La stabilità potrebbe continuare ad essere un miraggio per l’Iraq. Il primo voto nazionale, dopo la liberazione dall’Isis, ha fornito il ritratto di un paese spaccato ed esposto alle influenze degli attori che si sfidano per estendere la propria influenza nella regione. L’invasione militare statunitense prima e la proliferazione incontrollata di gruppi estremisti facenti capo a Daesh che l’hanno tenuto sotto scacco, hanno lasciato ferite profondissime.

I numeri assegnano la vittoria al predicatore sciita Muqtada al-Sadr, fondatore delle milizie del Mahdi ed ispiratore di un cartello “anti-corruzione”, composto da ultraconservatori e comunisti. Pesante sconfitta per il premier uscente Haidar al-Abadi, che si è detto pronto “a collaborare con i vincitori”.

La coalizione del leader dell’esercito del Mahdi, si è aggiudicata 54 seggi parlamentari su 329. Dietro, con 47 seggi, la coalizione Fatah degli ultraconservatori sciiti pro-Iran. Solo terzo, con 43 seggi, il blocco di moderati sciiti di al-Abadi, al Nasr, sostenuto anche dagli occidentali, al Nasr.

Ha votato il 44,5% degli elettori, il 15% in meno del 2014. La corruzione dilagante e la distanza tra il potere ed il paese, hanno spinto molti a disertare le urne.

Al-Sadr è un personaggio controverso. Dopo aver preso le distanze dal presidente siriano Bashar al Assad, si è recato in Arabia Saudita, dove ha incontrato il principe ed erede al trono saudita Mohammad bin Salman, sunnita, nazionalista ed anti-iraniano.

I buoni rapporti con i sauditi dello sciita simbolo della lotta contro l’esercito d’occupazione statunitense e la posizione della guida religiosa, il Grande ayatollah Ali Sistani, che predica l’equidistanza fra America e Iran, potrebbero riservare brutte sorprese al paese persiano.

C’è chi è pronto a scommettere su una mossa difensiva dell’Iran. Al-Ameri ed Al-Maliki, potrebbero arrivare alla maggioranza con il sostegno del Kdp, il partito curdo dell’ex presidente Massoud Barzani.