
Nella prima storica puntata di quella che a giudizio di molti è la miglior serie televisiva mai prodotta, ‘True Detective’, i protagonisti principali, Rust (Matthew McConaughey) e Marty (Woody Harrelson), intrattengono un dialogo nel quale il primo, che pure dichiara di non essere cristiano, spiega che tiene un crocifisso nella sua stanza come forma di meditazione, con le sue parole: “Rifletto sul passo nel giardino del Getsemani, sull’idea di permettere la propria crocifissione”.
Il venerdì santo, che quest’anno per i cattolici cade già domani 25 marzo, è il giorno nel quale i cristiani commemorano la passione e la crocifissione di Gesù Cristo e si impegnano, o almeno dovrebbero farlo, in questo genere di meditazione che, d’altronde, ci sentiamo di consigliare proprio a tutti, in ogni data dell’anno. Di certo va consigliata agli atei che hanno apprezzato la prima stagione di ‘True Detective’, magari identificandosi nell’ateo Rust e considerando quindi l’opera come una specie di manifesto dell’ateismo.
Il risultato di tale meditazione, sempre nelle sue parole, è che nel momento della morte “puoi semplicemente lasciarti andare, finalmente, adesso che non devi più aggrapparti” e quindi renderti conto che la vita “era tutto lo stesso sogno, un sogno che hai avuto dentro una stanza chiusa. Un sogno sull’essere una persona”. La vera grandezza sta nella capacità di comprendere tutto ciò durante la propria esistenza terrena: lo scopo della ‘meditatio mortis’ è proprio questo.
Rust mente a se stesso su un’unica cosa: il fatto di non credere a niente. Nonostante ciò si comporta come un vero cristiano, la sua vita può essere definita una ‘imitatio Christi’, pienamente conforme all’insegnamento evangelico (Gv, 12, 25) “chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna”. La parola eterna, ben inteso, non significa “di durata indefinita”, bensì “al di là del tempo”, Rust lo comprende bene, al punto da affermare “tutto ciò che è fuori dalla nostra dimensione è eternità” e da chiedersi “perchè dovrei vivere nella storia?”.
Non aggiungiamo nulla su questo formidabile personaggio, per non ‘spoilerare’ nien’altro a chi non ha ancora potuto vedere un capolavoro assoluto che, secondo la definizione di Fritjoft Schuon, “aiuta l’uomo a trovare il proprio centro” e quindi può essere considerata a tutti gli effetti un’opera di ‘arte sacra’.
A ogni vero cristiano è chiaro poi che la passione di Cristo non è qualcosa da ricordare solamente nei venerdì di Quaresima: la croce è il simbolo stesso della sua religione.
Purtroppo sul crocifisso si medita poco, ma ci si azzuffa sull’opportunità di vietarne oppure renderne obbligatoria la presenza nelle aule scolastiche o negli uffici pubblici. Non è credibile che un ateo o un fedele di una religione diversa dal cristianesimo possa andare in crisi per la mera presenza di qualcosa che ai suoi occhi non significa nulla, come che un credente possa soffrire troppo per la mancanza d’un oggetto che per lui vale come simbolo di ciò che dovrebbe avere nella mente e nel cuore.
Chi si accanisce, da una parte o dall’altra, in questa disputa non sta lottando, come si illude di fare, per la propria fede o per libertà o per altre nobili cose, ma soltanto allo scopo di prevalere sull’avversario, ovvero per il potere.
Lo stesso si può dire dell’annosa e aspra disputa sull’esistenza storica di Gesù Cristo.
Fanno sorridere tanto i discorsi in stile UAAR che vorrebbero ridurre a mito il Vangelo, quanto le reazioni sbigottite dei credenti di fronte ad affermazioni per loro blasfeme.
Una bestemmia ed una contraddizione in termini è definire un fatto “solo un mito”, poiché il mito è più reale di ogni fatto, come da sempre hanno affermato i saggi: la dimostrazione, come ha spiegato lo psicanalista junghiano James Hillman, sta nel suo potere di conquistare ed influenzare la nostra vita psichica. Che Gesù sia o non sia esistito è un affare, per l’appunto, degli storici, non dovrebbe interessare i fedeli, che dovrebbero preoccuparsi soltanto dei precetti morali impliciti nel suo messaggio e della realtà metafisica che, dal punto di vista di chi crede, esso sottende.
Ben inteso, non stiamo né affermando né negando l’esistenza storica di Gesù Cristo, accettiamo invece di definirlo mito, convinti però che talvolta il mito possa incarnarsi, così da irromprere nella storia.
Nel suo ‘Re-visione della psicologia’ (titolo originale ‘Re-Visioning Psychology, 1975) Hillman spiega come la terribile immagine della croce “domina il rapporto della nostra cultura con patologizzazione”, tanto da assorbire tutta la psicopatologia e legandola all’esperienza della sofferenza, fisica ed emotiva.
“Permettere la propria crocifissione” significa quindi accettare in maniera consapevole di vivere il proprio dolore, senza infingimenti: per esempio, di fronte ad un’esperienza umiliante, anche disponendo degli argomenti necessari, decidere di non condannare se stessi, né protestare, né giustificarsi.
Questo atto psichico facilita e precede l’elaborazione e la guarigione-rinascita, proprio come il venerdì santo precede la Pasqua.