Nel corso delle trattative per la risoluzione del Dossier Nucleare, Ue e Usa hanno a più riprese tentato di inserire il programma missilistico iraniano nelle contrattazioni, sperando di bloccarlo o quantomeno di rallentarlo, trovando sempre però la radicale opposizione delle controparti. In ultimo, forse con eccessiva leggerezza dovuta alla fretta di ottenere un successo da sbandierare sulla scena politica interna, il riformista Rohani e la sua squadra di negoziatori hanno accettato l’inclusione nella Risoluzione ONU finale della menzione di una proibizione “Di test di missili progettati per portare testate nucleari”, definizione nebulosa e che qualunque negoziatore avrebbe dovuto intuire che sarebbe stata impugnata e invocata dalle potenze imperialiste in maniera capziosa e disonesta.
Ciò è puntualmente avvenuto appena la Repubblica Islamica ha proseguito, con alcuni lanci tenuti lo scorso 8 marzo, nelle proprie batterie di test programmati per i vettori balistici Emad e Qiam (rispettivamente missili a raggio intermedio e medio derivati dai precedenti modelli Shahab) causando le proteste americane, francesi, inglesi e tedesche che hanno definito tali esercizi “provocatorii e destabilizzanti”. In soccorso di Teheran però si è prontamente levata la voce di Mosca, che, attraverso uno degli esponenti di punta della propria diplomazia, Mikhail Ulyanov, ha dichiarato che la Risoluzione ONU non bandisce né proibisce tutti i test missilistici, ma solo quelli di vettori esplicitamente progettati per gli attacchi nucleari, e che nessuno è in grado di produrre prove che dimostrino che i modelli di missili iraniani in questione rientrino in tale categoria.
La Guida Suprema della Rivoluzione Islamica, l’Ayatollah Ali Khamenei, che pure ha sostenuto e approvato il processo negoziale sul dossier nucleare, ha tracciato una “linea rossa” attorno al programma balistico nazionale, dichiarando esplicitamente che chiunque pensi di poterlo ridurre o addirittura abbandonare nel quadro di trattative con la comunità internazionale si qualifica automaticamente come un ingenuo, un ignorante o un traditore della patria.
A questo punto è anche interessante ricordare come e perché l’Iran possieda un comparto balistico talmente vasto ed avanzato da suscitare le preoccupazioni sanzionatorie delle potenze imperialiste occidentali: ne risulta che i principali responsabili di tale situazione sono proprio gli stessi paesi che speravano di abbattere la neonata Repubblica Islamica armando contro di essa le mani dell’Irak di Saddam Hussein.
Al principio di settembre 1980 il Capo di Stato irakeno, istigato e finanziato da Arabia Saudita, Kuwait, emirati e sceiccati petroliferi del Golfo, nonché da Francia, Germania e Stati Uniti, invase proditoriamente la neonata Repubblica Islamica Iraniana con la speranza di annettersi la provincia etnicamente araba del Khuzestan (ricca di giacimenti petroliferi) e di ampliare la propria ridottissima area costiera sul Golfo Persico. Saddam era confortato nei suoi piani di aggressione dallo stato di caos e prostrazione in cui venivano date le forze armate iraniane, precedentemente composte di fedelissimi dello Scià, falcidiate da diserzioni e fughe di ufficiali (molti dei quali avevano studiato e si erano addestrati negli Usa tra gli anni ’50 e ’70) e da “purghe” ed arresti da parte delle nuove autorità rivoluzionarie.
Una combinazione di leggerezza e superficialità, cattiva organizzazione dell’attacco iniziale, mancanza di un obiettivo centrale dichiarato e deficiente dottrina operativa di combattimento causò il collasso dell’offensiva irachena e il prolungamento della guerra (la prima, vera Guerra del Golfo) che si trascinò fino al 1988 in uno stillicidio reminescente delle “inutili stragi” del 1914-18 e si concluse con la rinuncia del regime di Baghdad a ogni rivendicazione su territori iraniani (e con la completa rovina delle sue finanze, tanto che due anni dopo tentò di “rifarsi” invadendo il Kuwait per convincere l’Arabia Saudita a cancellare gli enormi debiti contratti nel corso del conflitto con l’Iran).
Quando risultò evidente ai comandi iracheni che ogni speranza di conquistare saldamente una maggiore metropoli iraniana (Khorramshahr, Abadan, Susangerd) era ormai definitivamente sfumata, Saddam diede ordine di cominciare una intensa campagna di bombardamento su obiettivi civili, in particolare su Teheran, per demoralizzare la popolazione avversaria e suscitarne il risentimento contro la leadership khomeinista. Questo tentativo di terror bombing, però, si impantanò quasi subito a causa della superiore efficienza dei sistemi antiaerei HAWK e degli intercettori F-14 di fabbricazione americana, dotati di radar e missili a lungo raggio contro cui gli obsolescenti MiG-23 da esportazione e Sukhoi-17 dell’aviazione irachena poco potevano. Gli iracheni, allora, iniziarono a condurre la loro Guerra delle Città con altre armi, che non temevano individuazioni precoci o intercettazioni: i missili balistici a corto raggio SCUD.
Per rispondere a tono alle raffiche di vettori iracheni gli Iraniani si rivolsero alle uniche potenze in grado di fornire loro aiuto e know-how in materia: la Siria di Assad (forgiando un’alleanza che come abbiamo visto continua fino al presente) e la Nord Korea di Kim Il Sung, che insieme gettarono le basi per quello che è diventato ormai un “caso celebre” di sviluppo di un avanzato programma balistico militare e civile, che ha reso nel corso di poco più di trent’anni un paese come l’Iran membro a buon diritto del club delle potenze missilistiche e spaziali.
Paolo Marcenaro