
A poco più di quattro anni dalla morte di Muammar Gheddafi la Libia é ancora un tale buco nero di Caos, anarchia e violenza che, pressata pesantemente dagli efficaci attacchi aerei russi e dalle sempre più intense mosse offensive terrestri dell’Esercito Siriano, la dirigenza dell’ISIS ha iniziato a spostare da Raqqa a Sirte alcuni suoi assetti e personaggi-chiave, per godere ivi della tranquillità che non trova più nel Nord-Est della Siria.
Con un nuovo e potenzialmente più pericoloso focolaio di attività del ‘califfato’ (che si aggiunge a quello già presente a Derna) sul proprio suolo, il Governo libico internazionalmente riconosciuto, quello in “esilio interno” tra Tobruk e il confine egiziano, che ha come Ministro della Difesa e comandante delle forze armate l’Ex-generale di Gheddafi Khalifa Haftar, si é detto “disposto” a coordinare eventuali sforzi con la Russia nel caso che il Cremlino decida di estendere al Mediterraneo (magari in accordo con l’Egitto) i propri sforzi anti-terrorismo.
Non é da ritenersi probabile una simile mossa da parte di Putin nel breve periodo e l’ “apertura” di Tobruk in tal senso va letta più come un disperato “SOS” del Governo libico, che oltre a non essere riuscito in oltre un anno a riprendere il controllo di Bengasi (che sarebbe una mossa fondamentale per potersi avviare verso un confronto risolutivo con le milizie di ‘Fajr Libya’ tuttora in possesso della Tripolitania), vede moltiplicarsi e aggravarsi le minacce che ne insidiano il futuro.
Ovviamente l’idea di chiedere aiuto all’Italia non é passata nemmeno per l’anticamera del cervello ai dirigenti libici, che sanno benissimo come il nostro paese sia un’appendice mediterranea degli Usa, totalmente asservita ai loro interessi strategici, che sono esattamente quelli di mantenere il paese nordafricano nel Caos e farlo usare come ‘trampolino’ da trafficanti e scafisti per inondare l’Europa di immigrati.
Ma facciamo finta per un momento che il nostro sia un paese dotato di una propria autonomia e indipendenza in fatto di politica estera, un paese, se non proprio guidato da un De Gaulle, da un Craxi o da un Putin, perlomeno retto da uno Chirac, una personalità risoluta, che abbia presenti gli interessi strategici dell’Italia e sia disposto a difenderli con ‘sacro egoismo’, non vacillando nemmeno di fronte all’opzione militare.
Che l’Italia (potendo) debba intervenire con le armi in Libia non dovrebbe essere nemmeno argomento di dubbio o discussione: la Libia é la nostra ‘Quarta Sponda’, con legami storici, culturali, archeologici e naturalmente commerciali ed economici fortissimi col nostro paese, che andavano difesi già prima dello scoppio della crisi o immediatamente dopo la sua deflagrazione con un’azione risoluta e decisiva a cui purtroppo Berlusconi non si risolse per effetto del continuo “lavoro ai fianchi” mediatico e giudiziario portato avanti dagli elementi del nostrano ‘ceto medio anti-nazionale’ (quello che festeggia il 25 aprile ma non il 2 giugno e il 4 novembre e che ha trasformato il 1 Maggio da Giornata degli Operai e dei Lavoratori a festival dei migranti e dei musicanti più o meno storditi da droghe).
L’Italia, intesa come comunità di Popolo e Nazione, ha non il Diritto ma il DOVERE di impedire che quella che con la Tunisia fu una delle più splendide province dell’Africa Romana diventi parco giochi per sgozzatori wahabiti finanziati da Erdogan, Re Saoud e dall’Emiro Al-Thani del Qatar e poco importa se essi inalberino le bandiere di ISIS/Daash o di Fajr Libya: essi devono essere eliminati quanti sono e dove sono: a Derna come a Sirte, a Zintan come a Misurata e a Tripoli.
La domanda é: in questo caso, l’Italia, la nostra Italia, avrebbe le risorse materiali, militari e logistiche per garantire questo obiettivo? La domanda non é oziosa visto che persino uno stato come la Gran Bretagna (di nobilità decaduta quanto si vuole ma pur sempre potenza nucleare e considerata una delle prime dieci forze militari del mondo) dubita di avere mezzi e uomini sufficienti per un intervento aereo efficace in Siria.
