luglio del 2015 per chiedere ai greci se vogliono o meno accettare nuove pesanti condizioni imposte dalla troika. Vince il No (62%) ma i leader europei ( Juncker e Merkel in testa) non accettano il risultato e fanno un’enorme pressione sul leader greco che aveva inutilmente sperato nell’appoggio degli stati dell’Europa mediterranea. Il referendum si rivela inutile, la Grecia non esce dall’euro e subisce una pesantissima umiliazione: Tsipras si piega alle richieste dei creditori e il paese diventa una sorta di protettorato della Germania (la più esposta verso il debito greco).
Come si può vedere con la Grecia è stata adottata una strategia di terrore puro, una crisi durata anni è stata affrontata dalle istituzioni europee con una durezza incredibile, non è stata fatta una sola concessione e c’è stato uno sprezzo della volontà popolare che l’Unione Europea ha poi continuato a dimostrare negli anni successivi in altre occasioni. Non è credibile il signor Juncker quando parla di “mancata solidarietà” o di “austerità avventata”. Semplicemente è stata pianificata una strategia per colpire la Grecia e le sue velleità e al tempo stesso è stato lanciato un messaggio chiaro a chi pensasse anche solo lontanamente di trasgredire le regole o di chiedere un ammorbidimento dei trattati e dei vincoli di bilancio.
Il dogma dell’irreversibilità dell’euro è stato ribadito con il trattamento riservato alla Grecia ma la prova di forza della Ue nel paese ellenico ha fatto crescere i sentimenti di euroscetticismo e i fronti sovranisti in tutti gli stati europei. Questo Juncker lo sa bene e sa anche che tra l’ancora incompiuta Brexit (per lui altro boccone amaro) e le elezioni del 26 maggio lui e il suo entourage rischiano grosso. Da qui la necessità di “pentirsi” di scelte di cui in realtà lui è uno dei maggiori responsabili e che certamente rifarebbe in nome dell’ ”irreversibilità dell’euro”.
Alessandro Ametta