Terremoto Centro Italia

La notte del 24 agosto del 2016 il sisma di magnitudo 6.0 con epicentro ad Accumoli (cittadina del reatino) nella Valle del Tronto colpì il Centro Italia, lasciando l’ennesimo dramma in un paese che fa fatica a ripartire dopo la crisi di dieci anni fa. Furono circa 300 le vittime dei crolli conseguenti al terremoto, che hanno cancellato intere cittadine. Su tutte la cittadina di Amatrice, il cui nome ha dato i fasti a un celebre piatto italico, l’amatriciana appunto, ha visto andare in fumo la maggior parte dei propri edifici e pagato il maggior tributo a madre natura, anche in termini umani (oltre 200 vittime).

A distanza di due anni la consegna delle cosiddette “casette” per gli sfollati è ancora lontana dal suo completamento: soltanto il 50% delle 3691 richieste è stato per ora realizzato dai governi Renzi e Gentiloni. Nonostante la voglia del PD di polemizzare con il modello L’Aquila, il modello decentralizzato delle casette si è rivelato addirittura peggiore delle New Town berlusconiane. La stessa crisi è stata oggettivamente gestita meglio nel 2009 quando a capo della Protezione Civile c’era il vituperato Guido Bertolaso. Le città danneggiate a due anni di distanza sono ben lontane da una prospettiva di ricostruzione a breve e medio termine.

Più di qualsiasi altro episodio il terremoto del Centro Italia ha messo in luce le difficoltà di un paese in crisi economica e ben lontano dalla credibilità politica di una classe dirigente, che da vent’anni dimostra di essere ben peggiore di coloro che l’hanno preceduta nel periodo della cosiddetta Prima Repubblica.

Al nuovo governo andrà l’arduo compito di rimettere la comunità al centro del sistema, sempre che ne siano capaci. Difficile però risollevare un paese che negli anni di crisi non ha fatto altro che accentuare i propri difetti. Dal terremoto del Centro Italia con il gelido epilogo di Rigopiano sino all’inaudito crollo del Ponte Morandi di Genova, il viadotto della A10, passando per i disastrosi incidenti ferroviari di Corato e di Pioltello, non tralasciando l’incapacità di gestire i fenomeni immigratori, malgrado la nostra posizione dovrebbe impedire di tralasciare il fenomeno. Ci consegnano un’Italia che arretra sotto tutti i punti di vista: infrastrutturale e economico quanto sociale.

Un’Italia che resta come sempre provinciale, e come tale persegue il suo più grande primato: prendere a modello “vincente” gli elementi peggiori delle grandi potenze occidentali. Un’Italia che da un lato vorrebbe accogliere acriticamente ciò che di peggio arriva dall’Europa Unita a guida tedesca, dall’altro è rimasta folgorata sulla via di Manhattan alla vista delle Trump Tower. Provinciale senza saper sfruttare i vantaggi dell’essere provinciale, quella capacità che al contrario aveva la vecchia classe dirigente, quella della quale ci si è sbarazzati con troppa faciloneria. Vittima anch’essa del moralismo a correnti alternate, del sali e scendi sul carro tipico dell’italiano, che ama tanto venerare  l’uomo forte di turno quanto linciarlo: da Mussolini a Berlusconi, da Craxi a Renzi (e vedremo quale sarà il destino di Salvini).

La vecchia classe dirigente, quella di quella Prima Repubblica che come canta beffardamente Zalone “non si scorda mai”, tra una tangente e l’altra sapeva qual era il suo posto, ma sapeva anche in che direzione condurre il Belpaese. Anche con grandi errori, certo, con segreti e con deprecabili manovre, certo. Ma nessun italiano mettendo a confronto vecchio e “nuovo” sceglierebbe il “nuovo”. A 25 anni da quelle monetine tirate a Bettino Craxi all’Hotel Raphael di Milano, troviamo un paese profondamente impreparato: nelle emergenze come nell’ordinario.

“Bisogna cambiare tutto, perché non cambi niente” affermava Tancredi né Il Gattopardo. Qualcuno negli anni ’90 pensava bene di sconvolgere gli equilibri in Italia, per mantenere carrozzoni di partito che altrimenti rischiavano l’estinzione. Il bilancio però è negativo, si è riusciti a cambiare tutto, perché cambiasse tutto e in peggio.

Il terremoto di due anni fa e la tabula rasa di Amatrice non fanno che condensare tutto il peggio possibile dell’Italia dei nostri giorni. Nel 2018 in territori altamente sismici crollano case e scuole, mai messe a norma sul serio in 70 anni di Repubblica. Del resto nel paese dove crollano i viadotti delle autostrade tutto è possibile. Dove un tempo c’erano le tangenti a finanziare i partiti e in qualche modo far girare l’economica, oggi ci sono i finanziamenti delle grandi lobby, alle quali le nostre classi dirigenti promettono sostegno acritico, instancabile e indefesso per un paio di spiccioli in più. “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!”