Iniziamo proprio dall’aria: l’Italia dispone ufficialmente di 80 Eurofighter ‘Tifone’, 59 Tornado IDS adatti alle missioni di attacco al suolo e 55 piccoli intercettori AMX in grado, eventualmente, di portare anch’essi carichi bellici e colpire obiettivi terrestri, più 16 AV-8 ‘Harrier’ schierabili sulle portaerei/elicotteri Garibaldi e Cavour e infine una settantina di MB-339, addestratori infrasonici capaci di missioni di attacco.
Gli Eurofighter e i Tornado sono perfettamente in grado di attaccare bersagli in Libia partendo da basi esistenti nel Sud Italia e anche gli AMX (purché partano dalla Sicilia); gli Harrier potrebbero partire dalla Garibaldi o dalla Cavour tranquillamente ormeggiate al largo di una località controllata dal Governo libico (come la stessa Tobruk) e gli MB-339 potrebbero venire trasferiti in una base libica (o in un aerodromo appositamente costruito o allargato dai nostri genieri) per operare più a stretto contatto coi superstiti MiG e Aero-39 dell’ “aviazione’ di Haftar.
Ma bisogna rendersi subito conto di due fattori: a) che contro un nemico come l’ISIS e altre milizie islamiste presenti in Libia l’aviazione non sarà un’arma risolutiva, anche meno di quanto lo stia essendo l’aeronautica russa in Siria, per la relativa scarsità di uomini e mezzi che possano fare da appetibile bersaglio a eventuali bombardamenti dell’AMI e b) soprattutto per il fatto che al contrario dei ‘top gun’ di Putin i nostri pur valenti e professionali piloti hanno a disposizione pochissime armi ‘intelligenti’.
Se infatti i Russi in Siria stanno utilizzando il meglio della loro recente produzione di missili aria-terra e bombe guidate, specie contro obiettivi “ad alto valore” come centri di comando e comunicazione e residenze di noti leader spirituali e militari di ISIS e Al-Nusra, la nostra aviazione ha a disposizione poche dozzine di missili Storm Shadow, poche SDB (Small Diameter Bombs), che andrebbero subito consumate e per il resto sarebbe costretta a cavarsela con vecchi missili Maverick, bombe guidate Paveway e altro ‘modernariato’ degli anni ’80.
La parte veramente decisiva di un intervento militare italiano in Liba sarebbe quella a terra, col che non vogliamo intendere battaglie dirette di nostre truppe contro ISIS e Fajr-Libya, ma almeno una concreta azione tesa a rendere gli uomini di Haftar in grado di poter affrontare quelle minacce. Bisognerebbe creare una grande base militare con personale italiano nell’Est della Libia, e concentrarvi istruttori, specialmente veterani delle missioni in Irak e Afghanistan, esperti nel tipo di guerra anti-insorgenza, per dare una parvenza di professionalità, coesione, morale agli uomini dell’ “Esercito” di Tobruk.
Bisognerebbe sostenerli magari anche con uno squadrone di elicotteri ‘Mangusta’ (di cui abbiamo in forza il numero di 60) e con diverse batterie di PzH2000 (68 a disposizione) e MLRS (21 a disposizione), per assicurare supporto fuoco potente, efficace e soprattutto preciso (che è il vero moltiplicatore di forza nella lotta anti-guerriglia, come mostrato anche dal teatro siriano; meglio una sola granata di artiglieria che raggiunge il bersaglio che cento che vi cadono intorno).
Il costo per il trasporto, lo schieramento, l’esercizio di questi mezzi si ripagherebbe, a legalità ripristinata, con le commesse assegnate alla nostra industria nazionale della difesa per la ricostruzione COMPLETA dell’apparato militare libico che, “ovviamente” sarebbe tutto marca OTO Melara, Alenia-Aermacchi, Fincantieri, Finmeccanica e via dicendo.
Infine, qualche nostro piccolo reparto d’elite, di quelli che sono il vanto e l’orgoglio delle FF.AA. d’Italia, potrebbe prendere parte direttamente a operazioni delicate come l’eliminazione o meglio ancora il rapimento di leader e di facilitatori, finanziatori, sostenitori delle varie formazioni terroristiche. Certo, bisognerebbe anche essere pronti a sostenere qualche perdita, ma coloro che non hanno stomaco per le perdite non devono nemmeno iniziare a pensare a interventi militari.
Ecco, per esempio, come mai il ‘genio fiorentino’ Renzi e il Presidente Mattarella non ci pensano neppure lontanamente.