La “fase due” è ancora un miraggio per la maggior parte delle imprese: solo nel commercio e nel turismo sono oltre 1 milione quelle ancora inattive. A fare la diagnosi di questa grave paralisi, è Confesercenti.
Sono ancora alla “fase uno” quasi 140mila imprese del commercio ambulante, 120mila negozi di moda e calzature, ambulanti che non vendono alimentari o prodotti per la casa, gli oltre 28mila specializzati in mobili, arredamento per la casa, più di 13mila attive nella vendita di giochi, articoli per sport e campeggio, oltre 2.600 campeggi e villaggi turistici a cui si sommano oltre 100mila altri negozi di tipologia varia. Bloccato anche il mondo dei servizi alla persona e del benessere: circa 30.000 tra parrucchieri, barbieri, estetisti e make up artist.
Migliaia sono le attività ancora parzialmente chiuse: nonostante il tribolato via libera all’asporto (condizionato dalla difformità di orientamenti dei governatori regionali), circa 175mila attività di somministrazione rimarranno ferme, così come le oltre 8mila imprese di commercio su area pubblica di prodotti alimentari non attive all’interno di un mercato. Ferme de facto, per mancanza di attività, anche le 33mila imprese della ricettività alberghiera, le oltre 180mila dell’extralberghiero, dai B&B alle case vacanze e agli ostelli, più di 12mila agenzie di viaggio e circa 230mila agenti di commercio.
Il fermo si inserisce in un quadro drammatico per i consumi. Quest’anno la spesa diminuirà di quasi 3mila euro a famiglia, riportandoci ai livelli del 1999. E la flessione si concentrerà soprattutto su commercio e turismo: alberghi, ristoranti e pubblici esercizi vedranno sfumare circa 25 miliardi di euro di ricavi, altri 13 miliardi saranno persi nel comparto della Ricreazione e della cultura, mentre la caduta nei settori dell’Abbigliamento e calzature e dei Mobili ed elettrodomestici è di circa 11 miliardi.
“Le imprese hanno voglia di ripartire: quelle per le quali il lockdown finisce e ancor più quelle a cui è imposto di attendere ancora, il 18 maggio o addirittura il primo giugno”, commenta Patrizia De Luise, Presidente di Confesercenti.
“La voglia di ripartire, continua, è più forte del timore di non ricevere gli aiuti attesi. E’ stato sufficiente dare la possibilità a bar e ristoranti di lavorare per asporto che le città si stanno accendendo. Ma bisogna fare di più per loro. A partire dall’attuazione delle misure di sostegno: quelle promesse lo scorso marzo e non ancora arrivate; quelle del decreto di aprile, che a maggio non si sono ancora viste. Non hanno bisogno di crediti incerti, bensì della certezza di un rimborso a fondo perduto proporzionato alle perdite subite”.
“La ripartenza, conclude De Luise, può essere l’occasione per una modernizzazione del paese. Due proposte, allora. La prima: usciamo dalla stramba idea della ‘lotteria dello scontrino’ e offriamo incentivi alle imprese per metterle nelle condizioni di adottare su scala massiva i sistemi di pagamento elettronico, che riducono i rischi di contagio. La seconda: sosteniamo le imprese nell’organizzare l’economia della distanza. L’afflusso agli esercizi dovrà restare a lungo contingentato. Serve un sistema di prenotazioni: dotiamo allora gli enti locali di risorse finanziarie con cui promuovere la creazione di reti commerciali di prossimità, centrate sull’utilizzo di piattaforme digitali che garantiscano la fruizione in sicurezza dei servizi e invertano in questo modo la tendenza alla desertificazione delle nostre città”.