Poco tempo fa la polizia italiana, su richiesta delle autorità cinesi, ha arrestato Xu Chao, ex capo finanziario dell’Università di Qingdao, accusato di aver sottratto illegalmente 2,6 milioni di dollari. La richiesta di Pechino si sostanziava nell’estradizione, dato che su Xu Chao non pesa soltanto la grave accusa di peculato, ma anche quella di corruzione. Al momento, in Cina è in atto una forte campagna proprio contro la corruzione, finalizzata a moralizzare le istituzioni. Come sappiamo, anche in Italia sono anni che conviviamo col difficile problema della corruzione, ed è tutt’altro che affrontarla, soprattutto se disponiamo di strumenti politici e giudiziari che hanno tutto l’aspetto di essere delle armi spuntate.
Dopo 38 giorni di custodia cautelare in carcere e sette mesi agli arresti domiciliari, i giudici di Milano (proprio quelli che, anni fa e in parte anche oggi, sono noti per essere i capifila della guerra italiana alla corruzione, da Mani Pulite in poi) hanno però deciso di liberare Xu Chao e di negare l’estradizione in Cina. La loro giustificazione sarebbe soprattutto di tipo “umanitario”: in patria, infatti, Xu Chao potrebbe essere condannato a morte, sebbene Pechino abbia assicurato di non averne minimamente l’intenzione.
L’arresto del 39enne Xu Chao era avvenuto a Milano il 9 giugno 2018, con l’accusa proveniente da Pechino di aver sottratto quei 2,6 milioni di dollari mentre esercitava il suo ruolo di capo del dipartimento finanziario dell’Università di Qingdao, fra il 2011 e il 2016. Il metodo usato dal professore, poi fuggito in Italia, era piuttosto ingegnoso: approfittando del proprio ruolo, infatti, aveva manipolato nell’arco di cinque anni le ricariche online delle schede-pasti degli studenti.
Tuttavia, pare proprio che dietro le ragioni umanitarie addotte dai magistrati milanesi si nascondano in realtà ben altre motivazioni. Xu Chao, all’avvio della battaglia procedurale condotta dal suo difensore Niccolò Bertolini davanti alla competente V Corte d’Appello e seguita passo passo dall’avvocato romano Cataldo Intrieri per conto della Cina, si è infatti detto perseguitato per ragioni politiche, in quanto seguace dal 2011 del Falun Gong, la famosa setta messa al bando da Pechino dal 1999 dopo i gravi fatti di auto-immolazione avvenuti in Piazza Tienanmen.
Nel corso del dibattimento, infatti, la difesa di Xu Chao ha dichiarato che l’assistito è stato sospeso dalla sua cattedra nel 2014 per le sue attività pericolose per la sicurezza dello Stato, subendo quindi un richiamo nel 2016 per aver organizzato marce degli studenti, pubblicato articoli reazionari e aver tentato di influenzare negativamente l’opinione pubblica con attività di propaganda. Dunque, Xu Chao non avrebbe soltanto compiuto azioni di peculato e di corruzione, ma anche fatto propaganda e proselitismo per conto di una setta pericolosa, già da anni fuorilegge, oltretutto mentre vestiva i panni di amministratore e soprattutto di educatore.
Anche la moglie di Xu Chao, Guo Jingyi, ha collaborato alla difesa del marito, dichiarando di correre i suoi stessi rischi. A tal proposito ha parlato, in sede di processo, di quattro conversazioni avute con un funzionario dell’Ambasciata Cinese in Italia. E’ stato poi fatto notare come, il 20 novembre, anch’essa sia stata arrestata dalla polizia italiana, anche se il successivo 4 dicembre la Germania, a cui aveva chiesto l’asilo politico, l’ha riconosciuta come perseguitata. A tal proposito andrebbe ricordato come proprio Berlino, negli anni, sia diventata un vero e proprio ritrovo per i “dissidenti” cinesi, a tacere poi dell’esplicito sostegno dato dal governo di Angela Merkel a Liu Xiaobo e alla moglie Liu Xia, espresso anche tramite l’Ambasciatore tedesco a Pechino. Non sorprende, quindi, che anche in questo caso la Germania abbia voluto continuare nella sua politica di aiutare personalità che hanno compiuto gravi reati contro la Cina, esattamente come la Francia del resto ha dato e continua a dare riparo a pericolosi terroristi italiani resisi responsabili di gravissime azioni in Italia fra gli Anni ’70 e ’80. La “Dottrina Merkel”, in questo senso, non è molto diversa dalla “Dottrina Mitterrand”.
Da quel momento, infatti, per la moglie di Xu Chao le cose sono andate sempre di bene in meglio: su impulso del governo tedesco, il 17 dicembre l’Interpol l’ha cancellata dal database degli arresti, e il 23 gennaio 2019 l’Alto Commissario ONU per i rifugiati ha scritto all’Italia, esercitando pressioni sulle nostre autorità ed in particolare sulla nostra magistratura affinché salvasse Xu Chao. Così, il 21 febbraio scorso, quindi esattamente sette giorni fa, i giudici Ichino, Surami e Simi De Burgis hanno negato l’estradizione perché, come riferito anche dal Corriere della Sera, “un Paese, quando la chiede in fase di indagine, per le norme italiane deve adottare «una decisione irrevocabile che irroga una pena diversa dalla pena di morte»: e invece per i giudici «non possono certamente ritenersi equipollenti le astratte assicurazioni della Corte Suprema del Popolo e della Procura Generale cinesi, veicolate dall’ambasciata in Italia»”.
Parole tecniche, volendo anche fumose, che servono a nascondere dietro apparenti ragioni umanitarie la volontà dei nostri magistrati e di buona parte delle autorità italiane di continuare ad osteggiare la Cina, in particolare prendendo le difese dei suoi nemici politici e tutelandoli. In questo senso, nella lotta politica contro Pechino, tutto fa brodo: anche difendere chi si è macchiato di gravi reati riconducibili alla corruzione o alla militanza in sette dannose per i loro adepti e che nel tempo hanno sposato sempre più acclaratamente obiettivi terroristici ed eversivi.