Lo scorso luglio la notizia della pace fra Eritrea ed Etiopia ha sorpreso numerosi osservatori. Come si è arrivati a tutto ciò?
E’ vero, la notizia ha colto di sorpresa non solo gli osservatori esterni e l’opinione pubblica internazionale in generale, ma anche gli stessi eritrei ed etiopici. Come è noto, il governo eritreo ha sempre mantenuto la posizione secondo la quale l’unica pace possibile sarebbe stata realizzabile soltanto con la piena accettazione senza precondizioni da parte di Addis Abeba dei termini dell’Accordo di Algeri del dicembre 2000 e della decisione della Commissione sui confini del 2002 istituita sulla base di quell’Accordo.
Nel corso degli ultimi 18 anni, Meles Zenawi prima e Hailemariam Desalegn poi avevano sempre posto come precondizione il “dialogo” alla decisione della Commissione che all’inizio era stata accettata e sottoscritta da entrambe le parti come definitiva e vincolante, cioè come inappellabile, ma che Addis Abeba non aveva mai voluto onorare innescando così uno situazione permanente di tensione e di “non pace, non guerra” che ha a lungo caratterizzato i rapporti dei due Paesi.
L’atteggiamento e la politica dell’Etiopia sono cambiati con l’elezione del dottor Abiy Ahmed alla carica di primo ministro. La sua coraggiosa accettazione senza precondizioni seguita da passi concreti a soli due mesi dal suo insediamento e la pronta risposta del presidente Isaias Afwerki hanno reso possibile una pace che per due decenni è sembrata impossibile. Tra i due Paesi è finalmente iniziata una stagione di pace, di reciproca fiducia e di cooperazione che era mancata con Meles e Desalegni.
Gli incontri fra il presidente eritreo Isaias Afewerki ed il primo ministro etiopico Abiy Ahmed da allora sono stati numerosi e frequenti ed hanno avviato un rapido processo d’integrazione regionale. Come ce lo potrebbe descrivere? Ha sorpreso anche il fatto che, dopo la pace con l’Etiopia, sia sopraggiunta pure quella con Gibuti e persino la decisione concorde del governo eritreo ed etiopico di coinvolgere nel processo di pacificazione ed integrazione regionale pure la Somalia. Quali prospettive si aprono a questo punto per la regione del Corno d’Africa?
L’intesa tra i due leader e la normalizzazione dei rapporti tra l’Eritrea e l’Etiopia avrà effetti positivi su tutto il Corno d’Africa. Tant’è vero che sono già stati coinvolti nel processo anche i leader della Somalia, del Sud Sudan e di Djibouti. Asmara si è assunta il compito di svolgere il ruolo di centro di gravità di un processo che sembra irreversibile e che lascia molto sperare per un futuro migliore per i nostri popoli.
Dopo la firma dell’accordo bilaterale del 9 luglio scorso, il primo ministro Abiy Ahmed ed il presidente della Somalia, Mohamed Abdullahi Mohamed, sono stati due volte ad Asmara e il presidente del Sud Sudan, Salva Kir Meardit, una volta. Ad Asmara sono stati firmati importanti accordi di amicizia e cooperazione bilaterali e trilaterali. Una delegazione tripartitica composta dai ministri degli esteri di Eritrea, Etiopia e Somalia si è recata a Djibouti per coinvolgere anche quel Paese nel processo in atto. Eritrea e Djibouti hanno deciso di porre fine pacificamente alla tensione durata dieci anni.
Nel Corno d’Africa si sta aprendo una stagione di pace, stabilità e cooperazione che sono i presupposti per lo sviluppo politico, socio-economico e culturale sostenibile e, quindi, per l’integrazione regionale a beneficio di tutti i popoli dell’area accomunati non solo dalla posizione geografica dei loro Paesi, ma anche dalle loro vicende storiche recenti e meno recenti, dalle similitudini culturali e religiose nonché da interessi destino comuni.
Per quanto riguarda l’Eritrea e l’Etiopia, l’Accordo del 9 luglio è già in fase di attuazione: il ripristino dei voli delle linee di bandiera e di quelle telefoniche, l’apertura delle sedi diplomatiche nelle due capitali, la ripresa dei servizi portuali, l’istituzione di una Commissione di alto livello e diverse sottocommissioni congiunte per accelerare il processo, il ritiro delle truppe e la rimozione delle barriere e dei posti di blocco lungo tutto il confine e, quindi, la libera circolazione delle persone e delle merci, …. sono già una realtà. Inoltre, sono già al lavoro commissioni bilaterali e trilaterali (Eritrea-Etiopia-Somalia) con il compito di facilitare e accelerare il processo.
Ora più che mai sarebbe opportuna una maggiore vicinanza dell’Italia all’Eritrea così come agli altri paesi della regione, non solo per trovare insieme una soluzione alle note questioni migratorie ma anche per le varie possibilità di cooperazione e sviluppo che si potrebbero generare. A tal proposito, rivolgendosi al mondo politico ed economico italiano, cosa suggerirebbe ed auspicherebbe? Quali dovrebbero essere le priorità da seguire?
Nel Corno d’Africa è indubbiamente in atto un importante processo che dovrebbe essere sostenuto dalla comunità internazionale. I nostri Paesi non dovrebbero essere lasciati soli di fronte alle grandi sfide che sicuramente ci sono.
Il nostro auspicio è che l’Europa, e in particolare un’Italia forte della sua posizione geografica, della sua conoscenza storica e della sua vicinanza ai popoli della regione, possano svolgere un ruolo costruttivo mirante non soltanto al consolidamento del processo di pacificazione appena iniziato, ma anche al sostegno di un processo di sviluppo sostenibile secondo una strategia condivisa con i Governi della regione.